Ecco cosa prevede il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc)
Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ad inizio 2023 ha dato l’annuncio di aver approvato, con decreto n. 434 del 21 dicembre, il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc), strumento inserito nella Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici del 2015 necessario per “contenere la vulnerabilità dei sistemi naturali, sociali ed economici agli impatti dei cambiamenti climatici e aumentarne la resilienza”.
L’Italia, nel cuore dell’area del Mediterraneo, un hot spot dei cambiamenti climatici, si trova ad affrontare grandi sfide dal punto di vista climatico, meteorologico e naturale. Negli ultimi anni ne abbiamo avuto un assaggio, con fasi siccità critiche, fusione dei ghiacciai ed eventi meteo estremi che hanno messo a dura prova i sistemi di allerta e di intervento. A questo si aggiunge un aumento del livello del mare stimato di 19 cm nei prossimi 40 anni, con grandi rischi per le coste, e un aumento della temperatura non solo dell’atmosfera ma anche del Mediterraneo che si traduce in energia per le perturbazioni in transito, e dunque in eventi meteo più intensi e frequenti.
Il Pnacc (consultabile qui) dunque serve per mettere in pratica azioni di mitigazione e adattamento necessarie per affrontare la crisi climatica a livello nazionale, ovvero riducendo ove possibile i rischi derivanti dal cambiamento climatico e adeguando i sistemi socioeconomici e naturali alle nuove sfide, cercando allo stesso tempo di sfruttare le occasioni che questa nuova situazione ci sta presentando.
Se non facciamo nulla, continuando dunque ad emettere senza freni (RCP8.5), le concentrazioni di CO2 in atmosfera saranno tre volte più alte rispetto a quelle preindustriali, e la temperatura globale sarà tra i 4 e 5 gradi più elevata entro fine secolo. Con un intervento parziale (RCP4.5) le concentrazioni di CO2 potrebbero scendere sotto i livelli attuali nel 2070, mentre con politiche di mitigazione più decise (RCP2.6) potremmo dimezzare le emissioni nel 2050. Questi scenari climatici delineati dall’IPCC e riportati nel Pnacc servono da linee guida per comprendere quanto ciò che facciamo o non facciamo oggi può avere un impatto nei prossimi decenni e secoli a venire.
Quindi cosa ha previsto il Pnacc?
Con il Pnacc si è definito il piano di intervento a carattere nazionale e regionale che va da cambiamenti e azioni a livello di sistema, fino a interventi per ogni settore, dall’agricoltura all’energia, dal dissesto idrogeologico ai trasporti.
Innanzitutto il Pnacc prevede la definizione di una struttura di governance nazionale per l’adattamento, esplicitando le esigenze di coordinamento tra i diversi livelli di governo del territorio e i diversi settori di intervento con l’istituzione dell’Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici, che fungerà da tavolo di coordinamento e confronto per l’aggiornamento nel tempo delle priorità
di intervento e per la pianificazione e attuazione delle azioni di adattamento. A questo seguiranno azioni di rafforzamento amministrativo e delle competenze tecniche per l’adattamento a livello nazionale, nonché l’individuazione della cornice di riferimento entro la quale possano svilupparsi la pianificazione e la realizzazione delle azioni di adattamento regionali e locali.
Il Pnacc ha individuato 361 misure di carattere nazionale o regionale, divise per tipologia di appartenenza: quelle “soft” non richiedono interventi strutturali e materiali diretti, quelle “green” indicano la necessità di soluzioni basate sulla natura e infine quelle “grey” sono azioni materiali dirette su impianti, tecnologie o infrastrutture. La maggior parte delle azioni sono di tipo non strutturale (soft): 274 pari al 76% del totale. Seguono le azioni basate su un approccio ecosistemico (green) che ammontano a 46 pari al 13%. Infine, le azioni infrastrutturali e tecnologiche (grey), che sono 41 ovvero l’11% del totale. Per quanto riguarda i criteri di valutazione delle azioni, il 59% delle azioni hanno ricevuto un giudizio complessivo alto.
Nel documento delle 361 misure del Pnacc solo poche risultano accompagnate da una voce di costo, o almeno da una specifica relativa. Nel documento di piano il Mase ha sottolineato come in Italia ormai la programmazione economica nazionale si associa a quella europea, e che il Paese contribuisce al co-finanziamento dei programmi con risorse proprie, ma limitandosi a selezionare le priorità di spesa già definite in sede europea. “Per questo motivo, la maggior parte delle fonti di finanziamento sono riconducibili a fondi europei o, quanto meno, adottano il loro medesimo schema di finanziamento”.
L’Osservatorio si occuperà dell’individuare le specifiche fonti di finanziamento ma anche del coordinamento, delle analisi, pianificazione e attuazione delle azioni di adattamento del Pnacc.
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