Sardegna, disastro ambientale a Teulada: tutti assolti i generali imputati
Si è concluso il 18 luglio il processo contro i generali, ex capi di stato maggiore, accusati del disastro ambientale nel poligono di Capo Teulada, in Sardegna. Tutti assolti i quattro generali sotto processo e prosciolto il quinto, morto suicida a giugno. “Il fatto non sussiste”.
Il giudice Giovanni Massidda ha pronunciato la sentenza a Cagliari accogliendo la tesi dell’Avvocatura generale secondo cui non dovrebbe essere possibile procedere contro i generali perché, al momento dei fatti contestati, non era ancora in vigore il decreto del ministero della Difesa che nel 2009 aveva previsto una serie di procedure per il recupero, il riciclo e lo smaltimento di materiali usati durante le esercitazioni militari e successiva bonifica dei siti.
Davanti al giudice avevano chiesto di costituirsi parte civile la Regione Sardegna, il comune di Teulada, un gruppo di cittadini, il collettivo A Foras, il WWF Sardegna, il Gruppo d’intervento giuridico e il Partito per la tutela dei militari, che era stato escluso dal gup.
«Il disastro ambientale è stato riconosciuto, ma nessuno è responsabile», hanno commentato gli attivisti di A Foras, che nel giorno della sentenza avevano organizzato un presidio davanti al Tribunale.
Il disastro ambientale di Capo Teulada, in Sardegna: oltre 60 anni di bombardamenti
Il Poligono di Capo Teulada, nel sud-ovest della Sardegna, è il secondo più grande d’Italia e d’Europa dopo quello di Quirra, che si trova sempre nell’Isola. Istituito negli anni Cinquanta, il Poligono di Teulada comprende un territorio di 7.425 ettari a terra, a cui si sommano i 75.000 ettari per “zone di restrizione dello spazio aereo e le zone interdette alla navigazione”.
Il Poligono occupa anche 30 km di litorale, che comprendono località come Porto Scudu, parte delle dune di Porto Pino, Capo Teulada, Porto Zafferano e S’Ortixeddu, ribattezzata come “Is Americanus”. La Difesa riferisce che queste spiagge vengono bonificate prima della stagione estiva, e quindi rese fruibili per una piccola parte dell’anno.
Le esercitazioni sono di competenza dell’Esercito Italiano con la partecipazione di Marina e Aeronautica. Non di rado, però, le forze italiane sono affiancate da eserciti del Patto Atlantico e dei suoi alleati. Il Poligono è suddiviso in quattro aree di addestramento: Alfa, Bravo, Charlie e Delta (classificazione NATO).
Quella più danneggiata dal punto di vista ambientale è l’area Delta, la penisola su cui arrivano i colpi di mortaio e artiglierie, missili, sganci d’emergenza da aerei, tiri navali contro costa e bombardamenti aerei. L’area è stata bombardata ininterrottamente per decenni ed è interdetta al transito di mezzi e persone, militari e civili, per la presenza di residuati esplosivi.1
Difficile sapere quali e quanti siano i danni reali arrecati al suolo e alla zona costiera: dalle acquisizioni ambientali disposte nel corso delle indagini si è rilevato2 che, solo nel periodo compreso tra il 2008 e il 2016 – nonostante l’attivazione del piano di intervento ambientale -, «… il sito è stato bersaglio di un munizionamento pari a 860mila colpi, che equivale a una misura in peso di residui di armamenti pari a circa 556 tonnellate (e, nello specifico, che siano stati sparati un totale di circa 11.785 missili M.I.L.an)».3
Le conseguenze per l’ambiente
Nonostante gli studi eseguiti sul campo siano pochi – e con risultati che in diversi casi sono stati posti sotto segreto -, il disastro ambientale è evidente. A terra come in mare sono state abbandonate tonnellate di “corpi inerti”: sono presenti proiettili da mortaio inesplosi, bossoli, missili, cingoli di carro-armato, bombe di varia taglia e siluri.
Nel 2017, una relazione4 della Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti dell’utilizzo dell’uranio impoverito rivelava:
L’analisi condotta sulle immagini satellitari ha evidenziato la presenza di rilevanti alterazioni del terreno. Predominano quelle a forma di cratere con dimensioni che arrivano a 19-20 metri di diametro. Risulta che dal 2009 al 2013 nel Poligono sono stati utilizzati circa 24.000 colpi tra artiglieria pesante, missili e razzi, la maggior parte dei quali sparati contro la penisola.
Sulla base di questi dati e considerando soltanto le munizioni di calibro superiore, tenuto conto che negli ultimi 50 anni l’attività è stata costante, si calcola che sulla superficie si potrebbero trovare residuati per un peso totale che varia tra 1.750 e 2.950 tonnellate.
Questi residuati contengono quantità rilevanti di materiali inquinanti e sono potenzialmente in grado di determinare la contaminazione dell’ambiente. La continua attività addestrativa potrebbe provocare dispersione di polveri e sedimenti sul suolo innescando processi di inquinamento delle principali matrici ambientali (suolo, acqua, aria) e delle componenti vegetali e animali.
L’impatto è gravissimo anche per la salute dei militari e dei cittadini delle zone limitrofe
«Appare evidente che le attività svolte presso i poligoni di tiro sono potenzialmente pericolose, non solo a causa della natura intrinseca delle operazioni svolte, ma anche in ragione delle caratteristiche dei sistemi d’arma e dei munizionamenti impiegati», osservava sempre la Commissione d’inchiesta nel 2017.
Non ci sono dubbi infatti sui rischi connessi a fumi, polveri e nanopolveri, contenenti tra l’altro metalli pesanti. A questi si associano anche i pericoli legati alle radiazioni – ionizzanti (ad esempio radon, un gas radioattivo noto per la sua cancerogenicità) e non ionizzanti.
«Alcuni documenti sollecitati e acquisiti dalla Commissione mettono in luce rischi di esposizione ad agenti chimici e cancerogeni connessi a sostanze impiegate nelle diverse attività, dai carburanti alle vernici, dai solventi ai fumogeni».
Tra le sostanze più pericolose per la salute, un dossier5 del collettivo A Foras evidenzia che, solo per realizzare la miscela che innesca i missili, sono stati impiegati stifnato di piombo (esplosivo tossico), tetracene (proveniente da idrocarburi), piombo, nitrato di bario (tossico se ingerito, nocivo se inalato), alluminio, solfuro di antimonio (tossico, provoca un avvelenamento simile a quello dell’arsenico).
«La base dei più comuni esplosivi militari comprende RDX – prosegue A Foras -, un composto organico che può restare a lungo nell’ambiente, nelle munizioni inesplose o in quelle parzialmente esplose». L’RDX è una sostanza potenzialmente cancerogena per gli esseri umani.
Sebbene finora non siano stati realizzati studi approfondi in grado di documentare il legame tra le sostanze inquinanti diffuse nell’area del Poligono e alcune patologie riscontrate nella popolazione che abita le zone limitrofe, i numeri lasciano poco spazio ai dubbi.
Colpita soprattutto la frazione di Foxi, particolarmente vicina alle esercitazioni militari: la relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sottolinea infatti un «sensibile incremento della mortalità e morbosità per malattie cardiache nei residenti di Foxi, che possono essere ricondotte a esposizione a polveri e a rumore e sono coerenti con i tempi di latenza noti in letteratura». La situazione, prosegue la Commissione, «appare grave anche per i residenti di Sa Portera e Gutturu Saidu e per coloro che vivono nelle aree di S. Anna Arresi limitrofe al Poligono, dove si osservano eccessi per malattie respiratorie, dell’apparato digerente, del sistema urinario e di alcune patologie tumorali che potrebbero trovare riscontro nel profilo di sostanze tossiche provenienti dal Poligono».
Dopo la sentenza del Tribunale di Cagliari, la deputata di Alleanza Verdi e Sinistra Francesca Ghirra ha chiesto un’informativa urgente al ministro della Difesa, Guido Crosetto, sottolineando la gravità della situazione sia per l’ambiente che per la salute.
«Il disastro ambientale è stato riconosciuto nonostante i generali siano stati assolti – ha dichiarato Ghirra -. La penisola Delta, tra i casi più eclatanti di inquinamento legati alla presenza delle servitù militari, è stata dichiarata imbonificabile».
«Gli agenti inquinanti riversati nel territorio hanno la capacità di permeare la terra per decine di metri, raggiungere le falde acquifere, muoversi attraverso l’aria per chilometri e diffondersi nelle acque del mare per distanze difficilmente calcolabili. Queste sostanze entrano all’interno della catena alimentare, inquinando la pesca, l’allevamento, l’agricoltura e i prodotti alimentari. La tossicità dei materiali e la loro diffusione è alla base di numerose patologie che colpiscono animali, piante ed esseri umani».
«La Sardegna paga da troppo tempo un prezzo troppo alto in materia di basi e servitù militari, con una presenza pari al 65 per cento di tutte quelle presenti in Italia e lo sparo dell’80 per cento dell’intero munizionamento italiano», ha concluso la deputata, chiedendo «di conoscere i dati ambientali mancanti, lo stato delle bonifiche e le prospettive della Sardegna, che nel frattempo sta subendo una nuova aggressione anche in campo energetico».
1 I dati fin qui citati sul Poligono di Capo Teulada provengono dal dossier Il Poligono militare di Teulada, autoprodotto da A Foras.
2Acquisizioni ambientali disposte dalla giudice del Tribunale di Cagliari, Maria Alessandra Tedde. Nell’ordinanza da lei emessa nel 2021 si legge che “Fin dagli anni ’50 la penisola è stata bersaglio di tutti i sistemi di arma impiegati per le esercitazioni a fuoco da parte del personale delle Forze Armate italiane e delle Forze straniere alleate (zona di arrivo: dei colpi di mortai e artiglierie, di missili filo guidati, di tiri navali contro costa, di bombardamento e mitragliamento aereo, per sganci di emergenza per gli aerei).”
3 Acronimo di Missile d’Infanterie Léger ANtichar: i M.I.L.an sono missili anticarro dotati di sistemi traccianti al torrio, un metallo radioattivo.
5 Il Poligono militare di Teulada, A Foras.
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