Città sempre più calde e vulnerabili: coperti da cemento 2,4 metri quadrati ogni secondo nel 2022
Nel 2022 abbiamo impermeabilizzato con il cemento altri 77 chilometri quadrati di territorio, un consumo del suolo del 10% superiore all’anno precedente che contribuisce a mantenere le città più calde e ad aumentare il rischio di allagamenti improvvisi durante gli episodi di maltempo.
In media, rileva l’ultimo rapporto ISPRA sul Consumo del suolo, accompagnato dal primo Atlante del consumo di suolo che riunisce le nuove mappe dettagliate del fenomeno a livello nazionale e locale, abbiamo coperto di cemento 2,4 metri quadrati ogni secondo nel corso del 2022.
Consumo del suolo: il cemento copre il 7,14% del territorio italiano
La perdita di terreno a favore dell’asfalto e del cemento peggiora le condizioni delle nostre città, che diventano così sempre più calde per effetto dell’isola di calore, e sempre più vulnerabili durante i fenomeni meteo estremi.
Le città sono già più calde delle zone circostanti, sia d’estate che in inverno. Il fenomeno conosciuto come “isola di calore urbana” infatti dipende dalla densità delle coperture artificiali dei centri abitati e dalla mancanza di aree verdi. D’estate il fenomeno viene estremizzato: le temperature già elevate che si registrano durante le ondate di calore, in città diventano ancora più elevate, raggiungendo nei picchi massini valori addirittura di 43-46 gradi. Rispetto alle zone circostanti, in città ci possono essere anche 4 gradi di differenza, con punte di 6 gradi a Firenze e addirittura 8 a Milano.
Il caldo estremo ha effetti importanti sulla salute delle persone, e si stima che in una città come Roma, aumentare il verde in città permetterebbe di evitare 200 morti ogni anno. Allo stesso modo portare la copertura degli alberi ad un 30% della superficie cittadina potrebbe risparmiare 60 morti l’anno dovute al caldo eccessivo delle città a Milano, 42 a Bologna, 38 a Genova, 75 a Napoli, 3 a Padova, 29 a Palermo, 206 a Roma, 71 a Torino, e 9 a Trieste.
Ma il clima, estremizzato dal riscaldamento globale, comporta anche altre criticità in territori altamente urbanizzati: il consumo del suolo e l’estensione delle aree coperte da cemento aumenta il rischio idraulico. Il terreno reso impermeabile dal cemento non è in gradi di assorbire l’acqua, specie durante i nubifragi e gli eventi estremi, mettendo a rischio la popolazione. Oltre 900 ettari sono diventati impermeabili in aree già interessate da una pericolosità idraulica media.
Il cemento mangia la campagna: in 12 mesi sono stati persi 4.800 ettari di aree agricole, il 68% del consumo di suolo nazionale. Ad oggi il 7,14% della superficie nazionale è coperto da edifici o cemento, 7,25% al netto di fiumi e laghi.
Considerando il consumo di suolo totale dell’ultimo anno, più del 35% (più di 2.500 ettari) si trova poi in aree a pericolosità sismica alta o molta alta, mentre il 7,5% (quasi 530 ettari) è nelle aree a pericolosità da frana.
Tra i comuni virtuosi spiccano tra i comuni grandi con più di 50 mila abitanti Ercolano in Campania (solo 0,2 ettari consumati in più nel 2022), tra i comuni medi, Montale in Toscana (0 ettari in più) e San Martino Siccomario in Lombardia tra i comuni con meno di 10.000 abitanti (0,2 ettari in meno). Tra i capoluoghi delle città metropolitane risparmiano suolo Genova, Reggio Calabria e Firenze.
La logistica e la grande distribuzione organizzata, che rientrano tra le principali cause di consumo di suolo in Italia, nell’anno appena trascorso toccano il massimo dal 2006, con un picco di crescita superiore ai 506 ettari concentrato nel Nord-Est del Paese, con oltre 1.670 ettari (il 5,8% del totale del consumo di suolo dell’area), seguito dal Nord-Ovest con 1.540 ettari (6.1%) e il Centro (940 ettari; 4,7%).
Le grandi infrastrutture rappresentano l’8,4% del consumo totale, mentre gli edifici realizzati negli ultimi 12 mesi su suoli che nel 2021 erano agricoli o naturali sfiorano i 1.000 ettari, il 14% delle nuove superfici artificiali. 950 ettari (il 13,4%) in più per piazzali, parcheggi e altre aree pavimentate, mentre le aree estrattive consumano 380 ettari di suolo in un anno, pari al 5,4% del totale. Per l’installazione a terra di impianti fotovoltaici si sono resi necessari quasi 500 ettari di terreno, 243 dei quali rientrano nella classificazione europea di consumo di suolo.
Perdere il verde compromette funzioni ecologiche e servizi ecosistemici
Il consumo del suolo è un importantissimo fattore per conservare la biodiversità e le funzioni ecologiche necessarie per garantire la produzione di risorse alimentari e materie prime, per regolare il clima, per lo stoccaggio e sequestro del carbonio, per il controllo dell’erosione e la regolazione della qualità dell’acqua, per la protezione e mitigazione dei fenomeni idrologici estremi e per permettere ai cittadini di beneficiare dei servizi ricreativi, culturali, spirituali, del paesaggio e dello splendido patrimonio naturale che l’Italia ha da offrire.
Il consumo del suolo in Italia si traduce in costi legati proprio alla perdita di servizi ecosistemici di 9 miliardi di euro ogni anno a causa della perdita di suolo rilevata tra il 2006 e il 2022.
L’Europa ha adottato una posizione negoziale quest’estate sulla Nature Restoration Law, ovvero la legge sul ripristino della natura in cui si sottolinea che il ripristino degli ecosistemi è fondamentale per combattere il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità e riduce i rischi per la sicurezza alimentare. Secondo questa legge, entro il 2030 dovremmo mettere in atto azioni di ripristino che coprano il 20 per cento del territorio marino e terrestre, evitando ogni altra perdita di spazi verdi all’interno delle aree urbane. Entro il 2050 le città dovrebbero aumentare di almeno il 5% la superficie verde, raggiungendo così una soglia minima del 10%.
Secondo il Piano per la Transizione Ecologica, l’Italia ha fissato l’obiettivo di raggiungere un consumo netto pari a zero entro il 2030, ovvero anticipando di vent’anni l’obiettivo europeo. Con la legge di Bilancio dlel 2023 è stato istituito anche un “fondo per il contrasto del consumo di suolo” indirizzato alle Regioni per sviluppare iniziative di contrasto al consumo di suolo, rigenerazione urbana e rinaturalizzazione dei terreni degradati, che finanzia “interventi per la rinaturalizzazione di suoli degradati o in via di degrado in ambito urbano e periurbano”, attraverso una dotazione di 10 milioni di euro per l’anno 2023, di 20 milioni di euro per l’anno 2024, di 30 milioni di euro per l’anno 2025 e di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2026 e 2027.
Nonostante ci siano obiettivi chiari, manca in Europa e in Italia una direttiva quadro sul suolo che abbia lo scopo di proteggere il suolo dall’uso indiscriminato e dalla sua progressiva artificializzazione. “L’urgenza per il nostro Paese – si legge nel report ISPRA – è data anche dall’aggravarsi della crisi climatica e alla luce delle particolari condizioni di fragilità e di criticità del nostro territorio, rendendo non più rinviabili la definizione e l’attuazione di politiche, norme e azioni che possano portarci rapidamente all’azzeramento del consumo di suolo e alla revisione delle previsioni degli strumenti urbanistici esistenti, spesso sovradimensionate rispetto alla domanda reale e alla capacità di carico dei territori.”
“Gli ultimi dati ci mostrano che, purtroppo, il consumo di suolo, con le conseguenze analizzate approfonditamente in questo rapporto, non solo da due anni non rallenta più, ma nel 2022 accelera bruscamente e torna a correre a ritmi che, in Italia, non si vedevano da più di 10 anni – ha commentato Stefano Laporta, Presidente dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) e del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) -. I fenomeni di trasformazione del territorio agricolo e naturale in aree artificiali hanno così sfiorato i 2,5 metri quadrati al secondo e riguardato quasi 77 chilometri quadrati in un solo anno, il 10% in più rispetto al 2021. Si tratta certamente di un ritmo non sostenibile, che dipende anche dall’assenza di interventi normativi efficaci in buona parte del Paese o dell’attesa della loro attuazione e della definizione di un quadro di indirizzo omogeneo a livello nazionale”.
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