Clima, piani di adattamento meno efficaci man mano che il mondo si riscalda
Il riscaldamento globale continua la sua corsa, con impatti sempre più evidenti e intensi in ogni angolo del Pianeta, ed è fondamentale intervenire ora con piani di mitigazione e adattamento, in modo da non perdere il “momentum“, lo slancio necessario per mantenere l’efficacia delle azioni messe in campo.
Nell’ultimo decennio le temperature globali sono aumentate di circa 1,2 gradi rispetto ai livelli preindustriali con effetti a cascata sul clima. Abbiamo registrato siccità eccezionali in Medio Oriente e in Europa, incendi devastanti in Canada, inondazioni in Nuova Zelanda e un caldo senza precedenti in molte zone del mondo, inclusi gli oceani che ormai da 1 anno raggiungono temperature record.
Secondo uno studio realizzato da Carbon Brief e pubblicato su One Earth l’efficacia dell’adattamento legato all’acqua diminuisce notevolmente una volta che il riscaldamento supera 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. In particolare superati i 1,5 gradi hanno una efficacia del 90%, se supera i 2 gradi del 69%, se supera i 3 gradi del 62%, mentre se supera i 4 gradi del 46%. Ogni ritardo nei piani di adattamento legati all’acqua richiede quindi uno sforzo maggiore per ottenere lo stesso risultato. Per questo motivo è necessario evitare di superare la soglia degli 1,5 gradi affinché sia possibile un adattamento efficace.
La maggior parte degli adattamenti attualmente documentati sono legati all’acqua, sia nel senso che rispondono a un pericolo legato all’acqua, sia nel senso che l’adattamento è legato alla gestione dell’acqua in un dato settore. L’agricoltura, in quanto principale utilizzatore di acqua, rappresenta la quota maggiore di adattamento settoriale.
Adattamento, sforzi insufficienti e più il Pianeta si riscalda più risultano inefficaci
Nonostante i crescenti sforzi di adattamento, secondo l’ultimo rapporto dell’IPCC, il “gap di adattamento” – ovvero lo scarto tra ciò che è necessario fare e ciò che è stato fatto – sta aumentando. Stiamo facendo troppo poco per limitare gli impatti del riscaldamento globale, e questa differenza continua a crescere.
Allo stesso tempo però è difficile quantificare i benefici risultati dai piani di adattamento implementati. Non è possibile al momento misurare gli impatti che abbiamo evitato, o le ricadute sulle società e sul benessere umano. Pertanto è fondamentale una migliore comprensione del potenziale di riduzione del rischio derivante dall’adattamento, poiché gli impatti climatici diventeranno più gravi nei prossimi decenni. Con risorse limitate da investire, è essenziale poter prendere decisioni informate.
Lo studio si è posto l’obiettivo di comprendere l’efficacia di una serie di interventi di adattamento utilizzati di frequente nei settori idrico e agricolo, centrali negli attuali approcci di modellazione degli impatti futuri.
I risultati restituiscono un quadro preoccupante: le opzioni di adattamento sono efficaci nel ridurre i rischi nella maggior parte degli ambienti valutati fino a 1,5°C di riscaldamento, ma con un aumento del riscaldamento, l’efficacia diminuisce in tutte le opzioni e regioni.
In media, l’efficacia dell’adattamento tra tutte le misure valutate a 1,5°C è del 90%.
Tuttavia, questo valore scende a un’efficacia media del 69% a 2°C e del 62% a 3°C – uno scenario ancora possibile secondo le attuali politiche climatiche. A 4 gradi l’efficacia diminuisce ulteriormente fino a una media del 46%: praticamente con la misura di adattamento verrebbero evitati meno della metà degli impatti previsti.
Il calo di efficacia è più pronunciato per le opzioni di adattamento legate all’agricoltura. Si parla di cambiamenti nei modelli di coltivazione e nei sistemi colturali, che a 1,5°C mostrano un’elevata efficacia, ma cala fino a 14% con 4 gradi di riscaldamento globale.
I piani di adattamento legati all’energia, al rischio di inondazioni e alla gestione dell’acqua a livello urbano, invece, probabilmente potrebbero vedere un calo minore dell’efficacia dei piani di adattamento, che potrebbe assestarsi intorno all’80% in tutti gli scenari climatici.
I piani di adattamento in uno scenario climatico sotto la soglia degli 1,5 gradi comportano anche dei benefici secondari, migliorando le condizioni in uno spettro più ampio: il passaggio dall’agricoltura alimentata dalla pioggia ai sistemi di irrigazione, ad esempio, produce in molti casi benefici collaterali.
I nostri risultati sull’adattamento in tutta l’Africa mostrano che i co-benefici potrebbero essere sostanziali nel colmare le lacune di adattamento esistenti: il 54% degli studi valutati indica potenziali co-benefici a 1,5°C. Tuttavia, questo potenziale diminuisce al 12% a 4°C.
In alcune situazioni, invece, l’adattamento non solo diventa inefficace nel ridurre il rischio, ma addirittura aggrava la situazione, portando al “disadattamento”. L’Africa mostra la percentuale maggiore di esiti negativi a tutti i livelli di riscaldamento. Ad esempio, l’intensificazione della coltivazione di mais e sorgo nell’Africa occidentale o la semina anticipata del mais in Uganda riducono ulteriormente i raccolti – oltre agli impatti climatici – anziché ridurre il rischio previsto, anche con un riscaldamento di 1,5°C.
Ma questa valutazione, lo sottolineano gli stessi autori dello studio, presuppone che l’adattamento avvenga in un contesto controllato, privo di condizionamenti derivanti da altri fattori quali vincoli e limiti legati alla governance e alle istituzioni, la disponibilità di informazioni, la consapevolezza, la capacità umana e vincoli socio-culturali. Queste condizioni potrebbero infatti ridurre la misura in cui l’adattamento può effettivamente limitare i rischi climatici.
In ogni caso, i piani di adattamento risultano efficaci solo se vengono messi in atto insieme ad un’ambiziosa azione di mitigazione che limiti il riscaldamento a 1,5°C. I due devono viaggiare insieme: l’adattamento non può essere una alternativa alla mitigazione, né può essere visto come un modo per concedere ritardi negli sforzi di mitigazione.
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