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]]>Le tartarughe Caretta caretta hanno invaso le coste dell’Italia. Secondo le stime di Legambiente, alla fine della stagione potrebbero essere almeno 10mila le baby tartarughe nate nel nostro Paese. Attualmente si contano 238 nidi, tra i quali quello di Jesolo, in Veneto, che detiene lo straordinario primato di nido più a nord del mar Mediterraneo.
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Le nidificazioni di tartarughe Caretta caretta in Italia toccano attualmente quota 238 ma è altamente probabile che entro la fine della stagione possano superare la quota record di 250 raggiunta nell’estate 2020. Si tratta di numeri sorprendenti per le coste italiane dove fino a 30 anni fa l’unico sito di nidificazione conosciuto era quello della spiaggia dei Conigli di Lampedusa.
Un’invasione di #tartarughemarine: almeno 10 mila quelle stimate da @Legambiente. Merito anche dei #Tartawatchers che insieme a altre organizzazioni – @SznDohrn, il #CNROristano, @unipd, @unifirenze e @unisiena etc – hanno fatto un grande lavoro per monitorare e proteggere i nidi pic.twitter.com/D2BJvVkGaH
— TartaLove (@tartaloveit) September 23, 2021
I nidi di tartarughe marine identificati in Italia sono in maggioranza al Sud, con le coste del Cilento e la costa ionica della Calabria in pole position. Un nido è stato localizzato anche in Veneto, a Jesolo, e rappresenta il nido più a nord del Mediterraneo. Questo conferma che l’area di nidificazione delle tartarughe si sta spostando sempre di più verso il Mediterraneo occidentale e sempre più a nord. Questa tendenza è ulteriormente rafforzato dai 2 nidi di Maratea in Basilicata, dai 10 del litorale laziale, dai 6 individuati in Toscana fino al nido nel Savonese e quelli lungo la costa catalana in Spagna. Secondo diversi studi – sottolinea Legambiente -, l’aumento delle temperature determinato dai cambiamenti climatici sta rendendo questa parte del Mediterraneo maggiormente adatta alla nidificazione rispetto agli anni passati.
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Nel Mediterraneo ogni anno si contano oltre 7 mila nidi di tartarughe marine e in Italia il numero di deposizioni sta crescendo sempre più. Fino a pochi anni fa i nidi di Caretta caretta si fermavano a poche decine.
Il boom di tartarughe marine in Italia va anche attribuito anche agli effetti benefici di importanti progetti di conservazione finanziati nel tempo con il Programma LIFE (Caretta caretta, Tartanet, Tartalife), che hanno visto Legambiente protagonista. Non meno importante è stata l’attività di monitoraggio svolta da numerose associazioni ambientaliste e istituzioni scientifiche che hanno sorvegliato lunghi tratti di costa per individuare e proteggere i nidi di mamma tartaruga. Tra questi, anche i Tartawatchers di Legambiente che dall’inizio dell’estate hanno battuto chilometro per chilometro le spiagge e gli arenili di molte località italiane per individuare e mettere in sicurezza sotto la guida di esperti i nidi di Caretta caretta.
Per rendere ancora più accoglienti le spiagge italiane, Legambiente ha inoltre avviato l’iniziativa Lidi Amici delle Tartarughe marine alla quale hanno aderito oltre 500 stabilimenti balneari. Queste strutture si sono impegnate a ridurre l’inquinamento acustico e luminoso che reca disturbo sia durante la deposizione delle uova che durante la schiusa e a effettuare la pulizia senza ricorrere a mezzi meccanici che potrebbero distruggere i nidi.
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]]>© Icona Meteo - Il presente contenuto è riproducibile solo in parte, non integralmente, inserendo la citazione della fonte (Icona Meteo) e il link al contenuto originale (Giornata contro la desertificazione e la siccità, ONU: «Ripristinare i terreni degradati»)
]]>Oggi, 17 giugno 2021, si celebra la Giornata Mondiale contro la desertificazione e la siccità. Quest’anno il tema scelto è il ripristino dei terreni degradati. Come abbiamo già avuto modo di vedere, il mondo ha bisogno di ripristinare un’area grande quanto la Cina per salvaguardare gli ecosistemi e la biodiversità. Il degrado del suolo, infatti, ha un impatto negativo sul benessere di almeno 3,2 miliardi di persone.
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L’ONU per l’occasione ci tiene a ricordare tutti i benefici del ripristino dei terreni degradati e dunque: più posti di lavoro, economia più sana, redditi più elevati e maggior sicurezza alimentare. La biodiversità troverebbe la via per recuperare e le emissioni di carbonio che riscaldano la Terra si bloccherebbero, rallentando i cambiamenti climatici. Inoltre, ripristinare i terreni degradati aiuterebbe la ripresa verde post pandemia da COVID-19.
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L’ONU sottolinea che quasi tre quarti della terra libera dai ghiacci sono stati modificati dagli esseri umani per soddisfare una domanda sempre crescente di cibo, materie prime, autostrade e case. L’urgenza, adesso, è quella di invertire la rotta e rallentare la perdita di terreni produttivi ed ecosistemi naturali per poter garantire un futuro sostenibile e una sopravvivenza a lungo termine delle persone e del pianeta.
L’obiettivo della Giornata Mondiale contro la desertificazione e la siccità è quello di sensibilizzare la comunità globale sull’importanza di salvaguardare la Terra, trattandola come un capitale naturale e prezioso. Per raggiungere l’obiettivo della neutralità del degrado del suolo è necessario l’impegno delle grandi forze internazionali ma anche delle singole comunità.
La desertificazione è il degrado del suolo nelle aree aride, semiaride e subumide secche. È causato principalmente dalle attività umane e dalle variazioni climatiche. La desertificazione si verifica perché gli ecosistemi delle zone aride, che coprono oltre un terzo della superficie terrestre del mondo, sono estremamente vulnerabili allo sfruttamento eccessivo e all’uso inappropriato del suolo. Povertà, instabilità politica, deforestazione, pascolo eccessivo e cattive pratiche di irrigazione possono minare la produttività della terra.
La questione – sottolinea l’ONU – richiede ora la massima attenzione perché quando i terreni si degradano e smettono di essere produttivi, gli spazi naturali si trasformano e si deteriorano, le emissioni di gas serra aumentano e la biodiversità diminuisce. Questo significa inoltre che ci saranno meno spazi per tamponare le zoonosi, come il COVID-19, e per proteggerci da eventi meteorologici estremi come siccità, inondazioni e tempeste di sabbia e polvere.
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]]>© Icona Meteo - Il presente contenuto è riproducibile solo in parte, non integralmente, inserendo la citazione della fonte (Icona Meteo) e il link al contenuto originale (Giornata Mondiale delle Api, Coldiretti: «In Italia 50 miliardi di api ridotte alla fame»)
]]>Oggi si celebra la Giornata Mondiale delle Api, la cui sopravvivenza è messa a dura prova da pesticidi e crisi climatica. La Coldiretti, proprio in occasione della ricorrenza istituita dall’Onu, lancia un allarme relativo alle anomalie meteorologiche che hanno messo a dura prova le api.
La Coldiretti sottolinea che lungo il territorio nazionale almeno 50 miliardi di api sono state ridotte alla fame da un inverno a tratti insolitamente caldo e una primavera segnata da numerose gelate e repentini cali termici. Questo ha sconvolto le fioriture, con le api impossibilitate a raccogliere il nettare e gli apicoltori che di conseguenza sono stati costretti ad alimentarle negli alveari con sciroppi a base di zucchero.
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Le anomalie meteorologiche che si sono verificate lungo la nostra Penisola hanno colpito le piante in piena fioritura con conseguenze non indifferenti sul raccolto di miele mentre la pioggia e il vento violento hanno ostacolato l’attività di bottinatura delle api. La somministrazione di sostanze zuccherine, necessaria per la loro sopravvivenza, rappresenta un intervento costoso attuato con “biberon” di sciroppo a base di zucchero o miele distribuiti negli alveari per consentire la sopravvivenza degli sciami e delle api regine che non possono più contare sui rifornimenti interni.
#GiornataMondialeDelleApi, Coldiretti: il clima pazzo ha sconvolto le fioriture e ridotto alla fame 50 miliardi di api in Italia con gli apicoltori costretti ad alimentarle negli alveari con sciroppi a base di zucchero per farle sopravvivere pic.twitter.com/hJsqtQsyRk
— Coldiretti (@coldiretti) May 19, 2021
Le api contribuiscono all’impollinazione e dunque le loro difficoltà rappresentano un serio pericolo per la biodiversità. La Coldiretti specifica infatti che in media una singola ape visita generalmente circa 7000 fiori al giorno e per produrre un chilogrammo di miele sono necessarie quattro milioni di esplorazioni floreali. Dall’impollinazione delle api – prosegue la Coldiretti – dipendono in una certa misura ben 3 colture alimentari su 4. Inoltre, rappresenta un’attività fondamentale anche per la conservazione del patrimonio vegetale spontaneo.
La crisi delle api, come abbiamo detto, rappresenta un danno ambientale ma anche economico. Secondo la Coldiretti, infatti, sugli scaffali dei supermercati italiani più di un vasetto di miele su due viene dall’estero a fronte di una produzione nazionale stimata pari a 18,5 milioni di chili nel 2020.
In Italia – precisa ancora la Coldiretti – esistono più di 60 varietà di miele a seconda del tipo di “pascolo” delle api: dal miele di acacia al millefiori, da quello di arancia a quello di castagno, dal miele di tiglio a quello di melata, fino ai mieli da piante aromatiche come la lavanda, il timo e il rosmarino. Secondo le elaborazioni Coldiretti sui dati del rapporto dell’Osservatorio Nazionale Miele, in Italia ci sono 1,6 milioni di alveari curati da circa 70mila apicoltori dei quali oltre 2 su 3 sono hobbisti che producono per l’autoconsumo.
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]]>© Icona Meteo - Il presente contenuto è riproducibile solo in parte, non integralmente, inserendo la citazione della fonte (Icona Meteo) e il link al contenuto originale (Riscaldamento globale, «equatore già troppo CALDO per la sopravvivenza di alcune specie»)
]]>Il riscaldamento globale ha reso l’oceano intorno all’equatore meno ricco di fauna selvatica, con condizioni già troppo calde per la sopravvivenza di alcune specie. A rivelarlo è un recente studio, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, condotto da Scienziati dell’Università della Sunshine Coast, dell’Università di Auckland, dell’Università del Queensland e dell’agenzia scientifica australiana, CSIRO.
La nuova ricerca ha preso in esame 48.661 specie marine tra il 1955 e il 2015 – dai grandi mammiferi marini come le balene alle meduse e ai coralli -, per dimostrare che la biodiversità marina ha subito gli effetti del riscaldamento climatico su scala globale. Il professor David Schoeman, coautore dello studio, ha affermato che a diminuire non sono state le specie marine che vivono sul fondo dell’oceano ma i pesci che nuotano liberamente in superficie. Con impatti significativi in termini di cibo per tutte quelle comunità che facevano affidamento sull’oceano. Schoeman spiega inoltre come potrebbero risentirne anche le economie delle aree in cui il turismo si fonda proprio sulla ricchezza della biodiversità marina.
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«Queste specie non sono scomparse, sono appena uscite dai tropici», ha spiegato Schoeman. «Non si sta verificando solo un riscaldamento graduale, ma si sovrappongono anche ondate di calore marine che stanno diventando sempre più frequenti e più gravi. E sono in parte responsabili del rapido movimento delle specie tropicali».
I risultati della ricerca dicono chiaramente che è già troppo caldo all’equatore per la sopravvivenza di alcune specie. L’oceano ha infatti assorbito circa il 90% del riscaldamento globale dagli anni ’70, principalmente a causa dell’inquinamento da combustibili fossili e della deforestazione. Schoeman avverte che il tasso di riscaldamento «sta diventando sempre più intenso» e continuerà per decenni anche con tagli ambiziosi alle emissioni di gas serra.
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Gli scienziati avevano già lanciato l’allarme sulle conseguenze del riscaldamento dell’oceano, affermando che potrebbe verificarsi una riorganizzazione radicale delle reti alimentari marine in tutto il mondo, portando al collasso il numero di specie e favorendo lo sviluppo di specie come le alghe.
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Il professor Ove Hoegh-Guldberg, biologo marino presso l’Università del Queensland ed esperto di come il cambiamento climatico sta influenzando gli oceani, ha affermato che era stato a lungo ipotizzato che quando le acque equatoriali si sarebbero riscaldate, le specie avrebbero iniziato a spostarsi. «Queste specie sono le uniche che possono tollerare le acque calde dell’oceano e quindi, se diventa troppo caldo, non ci sono specie che prendono il loro posto. Quindi si perde quella ricchezza». Proprio per questo è fondamentale studiare e comprendere gli effetti del riscaldamento sull’oceano.
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]]>© Icona Meteo - Il presente contenuto è riproducibile solo in parte, non integralmente, inserendo la citazione della fonte (Icona Meteo) e il link al contenuto originale (API in PERICOLO: l’impatto tossico dei pesticidi è raddoppiato)
]]>Sempre maggiori i pericoli per le api e gli altri insetti impollinatori. A dare l’allarme uno studio pubblicato di recente sulla rivista Science dalla American Association for the Advancement of Science, che ha analizzato il livello di tossicità delle sostanze chimice utilizzate nei pesticidi.
I risultati sono impressionanti: l’impatto tossico dei pesticidi sulle api e su altri impollinatori è raddoppiato in appena un decennio. Questa escalation è legata a una maggiore “precisione” dei pesticidi: quelli più moderni hanno infatti una tossicità molto inferiore sui mammiferi, compresi gli esseri umani, e sugli uccelli. E sono preferibili anche perché vengono applicati in quantità inferiori.
Ma gli effetti sugli invertebrati sono devastanti: i ricercatori hanno scoperto che complessivamente l’impatto dei pesticidi moderni è molto più violento, e mortale, per gli insetti impollinatori e per quelli che vengono trasportati dall’acqua, come le libellule.
La scoperta contraddice quanto affermavano i produttori dei pesticidi, secondo cui l’impatto ambientale sarebbe stato ridotto con i prodotti più moderni.
Non possiamo dimenticare che gli insetti svolgono un ruolo vitale negli ecosistemi da cui dipendiamo anche noi: basti pensare che impollinano tre quarti delle colture! L’impatto sugli insetti avrà quindi un effetto a catena anche su di noi, oltre che su altri animali come gli uccelli, che dipendono da loro per nutrirsi.
MeteoHeroes e Legambiente insieme in difesa delle api con “Save the Queen” |
Unsplash/Dustin Humes
Lo studio, che è stato anticipato sul Guardian, ha utilizzato i dati del governo USA per analizzare l’uso dei pesticidi e il livello di tossicità delle sostanze chimiche che contengono: «guardare esclusivamente la quantità di pesticidi applicata fornisce un’immagine falsata», sottolinea il Guardian, perché la tossicità non è uguale per tutti. Citato dal giornale britannico, il professor Ralf Schulz che ha guidato la ricerca ha spiegato che «i composti che sono particolarmente tossici per i vertebrati sono stati sostituiti con una minore tossicità per i vertebrati, e questo è davvero un successo», ma ha anche evidenziato che allo stesso tempo «i pesticidi sono diventati più specifici e quindi, sfortunatamente, anche più tossici per gli organismi “non-target”, come insetti impollinatori e invertebrati acquatici».
Anche le innovazioni introdotte con entusiasmo nel campo degli OGM si rivelano ingannevoli sotto questo punto di vista: «Le colture geneticamente modificate sono state introdotte sostenendo che avrebbero ridotto la dipendenza dell’agricoltura dai pesticidi chimici», ha affermato Schulz, denunciando che questo «non è vero se guardi ai livelli di tossicità».
La situazione in Europa è probabilmente simile, ma purtroppo nell’Unione Europea non è disponile l’accesso ai dati sui pesticidi, così come in America Latina, in Cina e in Russia. Come hanno sottolineato gli scienziati, la mancanza di dati pubblici ci impedisce di avere il polso della situazione su quello che potenzialmente è «un fattore cruciale del declino della biodiversità globale».
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