Disidratare la stratosfera per raffreddare il Pianeta? Le nuove frontiere della geoingegneria climatica
Disidratare la stratosfera potrebbe aiutare a “raffreddare” il pianeta? Secondo gli scienziati della NOAA sì, ma solo in piccola parte. Il crescente ritmo a cui il pianeta di sta surriscaldando sta portando gli scienziati a cercare nuove soluzioni nel campo della geoingegneria per frenare l’aumento delle temperature. L’ultima di queste soluzioni ipotizzate prevede la rimozione parziale di vapore acqueo dall’atmosfera. Lo studio sulla “disidratazione stratosferica intenzionale” (o ISD) è stato realizzato da alcuni scienziati della NOAA ed è stato pubblicato sulla rivista Science Advances.
Il ragionamento alla base è questo: sebbene le emissioni di anidride carbonica siano le maggiori responsabili del cambiamento climatico, anche il vapore acqueo gioca un ruolo importante nell’effetto serra della Terra. Il vapore acqueo è difatti il gas serra più abbondante e da esso dipende circa la metà dell’effetto serra naturale della Terra, quello che mantiene il nostro pianeta abitabile.
Crisi climatica, disidratare la stratosfera potrebbe essere una delle strategie possibili
Il concetto di disidratazione stratosferica intenzionale (ISD), secondo l’autore principale dello studio e fisico ricercatore presso il Laboratorio di Scienze Chimiche della NOAA Joshua Schwarz, implicherebbe la dispersione di piccole particelle (conosciute come nuclei di ghiaccio) ad alta quota in atmosfera in regioni molto fredde e super sature di vapore acqueo. Questi nuclei permetterebbero di aumentare la formazione di cristalli di ghiaccio che altrimenti non potrebbero formarsi. Il vapore acqueo puro non forma facilmente cristalli di ghiaccio per questo motivo servono dei nuclei di condensazione, ad esempio una particella di polvere, intorno alla quale si può formare il ghiaccio.
Questi nuclei di condensazione potrebbero essere introdotti nelle masse d’aria super-sature dirette nella stratosfera. In tal modo parte del vapore acqueo si condenserebbe in ghiaccio e cadrebbe verso il suolo, rimuovendo così il vapore acqueo in eccesso e “disidratando” la stratosfera (almeno parzialmente).
Nel nostro Pianeta, gli scienziati hanno individuato una regione in cui questo potrebbe avvenire: la Western Pacific Cold Point (WCP), una regione dell’atmosfera grande all’incirca quanto l’Australia. Il vapore acqueo entra nella stratosfera principalmente ai tropici. La tropopausa – il confine che separa la troposfera dalla stratosfera – sul Pacifico tropicale occidentale, in particolare presso il WCP, è nota per essere la porta principale per determinare la quantità di vapore acqueo trasportato nella stratosfera.
Questa zona è abbastanza fredda da congelare naturalmente l’aria umida formando e facendo piovere cristalli di ghiaccio, però mancano quei nuclei di condensazione fondamentali per il processo, e senza nuclei di ghiaccio, l’umidità relativa dell’aria rispetto al ghiaccio deve essere vicina al 200% affinché si formino spontaneamente cristalli di ghiaccio.
Aggiungendo nuclei di ghiaccio, il metodo ISD non cercherebbe di creare un nuovo meccanismo per rimuovere il vapore acqueo dall’aria, ma proverebbe invece ad aumentare quello già presente nel WCP.
Nel loro studio, i ricercatori hanno utilizzato un modello computerizzato per simulare le condizioni del WCP, guidato dalle osservazioni della temperatura e dei movimenti dell’aria tropicale vicino alla stratosfera. Ciò ha dimostrato che il concetto di ISD era efficace nella teoria.
Gli autori hanno stimato l’effetto climatico della dispersione dei nuclei di ghiaccio solo nell’aria più fortemente super satura del WCP. La scala risultante dell’esaurimento dell’acqua stratosferica equivaleva a una riduzione del forzante radiativo di circa 1/70 dei 2,2 W/m2 indotti dalle emissioni di CO2 prodotte dall’uomo dal 1750. “Si tratta di un effetto molto piccolo”, ha detto Schwarz, aggiungendo che l’ISD da solo non riuscirebbe a contrastare una grande frazione del riscaldamento generato dalla CO2.
Secondo gli scienziati però potrebbe essere un elemento di un portafoglio più ampio di strategie di intervento per mitigare la crisi climatica. Ogni opzione di geoingegneria comporta infatti dei pregi e dei difetti, come implicazioni secondarie più ampie, e comporta dei diversi tempi di efficacia. L’attività di ricerca degli scienziati serve dunque ad esplorare diverse strategie di intervento e comprendere come queste possano contribuire o nuocere al sistema climatico del Pianeta.
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