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Ghiacciaio Fellaria: quasi dimezzato rispetto al 1850 il terzo ghiacciaio della Lombardia

Il ghiacciaio Fellaria, il terzo per estensione in Lombardia, risulta quasi dimezzato per estensione rispetto al 1850. Il monitoraggio dello stato di salute del ghiacciaio, effettuato dalla Carovana dei Ghiacciai, la campagna nazionale di Legambiente in collaborazione con CIPRA Italia e con la partnership scientifica del Comitato Glaciologico Italiano (CGI), ha evidenziato come il Fellaria, in Valmalenco, nel gruppo del Bernina, abbia perso il 46% della sua superficie rispetto al 1850, ovvero il culmine della Piccola Età Glaciale, passando da circa 28 km² a 13 km² includendo anche il versante svizzero (Vedretta Palù). 

Il dato è preoccupante, considerando tra l’altro che arriviamo da un periodo più nevoso del normale: il bilancio primaverile si è chiuso con un +74% in Lombardia rispetto agli ultimi 20 anni. Nonostante le nevicate molto abbondanti della primavera, il bilancio di massa del Ghiacciaio Fellaria sarà difficilmente positivo – ha dichiarato Valter Maggi, presidente del Comitato Glaciologico ItalianoQuesta tendenza risulta essere in linea con quelli di molti altri ghiacciai dell’arco alpino”. 

Dai rilevamenti effettuati risulta che la porzione più bassa di quota del Fellaria tra il 2022 e il 2023 ha registrato una perdita annuale tra i 5 e gli 8 metri di spessore. Il suo lago proglaciale, formatosi dopo il 2023 e peculiarità di questo ghiacciaio, per effetto delle elevate temperature si è ampliato fino a raggiungere nel 2024 un’estensione di 222.000 metri quadri, pari a 30 campi da calcio.

Nel rapporto, Legambiente e il CGI hanno acceso i riflettori anche sul tema dell’overtourism, un problema sempre più diffuso anche per gli ambienti di alta quota. “Attorno a questo ghiacciaio, estremamente dinamico e di conseguenza piuttosto pericoloso, in questi ultimi anni si stanno concentrando tante e forse troppe persone – ha spiegato Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente e presidente di CIPRA Italia. Si tratta di un’area estremamente fragile, ancorché pericolosa, dove addirittura le tracce le geomorfologiche arrivano a confondersi con le tracce antropiche. Sempre più spesso in montagna si pone il problema di un rapporto corretto con la natura che da un lato necessita di nuove forme di governance e dall’altro ci interroga su aspetti socio-antropologici meritevoli di attenzione”.

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