C’è una correlazione tra la sovrabbondanza di alghe e l’espansione degli allevamenti di pesce
L’Intergovernmental Oceanographic Commission dell’UNESCO ha condotto un’analisi molto dettagliata su circa 10000 fioriture di alghe avvenute negli ultimi 33 anni: è stata descritta la distribuzione geografica di questi eventi facendo emergere una relazione tra la frequenza con cui si presentano e la crescita dell’industria dell’acquacoltura. Buona parte del pesce che mangiamo proviene dall’acquacoltura: si tratta quindi di pesce d’allevamento. Secondo la FAO nella prospettiva del costante aumento della popolazione mondiale e della riduzione delle riserve naturali di pesce, l’allevamento industriale di pesce, crostacei e molluschi potrebbe essere l’unica soluzione. Lo studio, redatto in 7 anni di lavoro da 109 scienziati di 35 diversi Paesi, è stato pubblicato sulla rivista scientifica Communications Earth & Environment in occasione della Giornata mondiale degli Oceani l’8 giugno. La Commissione Oceanografica Intergovernativa è l’organismo delle Nazioni Unite responsabile del sostegno alla scienza e ai servizi oceanici globali. Istituita nel 1960 consente ai suoi 150 Stati membri di lavorare insieme per proteggere la salute degli oceani, coordinando programmi come le osservazioni oceaniche, l’allerta tsunami e la pianificazione dello spazio marino. Si tratta di un punto di riferimento per tutti gli altri organismi delle Nazioni Unite che stanno lavorando per comprendere e migliorare la gestione dei nostri oceani, coste ed ecosistemi marini.
Nei nostri mari sono presenti circa 5.000 specie di microalghe che stanno alla base delle catene alimentari oceaniche perché aiutano la regolazione della CO2 atmosferica e producono quasi la metà dell’ossigeno che respiriamo. Sono però presenti anche 250 specie dannose per l’uomo e per la fauna marina in quanto producono potenti tossine che possono mettere a rischio la salute degli organismi acquatici e la sicurezza di tutta la catena alimentare. Gli studiosi hanno evidenziato che tra il 1985 e il 2018 la produzione di cibo e alghe in acquacoltura è aumentata di 16 volte, passando da 11,35 milioni di tonnellate a 178,5 milioni di tonnellate globali di organismi marini. I maggiori incrementi nella produzione si sono verificati nel sud-est dell’Asia, in Centro e Sud America, nella zona dei Caraibi, mentre i livelli di acquacoltura nel Nord America e in Europa si sono stabilizzati. Secondo gli autori del lavoro, il numero di fioriture algali registrate è fortemente correlato dal punto di vista geografico alla produzione più intensa di organismi acquatici in quelle stesse regioni del mondo: insieme alla domanda di pesce cresce anche la frequenza di fioriture algali potenzialmente pericolose.
Eventi di crescita incontrollata, anche nel caso delle microalghe non tossiche, producono una biomassa vegetale tanto abbondante da ridurre drasticamente i livelli di ossigeno in acqua, otturare le branchie dei pesci, danneggiare i coralli e le piante acquatiche, cambiare il colore dell’acqua, contaminare mari e spiagge con cumuli di materiale vegetale puzzolente in decomposizione. Questi gli effetti negativi per l’uomo delle 9.503 fioriture algali considerate nello studio: il 48% aveva comportato la diffusione di tossine su animali marini, il 43% aveva provocato un importante aumento della biomassa, decolorazione dell’acqua e un impatto socioeconomico, il 7% aveva causato mortalità di massa tra animali e vegetali e il 2% un impatto di altro tipo, come la produzione di schiuma o mucillagini, sostanze vischiose di origine vegetale, che trattengono l’acqua, gonfiandosi. Serviranno comunque studi più approfonditi perché il maggiore sfruttamento degli allevamenti marini comporta anche un più attento monitoraggio delle fioriture algali a tutela della salute dei consumatori e una maggiore disponibilità di dati.
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