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Piovono parole: per la siccità il governo sceglie la politica dell’emergenza

Sono passati 50 giorni dall’inizio del 2024 e l’Italia ha già problemi di siccità. Gran parte del nostro Paese ha ricevuto piogge inferiori alla media, e le Alpi e gli Appennini sono a malapena imbiancati dalle poche nevicate delle ultime settimane. Tutto questo trova un sistema idrico ancora impreparato alle nuove sfide legate alla crisi climatica, in cui la pioggia che cade non viene sfruttata a dovere, e in cui perdiamo il 46% dell’acqua potabile immessa nella rete.

Dei 10 mila progetti per la creazione di nuovi invasi previsti entro il 2030, ne sono stati finanziati solo poche centinaia. Nel frattempo i ghiacciai si assottigliano, la neve fresca si fonde prima del normale e la pioggia non arriva. L’amministrazione, alla luce dei cambiamenti che ormai sono sempre più evidenti, dovrebbe uscire dalla politica dell’emergenza che si limita alla compensazione dei danni post evento e favorire un processo di mitigazione e adattamento sul medio-lungo termine.

Siccità a fine inverno 2023-2024: tra poche piogge e nevicate, e un caldo anomalo

A metà febbraio 2024 manca il 64% dell’acqua stoccata nella neve (Snow Water Equivalent o SWE), un deficit preoccupante specie sulle Alpi (-63%) da cui arriva l’acqua che alimenta tra primavera ed estate i fiumi del Nord Italia. Ma le condizioni peggiori si registrano però sull’Appennino: qui infatti la stagione della neve è mancata del tutto. Il bacino del Tevere, ad esempio, che ha ricevuto nevicate solo a novembre, registra un deficit del SWE del -93%.

Scarsi accumuli di neve fusi da settimane di caldo anomalo. L’area innevata è scesa al suo valore minimo all’inizio di febbraio 20241 a causa del mix di temperature anomale e assenza di precipitazioni. Questa è stata la peggiore combinazione per la neve sulle nostre montagne.

Frazione di superficie innevata sulle Alpi per la stagione nevosa 2023-2024 (linea rossa) a confronto con la climatologia (linea blu mediana, 25° e 75° percentile - area più scura, area minima e massima più chiara). Fonte: Monitoraggio della neve delle Alpi
Frazione di superficie innevata sulle Alpi per la stagione nevosa 2023-2024 (linea rossa) a confronto con la climatologia (linea blu mediana, 25° e 75° percentile – area più scura, area minima e massima più chiara). Fonte: Monitoraggio della neve delle Alpi

Ma anche la pioggia è stata scarsa. I lunghi periodi dominati dall’anticiclone hanno impedito l’arrivo di piogge diffuse. Il bimestre dicembre-gennaio ha mostrato un consistente deficit pluviometrico pari a -27% sull’intero territorio nazionale secondo i dati di Meteo Expert, pari a quasi 10 miliardi di metri cubi di acqua in meno rispetto alla media.

Da questa situazione deriva lo stato di allerta dell’Osservatorio sulla Siccità del servizio Copernicus, rilevato su gran parte del nostro territorio a fine gennaio a causa della scarsa umidità del suolo rilevata, e di particolare gravità in Sicilia dove si osservano già conseguenze sulla vegetazione. Secondo l’Autorità del Distretto Idrografico della Sicilia, il volume cumulato dei bacini idrici al 1° gennaio 2024 era del 18% inferiore rispetto al 1° gennaio 2023, che era già del 39% inferiore rispetto al 1° gennaio 2022.

Dopo un 2023 estremamente caldo, condizioni di siccità stanno infatti nuovamente colpendo la maggior parte della regione del Mediterraneo, e sono già associate a gravi impatti e stress vegetativo, visibili persino dallo spazio.

Siccità a fine gennaio 2024. Fonte Osservatorio siccità Copernicus

Le condizioni atmosferiche della seconda metà del 2023 non sono state quelle tipiche previste durante El Niño, che invece tenderebbe a favorire estati e autunni più umidi della media nella regione del Mediterraneo occidentale2. Ciò evidenzia la non linearità nella teleconnessione tra El Niño e le condizioni climatiche europee, influenzate anche da altri fattori esterni (ad esempio, il dipolo dell’Oceano Indiano o condizioni dell’Oceano Atlantico), e da cambiamenti climatici o variabilità atmosferica interna che possono modulare la risposta e le condizioni osservate nella regione.

Nei prossimi mesi inoltre, secondo le ultime analisi dell’Osservatorio sulla Siccità europeo, potrebbero arrivare meno piogge del normale nel Sud Italia, con ricadute sulla portata fluviale, che in gran parte d’Italia potrebbe risultare più scarsa del solito.

Probabilità di anomalie del flusso del fiume per il periodo febbraio - marzo 2024. Le soglie di probabilità si riferiscono al 90° e 10° percentile della portata media del periodo climatico 1991 - 2019.
Probabilità di anomalie del flusso del fiume per il periodo febbraio – marzo 2024. Le soglie di probabilità si riferiscono al 90° e 10° percentile della portata media del periodo climatico 1991 – 2019.

E potremo essere solo all’inizio. Il deficit accumulato, se non compensato dalle piogge primaverili, potrebbe portare a gravi criticità durante i mesi più caldi, quando mancherà l’acqua di fusione dei ghiacciai e della neve. In Sardegna, la prolungata siccità ha portato ad una riduzione della disponibilità idrica nei bacini artificiali, stimata a meno del 50% della loro capacità nel dicembre 2023.

Per ridurre il rischio di perdite nei raccolti e di razionamenti in estate, è fondamentale conoscere la situazione idrica italiana e investire di conseguenza per aumentarne la stabilità in vista dei cambiamenti meteo-climatici in atto e degli scenari futuri che vedono il Mediterraneo come uno degli hotspot del riscaldamento globale.

“Al Nord si prospetta una stagione estiva senza particolari apprensioni idriche” – ha detto il direttore generale di Anbi, l’associazione dei consorzi di bacino – mentre “al Sud è già emergenza”. “Aumentare la cultura dell’acqua è fondamentale per accelerare gli investimenti necessari a traghettare il Paese verso i nuovi scenari climatici, incrementando le riserve idriche ed evitando di disperdere in mare, come continua ad avvenire, grandi quantità d’acqua”.

Ecco come gestiamo l’acqua in Italia

Ma qual è la situazione italiana? L’Italia beve acqua che proviene per l’85% dal sottosuolo, più precisamente il 48,9% da pozzo e il 35% da sorgente. Sfruttiamo meno le acque superficiali: il 9,6% dell’acqua viene prelevata da bacini artificiali, il 5% dai corsi d’acqua e lo 0,5% dai laghi naturali, mentre il restante 0,1% arriva da acque marine o salmastre3.

Nel nostro Paese dunque l’acqua arriva prevalentemente da fonti sotterranee, con quote superiori al 75% in tutti i distretti idrografici, ad eccezione della Sardegna, la regione meno piovosa, dove poco meno del 22% del prelievo deriva da sorgente o pozzo. Persino i distretti dell’Appennino centrale e delle Alpi orientali utilizzano fonti sotterranee per oltre il 95% dei prelievi effettuati sul loro territorio. I bacini artificiali vengono sfruttati soprattutto in Sardegna, dove incidono del 77,8% sul volume complessivo, e lungo l’Appennino meridionale (15,9%), specie in Basilicata (80,8%) e Sicilia (15,2%).

Bacini idrici e dighe in Italia. Fonte Global Dam Watch
Bacini idrici e dighe in Italia. Fonte Global Dam Watch

Dal censimento emerge come l’Italia faccia relativamente poco affidamento sulle acque superficiali che, prima di entrare nella rete devono subire trattamenti di potabilizzazione. Si tratta di un processo che per forza di cose richiede una manutenzione degli impianti più impegnativa, e che per questo è andata diminuendo nel corso dei decenni.

Oltre ai 347 laghi italiani, abbiamo a disposizione 526 grandi dighe e un sistema di 20.000 piccoli invasi in cui viene immagazzinato oggi l’11,3% dell’acqua piovana utilizzabile, rispetto al 15% degli anni ’704. La domanda di acqua però è aumentata, specie in relazione alla forte urbanizzazione e allo sviluppo economico, ma quella raccolta dai bacini idrici è sempre più soggetta al rischio di inquinamento, alla variabilità delle precipitazioni e agli interrimenti, ovvero il continuo deposito di sedimenti che se non rimossi, diminuiscono la capienza effettiva dei bacini. Oggi infatti stocchiamo 9 miliardi di metri cubi in meno di acqua piovana rispetto a 50 anni fa. Attualmente, da Nord a Sud, mancano all’appello 2.000 piccoli e medi invasi.

Bacini e dighe. Fonte GRanD Database
Bacini e dighe. Fonte GRanD Database

L’Italia dovrebbe essere un Paese ricco di acqua. Sorge nel cuore del Mediterraneo e presenta vaste catene montuose che ricoprono due terzi del territorio e che danno vita a 1.053 grandi falde montane, 7.494 corsi d’acqua e 1.242 torrenti. Sul territorio italiano piovono in media 207 miliardi di metri cubi di acqua ogni anno, una risorsa che viene in parte raccolta dal sistema e che, se “utilizzabile” sfruttiamo per solo l’11%. Il progetto degli invasi, la maggior parte aziendali e quindi privati con cofinanziamento pubblico dove possibile, dovrebbe portare questa percentuale al 30-35%.

Non dimentichiamoci inoltre che sprechiamo troppa acqua. Le reti di distribuzione dell’acqua potabile disperdono 3,4 miliardi di metri cubi, ovvero il 42,2% dell’acqua immessa in rete, con picchi superiori nei distretti idrografici della fascia appenninica centro-meridionale e insulare, nonché nelle regioni del Mezzogiorno. Se la rete fosse priva di perdite, potremmo in generale fare affidamento su 373 litri per abitante ogni giorno, invece dei 215 litri per abitante.

Per affrontare la nuova frontiera climatica, fatta di lunghi periodi siccitosi ed intensi episodi piovosi, è necessario investire nel sistema idrico italiano e creare nuovi invasi artificiali che raccolgano l’acqua piovana e quella di disgelo che altrimenti si disperderebbe in mare.

I progetti per la creazione di invasi medio-piccoli che avrebbero goduto dei finanziamenti messi in campo dal Pnrr per le opere idriche sono poche centinaia, ma il piano complessivo prevedeva di realizzare 10 mila invasi entro il 2030 a servizio dell’irrigazione agricola. La regione che conta più progetti attivi è l’Emilia Romagna con 40 bacini, seguita dalla Toscana (34). Ma ci sarebbero tante cave dismesse o abbandonate che, se riconvertite, potrebbero essere utilizzate come serbatoi d’acqua per l’irrigazione dei campi limitrofi.

I benefici dei bacini idrici artificiali sono diversi: oltre a raccogliere l’acqua piovana, garantendo un approvvigionamento idropotabile e per l’irrigazione, prevengono le magre dei fiumi e permettono la laminazione delle piene, evitando situazioni eccezionali ed emergenziali a valle, oltre a garantire un costante flusso vitale per l’ecosistema di un fiume, durante i periodi più siccitosi, e un serbatoio utile per canadair ed elicotteri durante gli incendi boschivi.

Il «Piano Laghetti» presentato da Anbi puntava a realizzare subito 223 nuovi invasi con un costo stimato di 3,2 miliardi di euro, ad un costo medio quindi di 14,3 milioni di euro l’uno. Si tratta di un investimento importante, ma ragionevole se consideriamo che secondo le stime di Coldiretti i danni da siccità per il 2022 ammontavano 6 miliardi di euro.

Il governo e le autorità locali devono investire su queste opere e promuovere la loro implementazione al fine di realizzarle il prima possibile: la situazione in Italia sarà infatti sempre più soggetta alla cosiddetta “frusta climatica“, ovvero una estremizzazione dei fenomeni da una parte e dall’altra, tra piogge torrenziali e siccità. Aumentare la disponibilità di acqua da nuovi bacini idrici, sarà quindi fondamentale.

  1. https://edo.jrc.ec.europa.eu/documents/news/GDO-EDODroughtNews202401_Mediterranean.pdf
  2. Shaman, J., and E. Tziperman, 2011: An Atmospheric Teleconnection Linking ENSO and Southwestern European Precipitation. Climate, 24, 124 139, https://doi.org/10.1175/2010JCLI3590.1
  3. Istat, Censimento acque per uso civile. Periodo di riferimento: 2020
  4. “Acque d’Italia” (Giunti Editore); Erasmo D’Angelis
  5. Report Febbraio – Fondazione Ricerca CIMA

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