La crisi climatica colpisce maggiormente le donne a livello globale
Il cambiamento climatico è una delle più grandi sfide globali di questo secolo e i suoi impatti variano seconda delle zone del Pianeta, delle generazioni, dell’età, delle classi, dei gruppi di reddito e, anche, del genere. Le donne sono maggiormente esposte agli effetti dannosi della crisi climatica e lo sono per diversi motivi.
Secondo gli ultimi report del’IPCC, si prevede che i poveri, principalmente nei Paesi in via di sviluppo, saranno colpiti in modo sproporzionato e di conseguenza avranno il maggior bisogno di strategie di adattamento.
Ma l’impatto del cambiamento climatico è maggiore sulle donne principalmente perché, come afferma la scienziata sudanese Balgis Osman-Elasha una delle principali autrici del quarto rapporto di valutazione del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, rappresentano la maggioranza dei poveri del mondo e sono proporzionalmente più dipendenti dalle risorse naturali minacciate. In tutto il mondo hanno meno accesso degli uomini a risorse come come terra, credito, fattori produttivi agricoli, strutture decisionali, tecnologia, formazione e servizi di divulgazione che rafforzerebbero la loro capacità di adattamento ai cambiamenti climatici.
An estimated 80% of people displaced by the climate crisis are women.
When women are displaced, they are at greater risk of violence, says @UNHumanRights chief @mbachelet.
More about how the climate emergency & violence against women are linked:https://t.co/TReccwbv9j pic.twitter.com/LXSsCPK5J8
— United Nations (@UN) July 13, 2022
La vulnerabilità delle donne al cambiamento climatico
Secondo quanto riferisce l’Onu il 70% degli 1,3 miliardi di persone che vivono in condizioni di povertà al mondo sono donne. Nelle aree urbane, il 40% delle famiglie più povere è guidato da donne e predominano nella produzione alimentare mondiale (50-80%), ma possiedono meno del 10% della terra.
Rappresentano inoltre un’alta percentuale di comunità povere che dipendono fortemente dalle risorse naturali locali per il proprio sostentamento, in particolare nelle aree rurali dove si assumono la principale responsabilità dell’approvvigionamento idrico domestico e dell’energia per cucinare e riscaldarsi, nonché per la sicurezza alimentare.
Le donne hanno accesso e controllo limitati a beni e servizi ambientali; hanno una partecipazione trascurabile al processo decisionale e non sono coinvolte nella distribuzione dei benefici della gestione ambientale. Di conseguenza, le donne sono meno in grado di affrontare il cambiamento climatico.
Con gli eventi estremi si moltiplicano anche le violenze di genere
Oltre alla vulnerabilità agli impatti dei cambiamenti climatici, c’è anche l’aspetto legato agli effetti a catena degli eventi estremi che implicano anche un aumento della violenza contro le donne. Dopo l’uragano Katrina negli Stati Uniti nel 2005, infatti, il tasso di stupri tra le donne sfollate nei parcheggi per roulotte è aumentato di 53,6 volte il tasso di riferimento nello stato del Mississippi per quell’anno. Anche le donne LGBTIQ+ hanno subito danni fisici e violenze nei centri di accoglienza post-disastro.
A seguito di due cicloni tropicali a Vanuatu nel 2011, c’è stato un aumento del 300% dei casi di violenza domestica segnalati. Picchi di matrimoni precoci sono stati osservati anche in Bangladesh in coincidenza con le inondazioni del 1998 e del 2004.
Sia in Messico che in America Centrale, ad esempio, tra il 2016 e il 2019 sono stati registrati circa 1.698 atti di violenza contro le donne difensori dei diritti umani ambientali.
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