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Le banche continuano a investire nelle fonti fossili nonostante gli impegni per azzerare le emissioni

Mentre il legame tra clima e finanza si mostra sempre più centrale nella lotta al surriscaldamento globale, una ricerca rivela che molte delle banche e istituzioni che hanno sottoscritto impegni per azzerare le emissioni nette stanno ancora investendo abbondantemente nei combustibili fossili.

In particolare, l’analisi realizzata dall’organizzazione Reclaim Finance si è focalizzata sulle istituzioni che hanno preso parte all’iniziativa Glasgow Financial Alliance for Net Zero (GFANZ), lanciata alla COP26 del 2021 nella città scozzese. Lo scopo dell’iniziativa è quello di allineare gli investimenti di banche e istituzioni della finanza all’obiettivo di salvaguardare il clima e limitare l’aumento della temperatura media globale a 1.5°C rispetto ai livelli preindustriali. «I nostri oltre 550 membri sono importanti istituzioni finanziare di oltre 50 paesi», vanta l’Alleanza presentandosi: «queste aziende si sono impegnate individualmente a soddisfare i severi criteri della Race to Zero», la campagna promossa dalle Nazioni Unite per il raggiungimento della neutralità carbonica entro metà secolo.

Nell’ambito della Glasgow Financial Alliance for Net Zero si sono formate delle alleanze più piccole che raggruppano le realtà aderenti a seconda dei settori. Quella delle banche si chiama Net Zero Banking Alliance, che riunisce 126 istituti di cui diversi italiani, come BPER Banca, Intesa Sanpaolo, Monte dei Paschi di Siena e Unicredit (qui l’elenco completo).

Le banche che hanno aderito all’Alleanza si sono impegnate ad allineare i loro portafogli di prestiti e investimenti con l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, ovvero l’azzeramento delle emissioni nette individuato dagli scienziati come traguardo fondamentale per evitare gli impatti più devastanti del surriscaldamento globale.
Ma nei fatti molti istituti sembrano andare in un’altra direzione, mentre miliardi e miliardi di dollari continuano ad alimentare i capitali dei giganti del fossile.

L’analisi realizzata da Reclaim Finance rivela infatti che, da quando sono entrate a far parte dell’Alleanza, 56 delle più grandi banche del gruppo hanno fornito 270 miliardi di dollari a 102 importanti società di combustibili fossili per la loro espansione.

Solo una manciata di istituti finanziari ha adottato davvero pratiche che limitano in modo significativo i finanziamenti a nuovi progetti di combustibili fossili da quando sono entrati a far parte di GFANZ, osservano gli esperti. Ma gli altri sono andati avanti a sostenere lo sviluppo di nuove centrali a carbone, miniere e infrastrutture inquinanti, nonché nuovi impianti petroliferi, giacimenti e gasdotti. Tutti progetti incompatibili con l’obiettivo di limitare l’aumento delle temperature a 1.5°C.
«La scienza è molto chiara: dobbiamo interrompere lo sviluppo di nuovi progetti di carbone, petrolio e gas il prima possibile se vogliamo raggiungere i nostri obiettivi climatici ed evitare lo scenario peggiore», sottolinea Lucie Pinson, direttrice esecutiva e fondatrice dell’organizzazione. «Tuttavia, per la maggior parte delle banche e degli investitori è normale continuare a sostenere le società di combustibili fossili senza alcuna restrizione, pur avendo assunto impegni per la neutralità climatica. Il loro greenwashing è tanto più dannoso in quanto mette in dubbio la sincerità di tutti gli impegni net zero e mina gli sforzi di quanti agiscono veramente per il clima».

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