Anche il Mediterraneo subirà un processo di acidificazione
Anche il Mediterraneo è vulnerabile al processo di acidificazione, un fenomeno che sta interessando tutti i mari e oceani del Mondo, compromettendo l’equilibrio degli ecosistemi. Un recente studio condotto da un gruppo di ricerca che ha coinvolto in prima linea l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale OGS, ha identificato come e quali sono le zone del Mar Mediterraneo maggiormente interessate da questo fenomeno.
Mediterraneo vulnerabile all’acidificazione: ma cosa significa?
Il processo di acidificazione riguarda bene o male tutti gli oceani e mari del Mondo, ed è alimentato dalle concentrazioni crescenti di gas serra in atmosfera. Gli oceani infatti, sottraendo dall’atmosfera i gas serra, così facendo frenando in parte il riscaldamento globale, subiscono una alterazione del loro pH. Questo non significa che gli oceani o i mari diventano acidi, ma che il pH si sta abbassando verso un pH 7, ossia neutro.
Circa il 25-30% delle emissioni di gas ad effetto serra, infatti, finisce negli oceani alterando la funzionalità degli ecosistemi e compromettendo lo stato di salute della biodiversità marina. Gli effetti negativi quindi si traducono, egoisticamente, anche nei cosiddetti servizi ecosistemici, come pesca e acquacoltura, attività da cui dipende anche il nostro benessere.
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Il Mediterraneo, così come altri bacini del Mondo, ha subito un processo di acidificazione nel corso degli anni, e secondo lo studio, nel corso dei prossimi decenni il fenomeno potrebbe continuare. Nell’estate 2100 il pH potrà essere inferiore soprattutto nei settori meridionali del Mediterraneo e, ad una profondità di 50 metri, soprattutto lungo la costa africana, specie di fronte ad Alessandria d’Egitto e Alessandretta in Turchia, e con interessamento anche del tratto di mare tra Baleari e Sardegna e del mare di Creta.
“Abbiamo condotto un’analisi che ci ha consentito di identificare gli hotspot di acidificazione marina nel Mar Mediterraneo e la vulnerabilità dei servizi ecosistemici. Queste analisi permettono di stabilire quando e dove implementare delle misure di mitigazione o adattamento” racconta Donata Canu, prima ricercatrice della sezione di Oceanografia dell’OGS, coautrice dello studio interdisciplinare. “Il nostro studio ha individuato aree vulnerabili all’acidificazione sia al presente che nelle proiezioni future grazie a un modello sviluppato dall’OGS, l’OGSTM-BFM, in cui la valutazione del rischio associato all’attività è stata definita dalla combinazione della esposizione a valori di pH bassi con la sensibilità a questi livelli di pH degli organismi presi in esame”.
“Pur considerando ampie variazioni – aggiunge Serena Zunino, ricercatrice dell’OGS – l’acidificazione ha impatti negativi sulla crescita e lo sviluppo, sulla riduzione della calcificazione e sull’alterazione immunologica e fisiologica degli organismi marini che abbiamo preso in esame. I risultati dello studio mostrano come alle condizioni attuali non si riscontrano rischi legati alle attività di acquacoltura relative all’acidificazione, mentre negli scenari futuri, che prevedono un aumento dell’acidità delle acque, l’esposizione della specie d’interesse commerciale è decisamente sopra la soglia di rischio”.
Ciò significa che se continua così, l’habitat marino potrebbe cambiare, mettendo a rischio non solo la sopravvivenza delle specie, costrette ad una rapida evoluzione, ma anche le attività umane e la dipendenza dell’uomo da questi habitat. “Il rischio per gli habitat biogenici aumenta sostanzialmente in tutto il bacino durante i mesi estivi tra i 10 e i 20 metri di profondità” continua Zunino.
Per affrontare questa ennesima sfida legata alla crisi climatica serve dunque uno sforzo comunitario, con interventi e misure di adattamento sviluppate su misura, ma a livello internazionale.
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