Non è il maltempo che uccide, ma l’immobilismo dei decisori
Quando si verificano eventi meteo estremi, come quello che tra la notte e la mattina del 26 novembre 2022 ha colpito l’isola di Ischia, su un territorio fragile come l’Italia, ci ripetiamo e sentiamo ripetere per giorni: “è colpa di anni di mala politica”, “serve più prevenzione”, “serve un piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici”, e intanto quello italiano resta fermo al 2018.
Come spiega Pagella Politica, “oggi in l’Italia non esiste alcun Pnacc approvato definitivamente, ma una serie di istituzioni, enti di ricerca, istituti pubblici e privati stanno lavorando al progetto da più di sei anni. L’elaborazione del Pnacc è infatti stata avviata nel 2016, in seguito all’approvazione della Snacc, e nel 2017 e 2018 sono state svolte due consultazioni pubbliche, una revisione scientifica, e un ampio dibattito che ha coinvolto le amministrazioni pubbliche, le istituzioni regionali e locali, gli enti di ricerca e altri soggetti interessati. Il processo di approvazione si è arenato quando, nel 2018, la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha deciso di avviare una procedura di Valutazione ambientale strategica (Vas)”.
Quello di Ischia è solo l’ultimo in ordine cronologico di una serie di eventi in cui hanno perso la vita delle persone quest’anno. Tra gennaio e fine ottobre 2022 si sono contate 17 vittime causate da eventi meteo estremi, o forse è arrivato il momento di dire: causate dalla mancanza di un piano di adattamento aggiornato ai cambiamenti climatici?
L’isola di Ischia nel 2009 era stata colpita da una fase piovosa che aveva generato una frana: acqua, fango e pietre erano piombate sul porto di Casamicciola. In quell’occasione si registrò una vittima. A seguito dell’evento il presidente dei geologi della regione Campania, aveva detto ”la zona a monte della strada era già ritenuta ad alto rischio frane ma non sono stati fatti i necessari lavori di mitigazione anche perché i primi fondi che vengono tagliati dalle finanziarie sono quelli destinati alla difesa del territorio” – come riportava il quotidiano La Repubblica: “Grande rabbia” era stata espressa dal capo della Protezione civile, Guido Bertolaso: “Fino a quando non si fa manutenzione del territorio e di messa in sicurezza di tutto il nostro ambiente continueremo a dover subire questo genere di situazioni”. Oggi – 26 novembre 2022 – una abitante dell’isola ha detto ai microfoni del notiziario Studio Aperto, facendo riferimento alla tragedia del 2009 “la solita storia, questa è la seconda volta, una tragedia annunciata, avevamo denunciato la grave situazione. Ma non ci ascoltano”.
Una storia che si ripete, non quella delle frane, ma di quello che viene dopo: parole su colpe, mancanze, necessità e poi? Immobilismo totale.
Quella delle frane purtroppo è un’altra storia perché con il passare degli anni ci sono due elementi strettamente connessi che si sono aggiunti ad aggravare la situazione: l’intensificarsi dei fenomeni meteo estremi dovuto alla crisi climatica e i lentissimi provvedimenti per contrastarla.
Sempre da gennaio ad ottobre 2022 si sono registrati 79 casi di allagamento da piogge intense e 71 casi di danni da trombe d’aria e raffiche di vento, 33 casi di danni da siccità prolungata e di temperature record, 25 danni da grandinate, 12 le esondazioni fluviali, 11 i casi di danni alle infrastrutture, 10 mareggiate, 9 le frane da piogge intense e 4 danni al patrimonio storico. Chi in queste circostanze non ha perso – fortunatamente- la vita magari ha perso la casa, i campi agricoli, il bestiame o il lavoro di una vita. Quando eventi del genere colpiscono una persona, una famiglia, una comunità, queste semplicemente: perdono tutto.
L’Italia è un Paese ad alto rischio idrogeologico: oltre 6,8 milioni di persone vivono in aree a rischio per alluvioni e 1,3 milioni si trovano in aree a rischio frane. Un altro aspetto drammatico è quello degli edifici a rischio alluvioni, oltre 1,5 milioni ossia il 10,7% del totale. Eppure tra il 1999 e il 2022 sono stati eseguiti 9.961 interventi per mitigare il rischio idrogeologico, spendendo un totale di 9,5 miliardi di euro (fonte Ispra, piattaforma Rendis), con una media di 400 milioni di euro l’anno. “I fondi assegnati arrivano a poco meno di 13,3 miliardi di euro (tra gli importi segnalati dalle regioni per lo stato di emergenza e la ricognizione dei fabbisogni determinata dal commissario delegato). Si tratta di una media di 1,48 miliardi l’anno per la gestione delle emergenze, in un rapporto di quasi 1 a 4 tra spese per la prevenzione e quelle per riparare i danni”, si legge nel rapporto Legambiente. “Purtroppo il nostro Paese non dispone di alcun indirizzo strategico chiaro che individui l’adattamento come priorità delle politiche d’intervento”.
L’Italia fino ad oggi ha preferito spendere di più per riparare i danni che per fare prevenzione, manutenzione e adattamento. Ma quanto costa una vita? Forse se aggiungessimo al conto anche il capitale umano perso, ci renderemmo conto che abbiamo già perso tutto e che non dovremmo mai accettare un rischio così elevato di perdere tutto per mancanza di piani di adattamento e messa in sicurezza.
Il piano di adattamento ai cambiamenti climatici è passato sui tavoli di cinque governi guidati da Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte (due volte), Mario Draghi e ora Giorgia Meloni, che ha promesso – com si legge nel programma elettorale di Fratelli d’Italia per le elezioni del 25 settembre – di «aggiornare e rendere operativo il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici», ma – almeno per ora – si è solo aggiunto il rischio di radunarsi in un numero di persone superiori a 50 senza autorizzazione, magari anche per protestare contro questa paralisi mortale.
© Iconameteo.it - Il presente contenuto è riproducibile solo in parte, non integralmente, inserendo la citazione della fonte (Iconameteo.it) e il link al contenuto originale