Approfondimenti - Icona Meteo https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/ IconaMeteo.it - Sempre un Meteo avanti Sun, 20 Oct 2024 10:09:28 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.6.2 https://www.iconameteo.it/contents/uploads/2019/12/Favicon-150x150.png Approfondimenti - Icona Meteo https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/ 32 32 Il sistema globale dell’acqua è fuori equilibrio: un nuovo rapporto avverte di una crisi senza precedenti https://www.iconameteo.it/primo-piano/il-sistema-globale-dellacqua-e-fuori-equilibrio-un-nuovo-rapporto-avverte-di-una-crisi-senza-precedenti/ Sun, 20 Oct 2024 10:09:28 +0000 https://www.iconameteo.it/?p=78837 AcquaPer la prima volta nella storia, il ciclo globale dell’acqua è stato alterato dall’attività umana, dando origine a una crisi che minaccia economie, produzione alimentare e la sopravvivenza stessa di miliardi di persone. Un nuovo rapporto della Global Commission on the Economics of Water, composta da leader ed esperti internazionali, lancia l’allarme sulla necessità di …

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Per la prima volta nella storia, il ciclo globale dell’acqua è stato alterato dall’attività umana, dando origine a una crisi che minaccia economie, produzione alimentare e la sopravvivenza stessa di miliardi di persone. Un nuovo rapporto della Global Commission on the Economics of Water, composta da leader ed esperti internazionali, lancia l’allarme sulla necessità di un intervento urgente per affrontare questo problema.

Il ciclo dell’acqua è il processo naturale attraverso il quale l’acqua si muove sulla Terra: evaporando da laghi, fiumi e piante, si trasforma in vapore e si accumula nell’atmosfera, formando grandi correnti di vapore che viaggiano su lunghe distanze. Alla fine, l’acqua torna a terra sotto forma di pioggia o neve. Tuttavia, secondo il rapporto, decenni di gestione insostenibile delle risorse idriche e l’uso distruttivo del suolo, combinati con la crisi climatica causata dall’uomo, hanno messo “una pressione senza precedenti” su questo delicato equilibrio.

Gli effetti di questi sconvolgimenti si stanno già manifestando in diverse parti del mondo. Quasi 3 miliardi di persone soffrono attualmente di scarsità d’acqua, e le conseguenze si estendono oltre la semplice mancanza di risorse idriche. Campi agricoli si stanno inaridendo e intere città stanno affondando a causa dell’abbassamento delle falde acquifere. La crisi idrica non è solo una questione ambientale: se non si interviene, rischia di avere un impatto devastante sulle economie globali. Secondo il rapporto, senza un’azione urgente, oltre il 50% della produzione alimentare mondiale potrebbe essere compromesso e le economie potrebbero subire una riduzione media dell’8% del PIL entro il 2050, con perdite che potrebbero arrivare fino al 15% nei paesi a basso reddito.

Un esperto climatologo della commissione ha sottolineato come, per la prima volta nella storia umana, l’equilibrio del ciclo dell’acqua sia stato compromesso. “Le precipitazioni, che sono alla base di tutta l’acqua dolce, non possono più essere considerate una risorsa sicura e prevedibile”, ha dichiarato.

Stato globale dell’acqua: i dettagli del nuovo rapporto

Il rapporto distingue tra due tipi di acqua: quella “blu”, che rappresenta l’acqua liquida presente in fiumi, laghi e falde acquifere, e “acqua verde”, l’umidità immagazzinata nel suolo e nelle piante. Anche se spesso sottovalutata, l’acqua verde è essenziale per il ciclo idrico globale, poiché ritorna nell’atmosfera sotto forma di vapore rilasciato dalle piante, contribuendo a circa la metà delle precipitazioni che si verificano sulla terra. Il documento evidenzia come entrambe le forme d’acqua siano cruciali e come la loro gestione sostenibile sia fondamentale per la sicurezza idrica del pianeta.

La crisi idrica è strettamente legata ai cambiamenti climatici, creando un circolo vizioso. Una fornitura stabile di acqua verde è essenziale per sostenere la vegetazione, che a sua volta agisce come un serbatoio di carbonio, contribuendo a ridurre il riscaldamento globale. Tuttavia, le attività umane, come la distruzione di zone umide e la deforestazione, stanno esaurendo questi serbatoi di carbonio, accelerando il cambiamento climatico. A sua volta, il riscaldamento globale porta all’inaridimento dei paesaggi, riducendo l’umidità del suolo e aumentando il rischio di incendi.

La portata della crisi è resa ancora più urgente dalla crescente domanda di acqua. Il rapporto calcola che, in media, una persona ha bisogno di circa 200-250 litri d’acqua al giorno per condurre una “vita dignitosa”, molto più dei 50-100 litri che l’ONU considera necessari per soddisfare i bisogni primari. Tuttavia, poche regioni del mondo sono in grado di fornire tali quantità di acqua dalle risorse locali, soprattutto nelle aree già colpite dalla scarsità idrica.

Un professore di scienze climatiche ha commentato il rapporto, descrivendolo come un quadro preoccupante dell’interferenza umana sul ciclo idrico globale, una risorsa fondamentale per la vita e il sostentamento. Secondo lui, le attività umane stanno “alterando la struttura del nostro territorio e dell’aria sovrastante, riscaldando il clima, intensificando gli estremi di umidità e siccità e sconvolgendo i modelli di vento e precipitazioni”.

Per affrontare questa crisi, gli autori del rapporto sostengono che è necessario un cambio radicale nella gestione delle risorse naturali e una riduzione drastica delle emissioni di gas serra. Le nazioni devono riconoscere il ciclo dell’acqua come un “bene comune” e agire insieme per preservarlo. Le decisioni prese in un Paese possono avere effetti diretti sulle precipitazioni di un altro Paese, a causa dei flussi d’acqua nell’atmosfera che viaggiano su grandi distanze. Ciò significa che l’uso dell’acqua deve essere regolato e gestito in modo cooperativo tra le nazioni di tutto il mondo, non solo attraverso i laghi e i fiumi che attraversano i confini, ma anche per il vapore acqueo che si muove tra le diverse regioni del mondo.

Il rapporto suggerisce anche una revisione dei modelli economici che governano l’uso dell’acqua, proponendo prezzi che scoraggino lo spreco e riducano la tendenza a coltivare piante e costruire infrastrutture assetate d’acqua in regioni dove questa risorsa è già scarsa. Una co-presidente della commissione ha definito la crisi idrica “una tragedia, ma anche un’opportunità per trasformare l’economia dell’acqua”. Dare il giusto valore all’acqua è essenziale, ha spiegato, perché riconosce la sua scarsità e i numerosi benefici che offre.

In definitiva, il rapporto invita alla riflessione su come gestiamo la risorsa più preziosa del Pianeta. Senza un’azione concertata e globale, il rischio è che la crisi dell’acqua diventi un problema sempre più grave e irrisolvibile, con conseguenze devastanti per il futuro del pianeta e delle prossime generazioni.

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La circolazione atmosferica sull’Italia nell’estate 2024: osservazioni e previsioni https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/la-circolazione-atmosferica-sullitalia-nellestate-2024-osservazioni-e-previsioni/ Sat, 05 Oct 2024 11:11:36 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/la-circolazione-atmosferica-sullitalia-nellestate-2024-osservazioni-e-previsioni/ “Le situazioni estreme del nuovo clima fanno ormai parte della nostra normalità e quasi non ci sorprendono più”. Questa era la frase introduttiva del report della primavera 2024, ma ben si adatta anche al report dell’estate e, in verità, a quello di tutte le stagioni. Con l’estate 2024 ecco infatti arrivare nuovi record della temperatura …

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“Le situazioni estreme del nuovo clima fanno ormai parte della nostra normalità e quasi non ci sorprendono più”. Questa era la frase introduttiva del report della primavera 2024, ma ben si adatta anche al report dell’estate e, in verità, a quello di tutte le stagioni.
Con l’estate 2024 ecco infatti arrivare nuovi record della temperatura superficiale del Mediterraneo, i giorni più caldi dal 1940 a livello globale, il numero più alto di giorni di “forte stress da caldo” in Europa, l’estate italiana tra le più calde di sempre, accompagnata, come se non bastasse, da siccità sempre più grave in Sicilia e diversi fenomeni distruttivi al Nord. La figura 1 mostra le precipitazioni totali e le temperature massime medie nel nostro Paese.

Fig.1 – Estate 2024: precipitazioni totali (mm) e temperature massime medie (°C). Crediti Meteo Expert – IconaClima.

Come è andata dal punto di vista della circolazione atmosferica? Per scoprirlo ci siamo affidati alla tecnica del “Weather Typing”: grazie alla capacità di apprendere, riconoscere e classificare di una rete neurale artificiale, abbiamo identificato sull’Italia dodici pattern della circolazione atmosferica, ricostruito la loro serie storica alle 12 UTC, e analizzato frequenze, anomalie e trend stagionali di ciascuno di essi.

La figura 2 mostra la configurazione della pressione a livello del mare e del geopotenziale a 500 hPa dei dodici pattern della circolazione atmosferica, che chiamiamo “Tipi di Circolazione“ (TC), identificati e classificati dalla rete neurale per il dominio geografico centrato sull’Italia. La distribuzione dei TC all’interno delle due “mappe” non è casuale, ma è frutto di complesse elaborazioni della rete neurale che, a partire da TC1, ha posizionato i TC tanto più vicini fra loro quanto più fra loro simili.

Fig. 2 – Configurazioni della pressione al livello del mare (sinistra) e del geopotenziale a 500 hPa (destra) dei dodici Tipi di Circolazione (TC) identificati dalla rete neurale. I dati sono standardizzati. I colori dal verde al viola rappresentano i valori positivi (“alta pressione”), i colori dal bianco al blu i valori negativi (“bassa pressione”). Crediti Meteo Expert – IconaClima

In base alla caratteristica circolatoria prevalente, a ciascuno dei dodici TC è stato assegnato un nome, riportato nel testo e nelle figure che seguiranno.

La circolazione atmosferica estiva dell’ultimo ventennio

Con una presenza media di 15 giorni, negli ultimi ventidue anni TC3-Depressione Padana è stato il tipo di circolazione atmosferica più frequente durante l’estate meteorologica (figura 3, grafico a sinistra). Questo TC è associato allo scorrimento sull’Europa centrale di aria fresca di origine atlantica che, sfiorando le regioni alpine e favorendo lo sviluppo di fenomeni temporaleschi anche molto intensi sul Nord Italia, interrompe, almeno su questa parte della Penisola, la calura e il tempo stabile associati alle diverse configurazioni anticicloniche di matrice subtropicale, tra cui TC11-Anticiclone Nordafricano, il secondo TC mediamente più frequente. Anche TC1-Maestrale e TC2-Depressione Egeo sono associati all’arrivo sull’Italia di aria fresca di origine atlantica, ma si tratta di masse d’aria provenienti da latitudini più elevate che, seguendo traiettorie più ripide, riescono ad irrompere in profondità nell’area Mediterranea, a volte sottoforma di venti burrascosi e Föhn tra Piemonte e Lombardia.

Fig.3 – Numero medio di giorni di presenza estiva alle 12 UTC dei dodici Tipi di Circolazione (grafico a sinistra) e numero di giorni di presenza di TC3-Depressione Padana negli ultimi ventidue anni (grafico a destra ). Crediti Meteo Expert – IconaClima

Nel ventennio 2003-2022, TC3_Depressione_Padana ha mostrato chiari segni di declino estivo, con trend negativo statisticamente significativo. Negli ultimi due anni ha invece riguadagnato una frequenza relativamente elevata (figura 3, grafico a destra), rendendosi responsabile dei numerosi e distruttivi episodi di maltempo che si sono abbattuti sul Nord Italia nel mese di luglio e nei primi giorni di agosto del 2023 e, come vedremo, durante tutta la stagione del 2024.

Fig.4 – Numero di giorni di presenza e tendenza lineare di TC4-Depressione_Ligure nelle stagioni estive dal 2003 al 2024. Crediti Meteo Expert – IconaClima

Durante l’estate è invece relativamente raro incontrare TC4-Depressione Ligure, il TC più piovoso insieme a TC8-Scirocco, potenzialmente responsabile di forte maltempo ed alluvioni al Nordovest, soprattutto nelle stagioni intermedie. Tuttavia, negli ultimi ventidue anni la sua presenza ha visto un incremento significativo (figura 4).

La circolazione atmosferica nell’estate 2024: una storia già vista

Per analizzare le caratteristiche dell’estate 2024 dal punto di vista della circolazione atmosferica possiamo affidarci al calcolo delle anomalie (figura 5), cioè la differenza tra la frequenza dei dodici Tipi di Circolazione nella stagione 2024 e la media della loro frequenza stagionale nel periodo di riferimento 2003-2024 . Emerge così una situazione già vista durante l’inverno e la primavera, con anomalia negativa di TC9-Anticiclone di blocco (-5 giorni, il 60 % di giorni in meno rispetto al periodo di riferimento) e di TC1-Maestrale (-5 giorni, il 54 % di giorni in meno rispetto al periodo di riferimento), potenziali risorse di pioggia per il Sud e la Sicilia ed entrambi con solo un giorno in più di presenza dal loro record negativo. Quasi tutti in eccesso, invece, i TC associati a condizioni di instabilità al Nord, soprattutto TC4-Depressione Ligure, con il 92 % di giorni in più rispetto alla media di riferimento, in linea con il trend positivo (aumento) degli ultimi 22 anni.

Fig. 5 – Anomalie della frequenza dei dodici Tipi di Circolazione (TC) nell’ estate meteorologica 2024 rispetto alla media del periodo 2003-2024. Crediti Meteo Expert – IconaClima.

Ed è stato proprio il balletto tra TC4-Depressione Ligure e TC3-Depressione Padana (figura 6) ad innescare i fenomeni più violenti, alimentati dalla grande energia in gioco e dal contrasto termico tra i due TC. Numerosi sono gli esempi, soprattutto nel movimentato inizio della stagione, tra spettacolari shelf cloud, come quella in Lombardia del 2 giugno, grandine grossa a più riprese nel Torinese, forti supercelle al Nordovest (11-12 giugno), temporali eccezionalmente intensi e carichi di polvere sahariana in Piemonte (21 giugno), fino agli episodi estremi e all’alluvione sulle Alpi occidentali tra il 29 e il 30 giugno.

Fig. 6 – Tipi di Circolazione (TC) alle 12 UT e temperature medie osservate giornalmente dal primo giugno al 31 agosto 2024. I valori di temperatura sono ricavati dai dati della rete di stazioni MeteoNetwork. Crediti Meteo Expert – IconaClima.

L’estate è poi proseguita all’insegna di una maggiore stabilità, con gran parte dell’Italia schiacciata sotto il pesante e rovente coperchio dell’alta pressione nordafricana. Tuttavia, non sono mancate, di nuovo, le condizioni favorevoli allo sviluppo di fenomeni eccezionalmente intensi. TC4-Depressione Ligure e TC3-Deprressione Padana, insieme a TC2-Depressione Egeo, hanno infatti continuato ad alimentare l’innesco di episodi estremi, come le supercelle al Nordovest il 7 e 12 luglio, i forti temporali con intense grandinate al Nord il 2 e 7 agosto (figura 7), e quelli di metà mese che, con l’affondo di TC1-Maestrale, hanno definitivamente chiuso su tutta l’Italia l’interminabile ondata di caldo iniziata il 7 luglio.

Fig. 7 – Immagine Meteosat del 7 agosto 2024.

La previsione dei Tipi di Circolazione: modello europeo vs modello americano

Per valutare la performance dei modelli di previsione meteorologica nel breve e medio termine, con l’ausilio della rete neurale abbiamo quantificato la “similarità” tra i dodici pattern della circolazione atmosferica. La qualità della previsione può essere così espressa in termini di somiglianza tra TC osservato e TC previsto: il 100 % sarà raggiunto quando il TC previsto e il TC osservato coincidono, quindi quando la previsione è corretta.

La figura 8 mostra la qualità media della previsione elaborata dal modello europeo ECMWF e dall’americano GFS per le 12 UTC dei sette giorni (+168 ore) successivi all’ora di inizio della previsione. Il modello europeo, come spesso accade, ha elaborato previsioni mediamente più accurate di quelle del modello americano oltre le 48 ore, distaccandosi nettamente con le previsioni dal quinto giorno in poi. Questo significa che il modello ECMWF è stato, ancora una volta, lo strumento più affidabile per prevedere l’evoluzione della circolazione atmosferica con largo anticipo.

Fig. 8 – Qualità media della previsione del Tipo di Circolazione (TC) da 1 giorno (+24 ore) a 7 giorni (+ 168 ore) di previsione per il modello europeo ECMWF (rosso) e per il modello americano GFS (blu). Crediti Meteo Expert – IconaClima

Le previsioni di ECMWF per il più lungo termine sono state frequentemente perfette sia in situazioni dinamiche, caratterizzate da drastici e repentini cambiamenti della circolazione atmosferica, ad esempio nel mese di giugno, sia durante lunghi periodi di tempo relativamente stabile anche al Nord (figura 9). Entrambi i modelli hanno mostrato notevole difficoltà a prevedere il pattern della circolazione atmosferica con una settimana di anticipo in due occasioni: il 25 e 26 giugno, al passaggio di testimone tra configurazioni opposte, TC1-Maestrale e TC8-Scirocco, e il 29 luglio, con la veloce intrusione di TC9-Anticiclone di blocco in un contesto dominato da configurazioni anticicloniche di matrice africana.

Fig. 9 – Qualità giornaliera della previsione del Tipo di Circolazione a 168 ore , elaborata dal modello europeo ECMWF (rosso) e dal modello americano GFS (blu). Crediti Meteo Expert – IconaClima

Quando torneremo a rivedere TC9-Anticiclone di blocco? Come le due stagioni precedenti, anche l’estate ha visto una scarsa presenza di questo Tipo di Circolazione, potenziale buona opportunità idrica per gran parte del Sud e della Sicilia. Durante l’autunno dovrebbe essere tra i pattern protagonisti della circolazione atmosferica, anche sottoforma di vere e proprie tempeste, come Boris, responsabile dell’alluvione che tra il 17 e il 18 settembre ha colpito l’Emilia-Romagna.

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L’enorme picco di caldo del 2023 è ancora inspiegabile: intervista a Gavin Schmidt, direttore del Goddard Institute for Space Studies della NASA https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/lenorme-picco-di-caldo-del-2023-e-ancora-inspiegabile-intervista-a-gavin-schmidt-direttore-del-goddard-institute-for-space-studies-della-nasa/ Thu, 28 Mar 2024 09:14:06 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/lenorme-picco-di-caldo-del-2023-e-ancora-inspiegabile-intervista-a-gavin-schmidt-direttore-del-goddard-institute-for-space-studies-della-nasa/ Il 2023 ha segnato un punto critico di svolta rispetto alla crisi climatica e all’aumento globale delle temperature. L’anno più caldo della storia ha battuto il 2016 con un margine inimmaginabile di ben 0,17°C e l’accelerazione verso la soglia di 1,5°C dell’Accordo di Parigi è impressionante. La grande sfida per gli scienziati di tutto il …

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Il 2023 ha segnato un punto critico di svolta rispetto alla crisi climatica e all’aumento globale delle temperature. L’anno più caldo della storia ha battuto il 2016 con un margine inimmaginabile di ben 0,17°C e l’accelerazione verso la soglia di 1,5°C dell’Accordo di Parigi è impressionante.
La grande sfida per gli scienziati di tutto il mondo è capire perché si sia verificata questa impennata, che, secondo tutti gli indicatori, sta proseguendo anche nel 2024. Al momento non ci sono risposte ma solo ipotesi.

Gavin Schmidt, direttore del Goddard Institute for Space Studies della NASA, ha pubblicato la scorsa settimana un articolo su Nature in cui elenca i possibili motivi di questo drammatico “salto in avanti” delle temperature globali ed esprime con inquietudine come gli scienziati siano stati colti di sorpresa da questo evento. Ancora non si sa, dunque, cosa abbia causato un 2023 così caldo e la presenza del fenomeno ciclico di El Niño, peraltro non così intenso, non basta a dare delle risposte. Se, terminati gli effetti a larga scala di El Niño, le temperature non dovessero calare, ci potremmo trovare in una sorta di un inquietante “territorio inesplorato. Abbiamo bisogno di risposte sul perché il 2023 si è rivelato l’anno più caldo degli ultimi 100.000 anni. E ne abbiamo bisogno in fretta”.

Crediti Copernicus

Il dottor Schmidt descrive bene la preoccupazione degli scienziati nell’incipit del suo articolo su Nature: ”quando ho assunto la direzione del Goddard Institute for Space Studies della NASA, ho ereditato un progetto che traccia le variazioni di temperatura dal 1880. Utilizzando questo patrimonio di dati, ho fatto previsioni sul clima all’inizio di ogni anno dal 2016. È umiliante e un po’ preoccupante ammettere che nessun anno ha confuso le capacità di previsione degli scienziati del clima come il 2023”.

All’inizio del 2023 si sono verificati eventi simultanei come l’aumento, senza precedenti in termini di rapidità e portata, delle temperature superficiali del mare nell’Oceano Atlantico settentrionale o come l’estensione del ghiaccio marino intorno all’Antartide che in giugno è stata di gran lunga la più bassa mai registrata. Rispetto alla copertura media dei ghiacci tra il 1981 e il 2010, mancava una porzione di ghiaccio marino grande più o meno come l’Alaska. L’anomalia di temperatura osservata non solo è stata molto più grande del previsto, ma ha anche iniziato a manifestarsi diversi mesi prima dell’inizio di El Niño.

Tra i vari fattori chiamati in causa c’è ovviamente anche l’aumento dei livelli di gas serra nell’atmosfera ma, secondo Schmidt, il carico supplementare dal 2022 può spiegare un ulteriore riscaldamento di soli 0,02 °C circa. Alcuni climatologi includono gli effetti dell’eruzione vulcanica Hunga Tonga-Hunga Ha’apai del gennaio 2022 a Tonga, che “ha avuto effetti sia di raffreddamento da parte degli aerosol sia di riscaldamento da parte del vapore acqueo stratosferico, e l’aumento dell’attività solare in vista di un previsto massimo solare”. Questi fattori, però, spiegano al massimo qualche centesimo di grado di riscaldamento e la a divergenza tra le temperature medie annuali previste e quelle osservate nel 2023 rimane di circa 0,2 °C – più o meno il divario tra il record annuale precedente e quello attuale.

Questa anomalia di temperatura del 2023 è, secondo Schmidt, arrivata all’improvviso, rivelando una lacuna di conoscenza senza precedenti, forse per la prima volta da quando, circa 40 anni fa, i dati satellitari hanno iniziato a offrire ai modellatori una visione ineguagliabile e in tempo reale del sistema climatico terrestre. Se l’anomalia non si stabilizzerà entro agosto – un’aspettativa ragionevole basata sui precedenti eventi El Niño – il mondo si troverà in un territorio inesplorato. Potrebbe significare che il riscaldamento del pianeta sta già alterando radicalmente il funzionamento del sistema climatico, molto prima di quanto gli scienziati avessero previsto.

Abbiamo posto qualche domanda al dottor Schmidt in merito a questa situazione

Nel suo ultimo articolo, descrive la situazione ormai drammatica del riscaldamento globale, con la sua spaventosa accelerazione nel 2023 e all’inizio del 2024. Cosa si intende per “tipping point” (punto di svolta) e come si può spiegare efficacemente alla gente?

Non credo che stiamo raggiungendo un “punto di svolta” in senso tecnico, e non credo nemmeno che sappiamo se ci sia un’accelerazione significativa. Indubbiamente l’ampiezza con cui sono stati superati i record nel 2023 è stata sorprendente, ma finché non capiremo cosa è successo, sarà difficile concludere come le cose cambieranno in futuro.

Molte persone confondono ancora il tempo con il clima e il livello di conoscenza della crisi climatica è ancora troppo basso. Come possiamo cambiare questa situazione?

Sono d’accordo, c’è molta confusione nei pensieri delle persone, ma il modo più efficace per migliorare la situazione è parlarne. Le analogie sono di aiuto (il clima è il tuo guardaroba, il tempo è ciò che scegli di indossare oggi – ma il tuo guardaroba può cambiare e ciò influisce su ciò che puoi indossare…), ma anche concentrarsi sul clima come statistiche/medie/estremi e sul tempo come eventi specifici aiuta. Anche la discussione sull’attribuzione degli eventi estremi può essere utile: come si fa, cosa mostra, etc.

Perché il negazionismo climatico è ancora così diffuso di fronte a dati scientifici incontrovertibili?

Perché non si tratta di dati, ma di valori. Il problema è cosa fare in futuro e questo è una combinazione di comprensione della scienza di ciò che sta già accadendo, persone diverse hanno visioni diverse di ciò che è importante e sono molto brave a scartare (o rifiutare attivamente) le informazioni che potrebbero ostacolarle.

Cosa intende per territorio inesplorato?

Gli eventi del 2023 sembrano essere unici e ancora non spiegati (in senso quantitativo). Quindi non sappiamo bene cosa pensare.

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Come sta andando l’estate 2023? i dati meteoclimatici di giugno e luglio https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/come-sta-andando-lestate-2023-i-dati-meteoclimatici-di-giugno-e-luglio/ Mon, 14 Aug 2023 08:01:55 +0000 https://www.iconameteo.it/news/notizie-italia/come-sta-andando-lestate-2023-i-dati-meteoclimatici-di-giugno-e-luglio/ Giugno è stato un mese dai due volti, caratterizzato da condizioni del tempo sensibilmente differenti fra la prima e la seconda parte. Fino a poco più della metà del mese, infatti, la circolazione atmosferica a livello europeo ha ricalcato sostanzialmente quella che ha contraddistinto il mese di maggio, ossia una configurazione di blocco, con le …

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Giugno è stato un mese dai due volti, caratterizzato da condizioni del tempo sensibilmente differenti fra la prima e la seconda parte. Fino a poco più della metà del mese, infatti, la circolazione atmosferica a livello europeo ha ricalcato sostanzialmente quella che ha contraddistinto il mese di maggio, ossia una configurazione di blocco, con le aree anticicloniche posizionate alle alte latitudini e una situazione di tempo quasi costantemente instabile e perturbato sull’Europa meridionale e sull’Italia. Nelle ultime due settimane, invece, hanno dominato le strutture di alta pressione dopo alcuni mesi di sostanziale assenza (l’ultimo periodo che ha visto una presenza stabile di anticicloni fra il sud del continente e il Mediterraneo centrale risale a febbraio, in occasione dell’eccezionale evento di bassa marea al quale ha contribuito proprio la presenza della robusta e persistente alta pressione); in particolare, nella settimana dal 19 è andato a rinforzarsi il promontorio anticiclonico nord-africano che ha determinato la prima breve ondata di caldo della stagione (solo 4 giorni dal 20 al 23). È seguita, poi, un’alternanza fra temporanei allungamenti dell’Anticiclone delle Azzorre e qualche passaggio perturbato, il più importante dei quali si è rivelato quello avvenuto nell’ultimo giorno del mese quando sono stati osservati fenomeni intensi e un temporaneo ritorno a temperature primaverili su parte del Centro-Nord. In generale, dopo due mesi caratterizzati da temperature per lo più sotto la media, con giugno si torna oltre la norma di +0.6°C a livello nazionale, con le anomalie più vistose (+1.2°C) al Nord-Ovest e in Sardegna, mentre nel resto d’Italia gli scarti sono rimasti molto più contenuti. Si tratta del 8° giugno più caldo nella serie storica dal 1959, nulla di paragonabile con i valori “fuori scala” del 2003 e del 2022. Con il risultato di giugno, il dato da inizio anno si assesta a +0.5°C, un valore per il momento intermedio nell’ambito dell’insieme degli anni più caldi.

Le precipitazioni, a differenza delle temperature, non hanno cambiato registro rimanendo più abbondanti della media, con uno scarto pari a +65% sull’intero territorio, ma con le anomalie più significative al Centro e sulle Isole dove ha piovuto molto più del doppio (+127% al Centro, +136% in Sardegna, +158% in Sicilia), fino a quasi il triplo al Sud (+186%). Per le regioni centrali si tratta del giugno più piovoso della serie storica, mentre per il Sud insieme alle isole maggiori è il 3° valore più elevato. Nel suo complesso, a livello nazionale, il mese di giugno si pone al 4° posto fra i più piovosi dalla fine degli anni ’50. Di conseguenza, le abbondanti precipitazioni del mese determinano una ulteriore crescita del surplus pluviometrico da inizio anno che sale a +26% e che va in parte a colmare il pesante deficit che ha gravato sull’Italia fra il 2022 e i primi mesi di quest’anno.

Anomalie mensili giugno 2023 – METEOEXPERT

Il mese di luglio del 2023 si è contraddistinto per due aspetti estremi di notevole rilevanza che rappresentano, per così dire, le due facce della stessa medaglia: da una parte la lunga e intensa ondata di calore che ha tenuto sotto scacco l’Italia per 18 giorni dando origine a nuovi record di temperatura soprattutto sulle regioni meridionali; dall’altra parte gli eccezionali e ripetuti eventi temporaleschi con grandine gigante e raffiche tempestose sulle regioni settentrionali.

L’ondata di calore, cominciata il giorno 8 e terminata il 25, è stata caratterizzata da tre picchi distinti, corrispondenti a tre spinte consecutive verso nord del promontorio anticiclonico nord-africano, il quale, comunque, non ha mai abbandonato il Mediterraneo centro-occidentale nell’arco dei 18 giorni. Il nucleo più caldo della massa d’aria sahariana ha interessato per lo più il Centro-Sud e più marginalmente il Nord dove, tuttavia, le temperature più contenute sono state accompagnate da elevati tassi di umidità che hanno accentuato la sensazione di caldo. Fra i numerosi nuovi record spiccano i 47.4°C di Olbia raggiunti il giorno 24, che rappresentano non solo il record assoluto della stazione meteo, ma anche il record assoluto nazionale della rete AM-ENAV. Di seguito altri record assoluti: 46.8°C a Decimomannu, 45°C a Capo Bellavista, 44.6°C a Cagliari, 43°C a Ustica, 42.7°C a Lamezia Terme e Alghero, 42.2°C a Capo Caccia. Questi, invece, alcuni fra i nuovi record di luglio: 44°C a Palermo P.R., 42°C a Trapani, 39.7°C a Roma Ciampino, 38.2°C a Campobasso. Da segnalare anche i valori fuori scala delle cosiddette temperature minime che nelle fasi più “bollenti”sono rimaste sopra i 30 gradi in diverse zone grazie anche al contributo dei caldi venti meridionali, in particolare su Sicilia, Sardegna, Calabria, Ustica e Capri. Notevoli i valori minimi osservati il giorno 25 a Ustica con 33.6°C, a Palermo con 32.7°C e a Capo Bellavista con 32°C; in questo frangente, fra il giorno 24 e il 25, è stato osservato l’eccezionale valore di +30°C sulla superficie isobarica 850 hPa (a circa 1600 metri di quota) sopra le isole maggiori. È seguito, poi, un deciso e rapido tracollo termico con le temperature che, dopo giornate “roventi”, sono scese improvvisamente ben al di sotto della media. In generale, i 18 giorni di calura a tratti estrema hanno contribuito a determinare un’anomalia mensile di +1.7°C rispetto alla media di riferimento del trentennio 1991-2020, che rappresenta il 3° valore più elevato dalla fine degli anni ’50 del secolo scorso, dopo il record del 2015 e il dato del 2022; di fatto il luglio del 2023 scalza dal podio quello del 2003 che, a questo punto, scende al 4° posto. In realtà, il caldo estremo che ha interessato
soprattutto le regioni meridionali ha, per così dire, dato i suoi frutti: per il Sud, comprese le Isole, il luglio del 2023, con uno scarto di +2.4°C, è stato il più caldo della serie storica dominata finora dal luglio 2015. L’anomalia del primo bimestre estivo su scala nazionale è pari a +1.2°C, valore senz’altro notevole, ma piuttosto lontano dal record del 2003 (+2.5°C) e dal dato del 2022 (+2°C) che al momento paiono difficili da raggiungere (solo per eguagliare l’anomalia estiva del 2022, la seconda più elevata, occorrerebbe un agosto a più di 3.5°C sopra la media, ossia un agosto ancora più estremo di quello eccezionale del 2003 che ha chiuso con un’anomalia di +2.7°C). Lo scarto dall’inizio dell’anno sale ancora leggermente portandosi a +0.6°C, valore per il momento intermedio nell’ambito degli anni più caldi della serie storica.

Per quel che riguarda le precipitazioni, si sono verificate diverse fasi a tratti molto intense, prevalentemente sulle regioni settentrionali (solo pochi episodi, anche se talvolta intensi, al Centro-Sud). In particolare gli accumuli totali più significativi sono stati osservati a nord del corso del Po con un numero di giorni piovosi da 8 a 13 nel corso del mese. In effetti, le regioni del Nord si sono trovate lungo il bordo settentrionale del promontorio anticiclonico, che è stato sede di forti contrasti fra le due differenti masse d’aria, quella di origine subtropicale con molta umidità nei bassi strati della val Padana e quella temperata atlantica in scorrimento sull’Europa centrale e la regione alpina. Tale contrasto ha dato origine a sistemi temporaleschi molto intensi, talvolta anche a supercelle, accompagnati da grandine di grosse dimensioni e violente raffiche di vento, anche oltre i 100 km/h, che hanno causato ingenti danni a oggetti vari, edifici, veicoli e anche alla vegetazione, compresi numerosi casi di alberi abbattuti (purtroppo ci sono state anche due vittime a causa della caduta di alberi). Fra il gran numero di grandinate spiccano diversi casi di grandine gigante (diametro > 7 cm), con dimensioni anche oltre i 10 cm, in particolare l’evento del giorno 19 a Carmignano di Brenta (PD) che ha prodotto un chicco di 16 cm certificato come record europeo, ma soprattutto l’evento del 24 sera ad Azzano Decimo (PN) che, dopo solo cinque giorni, ha ritoccato il record europeo producendo un chicco di circa 19 cm (a un passo dal record mondiale di 20.3 cm osservato in South Dakota il 23 luglio del 2010). In questo contesto, sulle regioni settentrionali è stato osservato un netto esubero di precipitazioni rispetto alla media, con un bilancio pari a +95% al Nord-Ovest e +53% al Nord-Est, nonostante gli accumuli inferiori alla media in Liguria, parte del Piemonte e dell’Emilia Romagna. Diametralmente opposta la situazione nel resto del Paese che ha visto un mese decisamente siccitoso, con totale assenza di precipitazioni o accumuli poco rilevanti in quasi tutte le regioni meridionali (-88% al Sud e in Sardegna, -78% in Sicilia) e in diverse aree del Centro (-47%). Per il Sud comprese le Isole si è trattato del 6° luglio più siccitoso della serie storica di 64 anni, mentre per il Nord è stato il 9° luglio fra i più piovosi. Sul risultato complessivo a livello nazionale, naturalmente, hanno pesato le piogge abbondanti del Nord dando origine a un’anomalia mensile pari a +25%. Così, con un giugno molto piovoso, specie al Centro-Sud, e un luglio piovoso al Nord, la stagione estiva, fino a questo momento, si sta mostrando decisamente piovosa in tutti i settori, con un esubero pari a +48% su scala nazionale. Anche i conti da inizio anno evidenziano un bilancio positivo da nord a sud, con l’anomalia che resta a +26% sull’Italia intera, equivalenti a poco meno di 18 miliardi di metri cubi di acqua in più riversatisi sul nostro territorio.

anomalie mensili luglio 2023 – METEOEXPERT

 

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I fiumi atmosferici, responsabili delle recenti alluvioni in California, si possono sviluppare anche in Italia. Ecco di cosa si tratta https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/meteo-spiegato-bene/i-fiumi-atmosferici-responsabili-delle-recenti-alluvioni-in-california-si-possono-sviluppare-anche-in-italia-ecco-di-cosa-si-tratta/ Thu, 05 Jan 2023 07:37:59 +0000 https://www.iconameteo.it/?p=74541 Le abbondanti piogge che da giorni stanno provocando danni e alluvioni in California non sono causate da un tipico sistema frontale, bensì da un fenomeno che i meteorologi chiamano atmospheric river, che possiamo tradurre come “fiume atmosferico”. La più colpita è finora la Bay Area, la zona di San Francisco, dove nel fine settimana di Capodanno …

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Le abbondanti piogge che da giorni stanno provocando danni e alluvioni in California non sono causate da un tipico sistema frontale, bensì da un fenomeno che i meteorologi chiamano atmospheric riverche possiamo tradurre come “fiume atmosferico”. La più colpita è finora la Bay Area, la zona di San Francisco, dove nel fine settimana di Capodanno due persone hanno perso la vita: secondo le previsioni anche nei prossimi giorni i fenomeni più intensi insisteranno soprattutto in questa regione, che si trova nel nord della California, dove probabilmente arriveranno diversi nuovi atmospheric river.

Un fiume atmosferico è un flusso di vapore acqueo, paragonabile a un vero e proprio fiume che scorre in atmosfera per migliaia di chilometri lungo la direzione dei venti dominanti, con una larghezza dell’ordine di 400/600 km. La grande quantità di vapore acqueo di cui è composto ha origine dalle aree oceaniche più calde, in genere alle latitudini tropicali, dove l’elevata temperatura della superficie dell’oceano favorisce l’evaporazione dell’acqua. Uno di questi flussi è stato ribattezzato Pineapple Express, perché ha origine in prossimità dell’arcipelago delle Hawaii e si spinge sulla costa ovest degli USA.

Quando questo veloce flusso raggiunge la costa, l’aria umida impatta contro i rilievi montuosi, la massa d’aria si raffredda rapidamente e il vapore acqueo si condensa, originando intense precipitazioni.

Il fenomeno degli atmospheric river non interessa solo la costa occidentale del Nord America, ma è diffuso in varie parti della Terra. Viene però studiato soprattutto negli Stati Uniti, perché le precipitazioni che hanno questa origine costituiscono una parte importante dell’apporto idrico della California (dal 30 al 50%) e una fondamentale riserva garantita dalla neve che si accumula sulla Sierra Nevada, anch’essa direttamente legata al flusso umido dei fiumi atmosferici. Quando i flussi sono particolarmente intensi, però, possono dare luogo a eventi meteo estremi, con rischio di alluvioni e frane che possono provocare danni anche ingenti, come accaduto per esempio nel dicembre 2010 e nel gennaio 2017.

Ci sono molti ricercatori che si occupano di studiare e migliorare le previsioni di questo fenomeno analizzando le caratteristiche degli eventi degli ultimi anni, di cui si sono rilevati numerosi dati tramite i satelliti e i radar meteorologici, oltre a quelli delle stazioni meteo al suolo. Una previsione affidabile dell’arrivo e degli effetti di un atmospheric river ha una notevole importanza, sia nei casi in cui le abbondanti precipitazioni possono interrompere i lunghi periodi di siccità che sempre più spesso si registrano in California, sia per i rischi idrogeologici legati alle intense precipitazioni. L’ente statunitense NOAA (National Oceanic & Atmospheric Administration) ha addirittura un portale dedicato.

A dimostrazione del fatto che non stiamo parlando di un fenomeno limitato alle coste del Pacifico ci supporta un recente articolo scritto da ricercatori italiani del CNR-ISAC e dell’Università di Bologna (Silvio Davolio, Mario Miglietta, Sante Laviola, Vincenzo Levizzani e Stefano Della Fera) che descrive i meccanismi responsabili delle intense precipitazioni che hanno colpito l’Italia a fine di Ottobre 2018, associate alla tempesta Vaia.

fiume atmosferico italia
Atmospheric River nel Mediterraneo. Fonte: CNR

Lo studio evidenzia la presenza e il ruolo determinante di un Atmospheric River nel Mediterraneo: un trasporto cospicuo di vapore acqueo dalle regioni tropicali lungo uno stretto corridoio che ha attraversato il continente Africano, per poi alimentare intense precipitazioni sulla nostra Penisola.

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Supercella, cos’è e come si forma il fenomeno che si cela dietro forti temporali, grandinate e tornado https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/supercella-cose-e-come-si-forma-il-fenomeno-che-si-cela-dietro-forti-temporali-grandinate-e-tornado/ Fri, 10 Jun 2022 06:25:58 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/supercella-cose-e-come-si-forma-il-fenomeno-che-si-cela-dietro-forti-temporali-grandinate-e-tornado/ Durante gli ultimi passaggi perturbati il nostro paese, in particolare nella zona della Pianura Padana, è stato interessato da diversi temporali a supercella, che hanno causato ingenti danni per le grandinate con chicchi di medio-grandi dimensioni a loro associati. Ma cos’è una supercella? La supercella è un tipo di temporale che si sviluppa in particolari …

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Durante gli ultimi passaggi perturbati il nostro paese, in particolare nella zona della Pianura Padana, è stato interessato da diversi temporali a supercella, che hanno causato ingenti danni per le grandinate con chicchi di medio-grandi dimensioni a loro associati.

Ma cos’è una supercella?

La supercella è un tipo di temporale che si sviluppa in particolari condizioni atmosferiche predisponenti e ha come aspetto principale la presenza al suo interno di una corrente ascensionale in rotazione. Infatti tutta la struttura del cumulonembo ruota, nell’emisfero boreale, in senso antiorario.

Una supercella è formata da una singola cella convettiva ad asse obliquo, che riesce a rimanere attiva anche per molto tempo evitando che le aree di ingresso e uscita dei venti vadano a disturbarsi a vicenda.
La fenomenologia associata a questi temporali è generalmente molto intensa, con grandi volumi di pioggia concentrata in breve tempo, grandine anche di grosse dimensioni e forti venti. Ma la supercella è soprattutto il tipo di temporale da cui è più probabile che si formi un tornado.

La condizione di partenza principale affinché si generi una supercella è il wind shear positivo. Significa che i venti ruotano in senso orario salendo di quota (per esempio se il vento al suolo è da Sud-Est, a 1500 metri è da Sud e a 5000 metri è da Sud-Ovest). Questo permette all’updraft, cioè la corrente ascendente del temporale, di ruotare con rotazione ciclonica. L’updraft rotante di una supercella prende il nome di mesociclone.

Un altro importante parametro utile per la genesi di supercelle è lo speed shear positivo dei venti, cioè la presenza di venti più forti alle alte quote rispetto a quelli negli strati vicini al suolo. Questo permette al temporale di avere un asse inclinato, liberando quindi l’updraft dall’interferenza delle precipitazioni.

Crediti: Tornado in Italia/Alessandro Piazza

La struttura della supercella

La sua struttura presenta diverse nubi accessorie tipiche che la rendono unica e facilmente riconoscibile. La principale di queste nubi è la wall cloud, o nube a muro. Questa si presenta come un abbassamento della base libera dalle precipitazioni, quindi direttamente sotto il mesociclone , ed è formata dall’aria proveniente dalle precipitazioni del temporale che viene in parte aspirata dal mesociclone. Questa aria, essendo più fredda, condensa a una quota inferiore rispetto alla base del cumulonembo. Anche la wall cloud, come tutto il temporale, assume moto rotatorio, ed è proprio da questa nube che, in alcune supercelle, si sviluppa il tornado.
La wall cloud può anche presentare una sorta di coda, detta tail cloud, che è la traccia dell’aria che dalle precipitazioni viene aspirata nel mesociclone.

Crediti: Tornado in Italia/Alessandro Piazza

Il nucleo principale delle precipitazioni si trova spostato in avanti (considerando il movimento del temporale) rispetto all’area dell’updraft, per effetto dell’asse inclinato del cumulonembo. Quest’area viene definita forward flank downdraft, o ffd.

Una parte delle precipitazioni però, per effetto della rotazione della struttura, viene trasportata attorno al mesociclone andando ad avvolgerlo e formando il rear flank downdraft o rfd. L’rfd sembra avere un ruolo chiave nella formazione di un eventuale tornado, contribuendo a estendere la rotazione della wall cloud verso il suolo. I meccanismi della tornadogenesi comunque sono molto complicati e non ancora completamente chiari.

Crediti: Tornado in Italia/Alessandro Piazza

Tipi di supercelle

Esistono diversi tipi di supercella, che si differenziano in base alla quantità di precipitazioni che scaricano a terra. Le categorie principali sono 3: supercelle classiche, supercelle high precipitations o HP e supercelle low precipitations o LP.

Foto: Tornado in Italia/Alessandro Piazza

Supercelle classiche: sono caratterizzate da uno stacco netto tra l’area del mesociclone e l’area delle precipitazioni. Presentano in genere precipitazioni intense con al loro interno grandine che può raggiungere dimensioni molto importanti, anche fino a 8-10 cm. Possono inoltre spostarsi anche molto velocemente, a seconda delle velocità dei venti alle quote medie, riversando al suolo venti lineari molto forti. Le supercelle classiche sono quelle che più frequentemente generano i tornado.

Foto: Tornado in Italia/Alessandro Piazza

Supercelle HP: le precipitazioni sono molto abbondanti e cadono anche nell’area al di sotto del mesociclone. Raramente contengono al loro interno grandine di grosse dimensioni, e in genere si spostano piuttosto lentamente, perché si formano in condizioni di grande energia disponibile ma venti alle quote medie più deboli. Possono anche essere l’evoluzione di una supercella classica prima del collasso della struttura. Da queste supercelle raramente si formano tornado, ma nel caso lo producano diventano molto pericolose perché questo si trova nascosto in mezzo alla pioggia.

Foto: Tornado in Italia/Alessandro Piazza

Supercelle LP: le precipitazioni sono scarse o quasi assenti. Si formano quando l’umidità dell’aria è piuttosto bassa, e possono essere molto spettacolari perché la poca pioggia lascia vedere tutta la struttura dell’updraft rotante scolpito dai venti. Nonostante la scarsità di precipitazioni però possono essere in grado di generare grandine di grosse dimensioni. Di solito la loro base è piuttosto alta rispetto al suolo e raramente producono tornado.

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Caldo, più caldo, estremamente caldo. I cambiamenti della circolazione atmosferica estiva all’origine delle più estreme ondate di calore https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/caldo-piu-caldo-estremamente-caldo-i-cambiamenti-della-circolazione-atmosferica-estiva-allorigine-delle-piu-estreme-ondate-di-calore/ Wed, 18 May 2022 10:26:50 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/caldo-piu-caldo-estremamente-caldo-i-cambiamenti-della-circolazione-atmosferica-estiva-allorigine-delle-piu-estreme-ondate-di-calore/ Il riscaldamento globale indotto dall’incremento dei gas a effetto serra e l’associato cambiamento climatico stanno determinando un aumento della temperatura media del pianeta che, come sappiamo, ha recentemente superato il grado centigrado rispetto all’epoca pre-industriale. Sappiamo anche che questo riscaldamento medio, apparentemente modesto, nasconde significative differenze tra le diverse aree del globo: gli oceani si …

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Il riscaldamento globale indotto dall’incremento dei gas a effetto serra e l’associato cambiamento climatico stanno determinando un aumento della temperatura media del pianeta che, come sappiamo, ha recentemente superato il grado centigrado rispetto all’epoca pre-industriale. Sappiamo anche che questo riscaldamento medio, apparentemente modesto, nasconde significative differenze tra le diverse aree del globo: gli oceani si riscaldano più lentamente rispetto alle terre emerse, mentre la temperatura dell’Artico cresce ad un ritmo da due a quattro volte più veloce rispetto alla media globale. Il fenomeno del forte riscaldamento nella regione artica, noto come Arctic Amplification, è oggi compreso piuttosto bene e ne abbiamo sintetizzato le principali cause in questo articolo di approfondimento.

Figura 1. Distribuzione delle temperature in due climi con temperatura media diversa.

In un pianeta mediamente più caldo è del tutto ragionevole aspettarsi una crescita delle temperature estreme, infatti una causa di questo aspetto del cambiamento climatico è semplice ed è stata individuata da molto tempo. Se ipotizziamo (figura 1) una distribuzione “gaussiana” (una curva a campana) della temperatura è sufficiente spostare tale curva verso temperature medie più elevate per accorgersi di quanto si ingrandisca la coda della distribuzione (in arancio e rosso nella figura) che rappresenta i valori più alti a discapito delle temperature più basse che divengono meno frequenti e meno probabili. Alla prova dei fatti, e ciò vale soprattutto per le nostre latitudini (per la cosiddetta fascia extra-tropicale), questa descrizione non è tuttavia sufficiente per spiegare le inusuali e intense ondate di calore (e in generale, come vedremo a breve, di eventi estremi) che sono state osservate negli ultimi venti anni. Detto altrimenti, il solo aumento della temperatura media globale non basta per giustificare gli eventi estremi (ondate di caldo e alluvioni) che hanno caratterizzato i primi decenni di questo secolo, a cominciare dalla terribile ondata di calore del 2003 in Europa. Un ruolo significativo nell’amplificazione di un’ondata di calore può essere cercato nella risposta dei suoli: un’episodio del genere, infatti, di solito è accompagnato da una lunga serie di giornate soleggiate senza precipitazioni che conducono a forte evaporazione e a siccità. La temperatura di un suolo asciutto aumenta di più rispetto a quella di un suolo umido perché gran parte dell’energia solare assorbita si trasforma in calore sensibile anziché essere spesa per l’evaporazione, generando un feedback positivo su scale piuttosto ampie. Anche tenendo conto di questo effetto, comunque, per dare conto del tempo estremo che le medie latitudini hanno sperimentato negli ultimi decenni occorre cercare altre cause, più complesse, da individuare necessariamente nella circolazione globale dell’atmosfera.

Le onde di Rossby o onde planetarie

Le più ampie ondulazioni del flusso atmosferico su grande scala, dette per questo onde planetarie, sono chiamate anche onde di Rossby, dal nome del meteorologo svedese che le descrisse. Esse sono sono sempre presenti e possono essere innescate dalla crescita dell’instabilità baroclina (all’origine dei sistemi perturbati delle medie latitudini), dall’interazione del flusso con le catene montuose o dalla divergenza del flusso nell’alta troposfera scaldatasi diabaticamente (per il rilascio di grandi quantità di calore latente di condensazione).

Onde di Rossby sul Nord America rese riconoscibili dalle ondulazioni della corrente a getto. Da https://physicsworld.com/a/extreme-rainfall-events-can-be-correlated-over-thousands-of-kilometres-study-reveals/

La dinamica di queste onde è legata alla rotazione terrestre e dunque all’accelerazione di Coriolis. Se il flusso zonale, diretto da ovest verso est, viene costretto per qualche causa a deviare in senso meridiano la conservazione della vorticità planetaria, funzione della latitudine, innesca un’oscillazione di Rossby. Sotto opportune ipotesi e semplificazioni non è difficile dimostrare che la velocità di fase c con cui si propagano queste ondulazioni è data da:

In questa relazione U è la velocità media del flusso zonale, β il parametro di Rossby, k e l rappresentano rispettivamente il numero d’onda zonale e meridiano. La relazione mostra che la velocità di propagazione è direttamente proporzionale alla velocità del vento medio zonale e che le onde più lunghe (con k più piccolo) si propagano più velocemente di quelle corte, che possono risultare stazionarie o perfino muoversi verso est se il secondo termine è maggiore di U. Una distinzione importante, anche ai fini della discussione che segue, viene fatta tra le onde di Rossby forzate (possono essere forzate dall’orografia o da grandi blocchi di aria calda) e le onde libere, dette “free travelling waves”, che sarebbero presenti anche se la superfice del pianeta fosse liscia e omogenea. Le onde planetarie ed in particolare i Rossby wave trains, hanno un ruolo di primo piano nelle cosiddette teleconnessioni (ne avevamo parlato in questo articolo), il nome dato al meccanismo che permette all’atmosfera di “trasmettere” un’anomalia della circolazione globale da una regione del pianeta (ad esempio la fascia tropicale dell’Oceano Pacifico) ad un’altra molto distante (come le aree extratropicali). E’ noto tuttavia che la circolazione estiva presenta condizioni meno favorevoli alle teleconnessioni rispetto alla circolazione invernale.

Circolazione estiva in un pianeta più caldo

Di recente diversi studi scientifici hanno evidenziato che durante l’estate le condizioni meteorologiche alle medie latitudini (particolarmente nell’Eurasia) sono diventate più persistenti: la maggiore persistenza delle strutture circolatorie è un requisito che può essere cruciale per spiegare molti degli eventi estremi (in particolare le ondate di calore) che sono stati osservati. Quando una vasta area anticiclonica staziona sopra la stessa regione per molti giorni o addirittura per alcune settimane il sole, poco ostacolato dalla scarsa nuvolosità, riscalda a lungo le stesse zone le quali diventano anche progressivamente più secche, riscaldandosi ancora di più. Di solito (si veda la figura 2) ad un’ondulazione anticiclonica stazionaria (H) corrisponde un’ondulazione di tipo ciclonico (L) altrettanto persistente, per cui tipicamente mentre in una regione si hanno giornate soleggiate e temperature altissime, in quella accanto le condizioni climatiche sono opposte, con tempo molto perturbato e fresco. Uno degli esempi più noti di questo tipo di configurazione si è verificato nell’estate del 2010, ricordata per una interminabile ondata di caldo in Russia e per le alluvioni devastanti nel Pakistan.

Figura 2: rappresentazione del legame tra il tempo estremo e le ampie ondulazioni del flusso atmosferico. Il video, in inglese, da cui proviene questo frame (indirizzo: https://phys.org/news/2017-03-weather-extremes-humans-giant-airstreams.html ) illustra in modo intuitivo il concetto della QRA (Quasi Resonant Amplification)

La domanda che nasce inevitabilmente è: quanto abbiamo appena descritto, la maggiore persistenza delle strutture circolatorie estive, è frutto del caso (o meglio: della grande variabilità interna dell’atmosfera, che può manifestarsi anche su lunghe scale temporali) o si tratta invece dell’ennesimo frutto velenoso del riscaldamento globale? Gli scienziati che studiano l’atmosfera naturalmente hanno provato a rispondere alla questione, assai complicata, e hanno prodotto moltissima ricerca. Inizialmente l’attenzione è stata rivolta soprattutto alla stagione invernale, ma la circolazione nella stagione fredda (ci riferiamo ovviamente al nostro emisfero) è intrinsecamente molto diversa da quella estiva. Durante l’estate, solo per citare la differenza forse più macroscopica, è assente il vortice polare stratosferico che può esercitare un’importante influenza sull’andamento dell’inverno alle medie latitudini tramite l’interazione con il flusso troposferico. In estate, inoltre, la corrente a getto subtropicale è più debole e può formarsi un secondo getto (double jet) alle alte latitudini, associato al forte gradiente termico tra l’Oceano Artico e la vicina terraferma.

Figura 3: rappresentazione schematica dei tre meccanismi dinamici individuati nella circolazione estiva. (fonte: https://www.nature.com/articles/s41467-018-05256-8). La spiegazione si trova nel testo.

Un articolo pubblicato nel 2018 su Nature Communications ha riassunto i tre principali cambiamenti dinamici nella circolazione estiva che potrebbero essere in atto e accentuarsi in futuro, con particolare attenzione all’Amplificazione Artica e alla conseguente diminuzione della differenza di temperatura tra il nord ed il sud del nostro emisfero. Essi sono (figura 3): l’indebolimento del flusso perturbato (“weakening of storm tracks” in figura 3), lo spostamento verso nord del getto subtropicale (“poleward shift of subtropical jet” in figura 3) e l’amplificazione dei treni di onde corte quasi stazionarie (“Amplification of quasi-stationary short-wave trains” in figura 3), un meccanismo che nella letteratura scientifica è noto anche come QRA (Quasi Resonant Amplification). L’indebolimento del flusso perturbato e della velocità dei venti occidentali sono una conseguenza naturale, diciamo così, della diminuzione del gradiente termico polo-equatore e sono confermati dalle osservazioni. Un ingrediente fondamentale della nascita di quelle che familiarmente chiamiamo “perturbazioni” è infatti l’instabilità baroclina, legata al gradiente termico nord-sud. Il tema dello spostamento di latitudine delle correnti a getto (in particolare di quella subtropicale) è estremamente complesso e coinvolge anche la troposfera tropicale. La premessa è che accanto all’Amplificazione Artica, che riguarda la bassa troposfera, si osserva anche una sorta di amplificazione tropicale nell’alta troposfera tropicale (che si sta riscaldando di più rispetto a quella polare per effetto del calore latente rilasciato nei moti convettivi), che genera effetti opposti rispetto alla prima. I ricercatori scrivono espressamente di un “tiro alla fune” (tug of war) tra i due meccanismi, laddove l’Amplificazione Artica “spinge” il getto verso sud, mentre quella tropicale lavora in senso contrario. Il risultato, in estrema sintesi, sembra essere che per ora gli spostamenti osservati sono ancora modesti, ma che alla lunga, con il progredire del riscaldamento globale, l’effetto dominante potrà essere quello associato ai cambiamenti nella troposfera tropicale. Il terzo meccanismo proposto, l’amplificazione delle onde corte quasi-stazionarie, ha destato molto interesse in tempi recenti perché la teoria su cui si basa è relativamente nuova. Questa dinamica, che si è attivata in occasione di molti degli eventi estremi osservati nel ventunesimo secolo, riguarda le onde planetarie (si veda il box di approfondimento) e in particolare l’interazione (risonanza) tra le onde libere (free travelling) e le onde forzate, in presenza di una guida d’onda (waveguide) che impedisce all’energia delle onde libere quasi stazionarie di dissiparsi come avviene normalmente. In questa condizione le onde libere quasi stazionarie con un numero d’onda compreso tra 6 e 8 (vale a dire che si contano 6-8 oscillazioni complete lungo un anello di latitudine) entrano in risonanza con le onde forzate della stessa lunghezza e la loro ampiezza aumenta fortemente. Il ruolo del riscaldamento globale e della conseguente Amplificazione Artica sembra essere quello di creare una configurazione atmosferica di base più favorevole a questo fenomeno, anche attraverso la presenza del “double jet” polare a cui si è fatto cenno.

Crediti mmagine Pixabay

In sintesi, e per concludere

La narrativa legata al riscaldamento globale e al correlato cambiamento climatico fa grande uso di espressioni come “limitare il riscaldamento a +2°, limitarlo a +1.5°, 3° in più entro fine secolo…” e così via. Questi numeri relativamente piccoli potrebbero dare al grande pubblico una falsa impressione tranquillizzante, per i motivi che abbiamo appena cercato di spiegare.

Gran parte della popolazione mondiale vive sui continenti e in aree dove il riscaldamento viaggia a ritmi almeno doppi rispetto a quello medio di un pianeta ricoperto per il 70% di oceani. Negli ultimi decenni, inoltre, il sospetto che alle medie latitudini gli eventi estremi (soprattutto le ondate di caldo e la siccità) stiano crescendo ad un ritmo ancora superiore si è trasformato praticamente in certezza. Il rischio che corriamo interferendo in modo irresponsabile in un meccanismo delicato e complesso come il sistema climatico è di attivare risposte non lineari (come l’amplificazione delle onde planetarie e altri pericolosi feedback positivi) che possono concretamente mettere a repentaglio la nostra sopravvivenza incidendo non solo sulla qualità della vita, ma anche sulla sicurezza alimentare e di conseguenza sugli equilibri politici ed economici globali.

Fonti e approfondimenti consigliati

https://www.iconaclima.it/approfondimenti/artico-ghiaccio-marino-circolazione-atmosferica/
https://www.iconaclima.it/approfondimenti/sistema-climatico-i-meccanismi-di-retroazione/
Coumuo et al. 2014, Quasi-resonant circulation regimes and hemispheric synchronization of extreme weather in boreal summer. PNAS (www.pnas.org/cgi/doi/10.1073/pnas.1412797111)

Coumou et al. 2018, The influence of Arctic amplification on mid-latitude summer circulation. Nature Communications. https://www.nature.com/articles/s41467-018-05256-8 https://www.nature.com/articles/s414601805256https://www.nature.com/articles/s41467-
Di Capua, G., Sparrow, S., Kornhuber, K. et al. Drivers behind the summer 2010 wave train leading to Russian heatwave and Pakistan flooding. npj Clim Atmos Sci 4, 55 (2021). https://doi.org/10.1038/s41612-021-00211-9
Du et al. 2020, Extreme Precipitation on Consecutive Days Occurs More Often in a Warming Climate. BAMS (https://doi.org/10.1175/BAMS-D-21-0140.1)
Mann, M. E. et al. Influence of Anthropogenic Climate Change on Planetary Wave
Resonance and Extreme Weather Events. Sci. Rep. 7, 45242; doi: 10.1038/srep45242 (2017).

Zappa et al 2015, The dependence of wintertime Mediterranean precipitation on the atmospheric circulation response to climate change Environ. Res. Lett. 10 104012. https://iopscience.iop.org/article/10.1088/1748-9326/10/10/104012

© Icona Meteo - Il presente contenuto è riproducibile solo in parte, non integralmente, inserendo la citazione della fonte (Icona Meteo) e il link al contenuto originale (Caldo, più caldo, estremamente caldo. I cambiamenti della circolazione atmosferica estiva all’origine delle più estreme ondate di calore)

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Il ruolo dei meteorologi televisivi nell’era dell’estremizzazione climatica https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/il-ruolo-dei-meteorologi-televisivi-nellera-dellestremizzazione-climatica/ Sun, 03 Apr 2022 09:05:13 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/il-ruolo-dei-meteorologi-televisivi-nellera-dellestremizzazione-climatica/ “Mi piacerebbe che le meteorologia e le previsioni meteo siano ascoltate con maggior consapevolezza. Vorrei che la comunicazione del maltempo sia sempre in grado di ridurre l’esposizione e la vulnerabilità ai fenomeni meteo pericolosi, alle volte estremi, che accadono con sempre maggior frequenza a causa del cambiamento climatico”. Con queste parole ho appena risposto a …

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“Mi piacerebbe che le meteorologia e le previsioni meteo siano ascoltate con maggior consapevolezza. Vorrei che la comunicazione del maltempo sia sempre in grado di ridurre l’esposizione e la vulnerabilità ai fenomeni meteo pericolosi, alle volte estremi, che accadono con sempre maggior frequenza a causa del cambiamento climatico”. Con queste parole ho appena risposto a 25 ragazze e ragazzi della scuola alla loro domanda, “cosa desidera di più riguardo al suo lavoro da meteorologa?”

Non ci sono più i meteorologi di una volta

Una cosa è certa: la comunicazione della meteorologia sta cambiando e non ci sono più i meteorologi di una volta. No, non mi sto riferendo all’annoso e ricorrente dibattito pregno di pregiudizi “meteorologo vs meteorina” che vorrei fosse prima o poi superato sotto il solido sostegno della correttezza del messaggio, indipendentemente dall’abito indossato, gonna o pantaloni che siano. Mi riferisco al fatto che questo lavoro legato alla comunicazione del tempo previsto stia assumendo – piuttosto velocemente – caratteristiche e obiettivi diversi legati alla gestione del rischio.

Non si tratta più di comunicare solo “tenete gli ombrelli a portata di mano”, ma di osservare una situazione atmosferica potenzialmente pericolosa analizzando i modelli fisico-matematici, di coordinare il proprio messaggio di attenzione con quello espresso dagli organi preposti (per il rischio idrogeologico abbiamo la Protezione Civile) per poi avvisare responsabilmente la cittadinanza.

Comunicare responsabilmente, proprio così, senza alcun altro obiettivo che non sia quello di mettere e mantenere al riparo più persone e cose possibili. E chi, meglio del meteorologo, può parlare direttamente a tutti coloro che guardano, leggono o ascoltano, una previsione del tempo?

Meteorologi in prima linea contro la disinformazione climatica

Fino a pochi anni fa i meteorologi non parlavano molto del cambiamento climatico, sia perché meteorologia e climatologia sono due materie diverse, ma anche perché un singolo evento meteo non definisce in alcun modo una tendenza climatica, e per legare i due aspetti servono i cosiddetti studi di attribuzione.

Nonostante ciò, sotto la incalzante e preoccupante accelerazione degli effetti del riscaldamento globale, negli ultimi dieci anni un numero sempre crescente di meteorologi ha iniziato ad affrontare la crisi climatica come parte integrante delle previsioni, dando informazioni di contesto, per aiutare i propri uditori, lettori, telespettatori a capire cosa sta succedendo e perché potrebbe essere importante. I meteorologi di oggi stanno aiutando sempre di più il pubblico a conoscere la connessione tra scienze meteorologiche, scienze del clima e sicurezza.

“Stiamo osservando sempre più meteorologi menzionare il cambiamento climatico e discutere di come stia influenzando le diverse aree locali, il tipo di cose che vorresti che il pubblico in generale comprendesse al meglio”, afferma Keith Seitter, direttore esecutivo dell’American Meteorological Society . “Come se sentissero che i loro spettatori stanno osservando questi cambiamenti”. L’obiettivo sembra quindi dare delle risposte alle domande della comunità. Ma per molti professionisti della scienza meteorologica, convincere le persone sull’urgenza del cambiamento climatico non riguarda solo una efficace azione di advocacy, ma soprattutto quel concetto che dovrebbe stare alla base di tutte le rubriche meteorologiche: informare e proteggere i cittadini.

Il rapporto tra meteorologi, scienziati del clima e opinione pubblica

Sebbene la maggioranza dell’opinione pubblica ritenga che il cambiamento climatico sia reale (l’89% degli italiani sostiene che l’emergenza climatica rappresenti la principale minaccia alla sicurezza nazionale), quasi tutti ne sottovalutano l’importanza, in parte perché lo si percepisce come una minaccia relativamente “distante” nello spazio e nel tempo. Il punto di vista secondo cui il cambiamento climatico sia “distante” porta a divergenze tra i messaggi di urgenza della comunità scientifica e la reazione della cittadinanza, rallentando gli sforzi e le politiche di adattamento e mitigazione necessarie fin da ieri.

Colmare il divario tra la comprensione del pubblico e le evidenze della comunità scientifica sul cambiamento climatico non solo può aiutare ad amplificare la volontà di mitigare e adattarsi, ma può anche comportare una maggiore comprensione e accettazione della scienza consolidata. Quindi è della massima importanza identificare tutti i modi per comunicare efficacemente la scienza del cambiamento climatico rivolgendosi all’opinione pubblica, attraverso i mezzi più appropriati e utilizzando messaggeri affidabili.

Ricerche passate hanno dimostrato che, all’interno della comunità della meteorologia televisiva, le opinioni sui cambiamenti climatici si sono evolute rapidamente negli ultimi dieci anni. Possiamo utilizzare i dati di tre sondaggi di censimento dei meteorologi televisivi statunitensi condotti tra il 2015 e il 2017, per analizzare i più recenti andamenti sulle opinioni dei meteorologi televisivi sui cambiamenti climatici. In particolare, questa ricerca pubblicata sull’American Meteorological Society Journals e supportata dalla National Science Foundation vuole rispondere alle seguenti domande: quali sono le convinzioni dei meteorologi sul cambiamento climatico? Quali sono le cause? A che percentuale ammonta il consenso scientifico? E l’interesse a saperne di più sul cambiamento climatico? Dai dati appare innanzitutto che la comunità dei meteorologi di oggi sembra condividere gli stessi punti di vista e prospettive della maggior parte degli scienziati del clima, in particolare che il cambiamento climatico sia già in atto e che le tendenze attuali siano il risultato dell’attività umana.

“Pensi che il cambiamento climatico stia accadendo?” 9 meteorologi su 10 hanno indicato che il cambiamento climatico è un problema reale e attuale, passando dal 90% nel 2015 al 95% nel 2017. Mentre il numero di coloro che credono che il cambiamento climatico non stia avvenendo si è dimezzato.
Citation: Weather, Climate, and Society 12, 2; 10.1175/WCAS-D-19-0003.1

Oggi i meteorologi televisivi hanno un ruolo primario di previsione e segnalazione del tempo locale ma, data la loro conoscenza delle scienze atmosferiche, hanno anche un notevole potenziale per educare il pubblico riguardo al cambiamento climatico globale e alle sue implicazioni locali. Questo nuovo approccio, insieme all’evoluzione tecnologica di previsione e del modo tramite cui le persone ottengono le informazioni meteo, pone questa professione al centro tra condizioni meteorologiche estreme, sicurezza della cittadinanza, cambiamento climatico e fiducia pubblica nella scienza.

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Neve, i fattori che determinano la durata del manto nevoso e la sua influenza sul micro-clima https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/neve-i-fattori-che-determinano-la-durata-del-manto-nevoso-e-la-sua-influenza-sul-micro-clima/ Sat, 08 Jan 2022 08:00:12 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/neve-i-fattori-che-determinano-la-durata-del-manto-nevoso-e-la-sua-influenza-sul-micro-clima/ Addentrandosi nella stagione fredda la probabilità che le precipitazioni si verifichino sottoforma di neve si fa più alta, specialmente in montagna e alle quote più elevate, per la gioia degli sciatori e dei tanti ammiratori del paesaggio innevato. In questo articolo avevamo trattato il limite inferiore di una nevicata e il motivo per cui esso …

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Addentrandosi nella stagione fredda la probabilità che le precipitazioni si verifichino sottoforma di neve si fa più alta, specialmente in montagna e alle quote più elevate, per la gioia degli sciatori e dei tanti ammiratori del paesaggio innevato. In questo articolo avevamo trattato il limite inferiore di una nevicata e il motivo per cui esso solitamente si abbassa durante le fasi di precipitazione più intensa. In determinate situazioni la nevicata riesce a spingersi a quote sensibilmente inferiori rispetto allo zero termico, specialmente nelle valli più strette che incidono i maggiori settori montuosi. A nevicata conclusa, tuttavia, il destino del manto nevoso al suolo è legato a moltissimi fattori tra i quali la latitudine, la stagione, l’esposizione, la ventosità di un luogo e, naturalmente, all’andamento meteorologico.

Autunno in montagna. Una nevicata novembrina ha imbiancato le cime in Valle Cavargna (CO). Foto di Lorenzo Danieli

Da cosa dipende la durata del manto nevoso?

La durata del manto nevoso, oltre che dalle variabili meteorologiche, dipende dalle caratteristiche del terreno e naturalmente dallo spessore della coltre. La caratteristica forse più importante della neve, in particolare di quella fresca, è certamente la sua capacità di riflettere gran parte la radiazione solare (a onda corta). La neve fresca ne riflette anche più del 90% (nel gergo tecnico si dice che l’albedo vale 0.90), mentre l’albedo della neve più vecchia e sporca è significativamente più basso, potendo scendere fino a 0.4. Una spolverata di neve che ricopre un terreno accidentato o un bosco avrà vita breve in una giornata soleggiata se la temperatura dell’aria non è ben al di sotto dello zero: in queste condizioni, infatti, i raggi solari scalderanno i sassi emergenti, o i rami degli alberi, tutte superfici più scure e assorbenti della neve, e in poco tempo trasmetteranno il loro calore alla neve fondendola. Come esempio opposto possiamo immaginare uno spesso manto depositatosi su una superficie orizzontale regolare, ad esempio un prato con l’erba tagliata, in una situazione in cui splende il sole e la temperatura dell’aria è di qualche grado al di sopra dello zero.

Gran parte dei raggi solari, specialmente in un giornata invernale in cui il sole è basso, verrà riflessa e il calore da essi trasferito al manto nevoso sarà pochissimo, mentre la neve dissiperà energia irraggiando verso lo spazio radiazione a onda lunga, o infrarossa (a dispetto delle apparenze, infatti, il ghiaccio è un efficiente assorbitore ed emettitore in questa porzione dello spettro e nei suoi confronti esso si comporta come un “corpo nero”). Se l’aria è secca, inoltre, i cristalli della superficie tenderanno a sublimare (un passaggio di fase in cui il ghiaccio si trasforma in vapore acqueo) sottraendo energia e raffreddando lo strato nevoso. Possiamo anche supporre che il vento sia molto debole e che di conseguenza siano deboli i moti turbolenti atmosferici, di modo che il calore dell’aria (che abbiamo immaginato a temperatura positiva) si trasferirà con fatica allo strato superficiale della neve; in gergo tecnico diremo che il flusso di calore sensibile diretto dall’aria verso la neve è molto piccolo. In sintesi, in una situazione come quella descritta il bilancio energetico sulla superficie nevosa (figura 1) è tale per cui essa assorbe poca energia dall’ambiente ed è soggetta a una fusione modesta o trascurabile. Molti di noi, specialmente frequentando la montagna, si saranno accorti che su alcuni pendii nelle giornate soleggiate la neve resta farinosa anche se non fa molto freddo.

Figura 1. Schema del bilancio energetico di un manto nevoso. Da sinistra a destra sono indicati la radiazione a onda corta, quella a onda lunga, i flussi di calore sensibile e latente. In basso il flusso di calore dal suolo. (Fonte: https://wasatchweatherweenies.blogspot.com/2017/04/what-is-greenhousing.html)

Il bilancio energetico illustrato ci porta facilmente a immaginare un esempio opposto, cioè una situazione meteorologica in cui uno strato nevoso avrà una vita molto breve. Pensate a un giorno con cielo molto nuvoloso e temperatura dell’aria positiva (anche di poco), umido e ventoso e osserverete la neve assottigliarsi quasi a vista d’occhio. Inoltre, diversamente dalle situazioni in cui il cielo è sereno, la neve fonderà con ritmo quasi uguale in ogni tipo di esposizione e orientamento, anche sui pendii più ombreggiati.
L’andamento meteorologico influenza il manto nevoso anche in altri modi: il vento, ad esempio, è in grado di spostare grandi quantità di neve dalle zone più esposte per formare cumuli, talora imponenti, nelle aree riparate, creando talvolta condizioni favorevoli al distacco di valanghe dai pendii più ripidi. Il regime termico e meteorologico che segue una nevicata (stiamo parlando di situazioni che in Italia riguardano per lo più la montagna) favorisce i processi di metamorfismo (costruttivo o distruttivo) del manto nevoso che, come suggerisce il nome, conducono a una progressiva trasformazione e “ricostruzione” dei cristalli di neve, che possono avere come risultato la formazione di strati più scorrevoli, rendendo più facile un eventuale successivo distacco di valanghe a lastroni. Gli sciatori alpinisti e i frequentatori della montagna invernale, almeno quelli più avveduti, che hanno imparato questi concetti si muovono con maggiore sicurezza nell’ambiente innevato.

Dettaglio di un suolo innevato in montagna. In secondo piano si riconosce della neve relativamente polverosa con le tipiche increspature dovute al vento. In primo piano, in basso, si nota invece un fenomeno curioso: piccole pozzanghere di ghiaccio derivato da acqua di fusione ricongelatasi in superficie, anziché evaporare o essere assorbita dalla neve sottostante. Foto di Lorenzo Danieli

L’influsso della neve sul clima

Se è vero, come appena ricordato, che le condizioni ambientali influenzano il manto nevoso, non è meno importante l’influsso della neve sul clima, sia a livello locale che su scala globale. Con riferimento al clima globale sappiamo che neve e ghiaccio, specialmente alle alte latitudini, esercitano un’importante ruolo di regolazione termica proprio tramite l’effetto dell’albedo (si veda ad esempio questo articolo dove sono stati esaminati alcuni fra i più importanti meccanismi di retroazione del sistema climatico). Ma l’influsso del manto nevoso è significativo anche a livello locale ed è molto evidente sulle temperature massime, specialmente nelle giornate di sole.

La temperatura dell’aria di una zona innevata si mantengono più basse sia a causa della riflessione dei raggi solari, sia a causa dei cambiamenti di fase del ghiaccio, in particolare fusione, evaporazione o sublimazione, tutti processi che sottraggono energia. Alcuni studi hanno misurato l’effetto di uno strato nevoso sufficientemente spesso (10-20 cm) e rilevato un calo medio delle temperature massime di 4-5°C nelle giornata serene, con importanti differenze in dipendenza della stagione (la differenza, come è intuitivo, è maggiore in primavera), dell’orografia e della copertura vegetale, per i motivi a cui abbiamo accennato all’inizio di questo capitolo. L’influsso sulle temperature minime è in media più contenuto (2-3°C), ma tutt’altro che trascurabile. Le notti più gelide di un inverno e i minimi assoluti di temperatura (almeno nelle zone in cui può essere presente un manto nevoso) sono quasi sempre correlate alla presenza di neve al suolo.

Le condizioni più favorevoli per un sensibile raffreddamento della superficie nevosa e dell’aria sovrastante sono costituite da calma di vento in un atmosfera secca e limpida, che favorisce allo stesso tempo un’efficace perdita di energia irraggiata verso lo spazio e un raffreddamento per sublimazione dei cristalli di ghiaccio. Un ruolo nel raffreddamento della superficie del manto nevoso (la cui temperatura può essere anche di 10°C più bassa rispetto a quella dell’aria) è svolto anche dall’effetto isolante nella neve nei confronti del suolo sottostante, in genere più caldo.

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VENTO FORTE anche a MILANO: da dove arriva il Föhn? https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/fohn-a-milano-da-dove-arriva/ Tue, 04 Jan 2022 09:00:33 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/fohn-a-milano-ma-da-dove-arriva/ vento milanoIl Föhn è un vento ben noto per gli abitanti della Val Padana centro-occidentale e le vicine valli alpine, e a volte fa sentire i suoi effetti anche a Milano. Ha caratteristiche così evidenti e d’effetto per cui è difficile che possa passare inosservato: l’impetuosità con cui discende dall’arco alpino verso la pianura modificando in …

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Il Föhn è un vento ben noto per gli abitanti della Val Padana centro-occidentale e le vicine valli alpine, e a volte fa sentire i suoi effetti anche a Milano. Ha caratteristiche così evidenti e d’effetto per cui è difficile che possa passare inosservato: l’impetuosità con cui discende dall’arco alpino verso la pianura modificando in brevissimo tempo, anche i pochi minuti, i parametri preesistenti con la temperatura che guadagna gradi e l’umidità che crolla; le ampie schiarite sottovento alle Alpi e l’aria limpida che le rende visibili dalla pianura anche a centinaia di chilometri di distanza.

Questo fenomeno trae origine da correnti (in genere un fronte freddo) che investono la barriera alpina con direttrice pressoché perpendicolare allo spartiacque montuoso.

Ma la massa d’aria che investe le Alpi in genere da dove arriva? A soddisfare questa curiosità per l’area del Milanese ci può venire in aiuto uno studio condotto su un campione significativo di 125 episodi di Föhn, distribuiti in più di un decennio, di cui è stata ricostruita la traiettoria a ritroso fino a distanze anche di 3-4000 km a nord della catena alpina. Nella figura che segue vediamo innanzitutto come gli episodi si sono distribuiti in base al posizione di scavalcamento delle creste alpine, là dove la traiettoria le ha intersecate. Le cifre indicate nei cinque settori circolari corrispondono al numero di episodi la cui intersezione è avvenuta al loro interno. Come si vede gli episodi più numerosi, 91 su 125, sono quelli con provenienza dai settori alpini a nordovest o ovest-nordovest rispetto a Milano.

Come detto poi la traiettoria è stata ricostruita a ritroso anche a nord delle Alpi anche per migliaia di chilometri e fino a 60-70 ore prima dell’evento. Le 125 traiettorie così ottenute sono state oggetto di un’analisi statistica (Cluster Analysis) che ha permesso di raggrupparle in base a un criterio oggettivo di somiglianza. Sono stati così ottenuti 3 grossi gruppi (o cluster) che nel loro insieme comprendono 121 dei 125 episodi. Ne sono rimasti fuori 4 episodi in qualche modo “anomali”, poco somiglianti al resto del campione esaminato. La figura che segue riassume il risultato ottenuto con la rappresentazione dei 5 cammini medi con il corrispondente numero di episodi.

I tre gruppi più numerosi, rispettivamente di 62, 32 e 27 episodi mostrano una provenienza “media” dal Mare del Nord, dal cuore delle Isole Britanniche e dal settore atlantico a ovest della Bretagna. I casi più anomali e singolari hanno invece una provenienza più settentrionale in direzione dei paesi scandinavi e baltici.
Ognuno dei tre cluster più numerosi è stato ulteriormente riclassificato in base alle posizioni assunte dalle singole traiettorie ogni tre ore, ottenendo due sottoinsiemi che accorpano sostanzialmente episodi lenti e veloci (i secondi con velocità media di spostamento lungo la traiettoria più elevata rispetto ai primi). A valle di questa nuova suddivisione si è verificato come gli episodi “lenti” siano prevalentemente concentrati nel periodo estivo mentre quelli “veloci” sono propri delle stagioni invernale e primaverile.

Föhn, storia di un vento particolare [VIDEO]

 

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Gelicidio: di cosa si tratta e perché è pericoloso [VIDEO] https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/meteo-spiegato-bene/gelicidio-di-cosa-si-tratta-e-perche-e-pericoloso/ Thu, 23 Dec 2021 06:23:56 +0000 https://www.iconameteo.it/?p=43060 gelicidioIl gelicidio è un fenomeno che possiamo osservare nelle giornate più fredde e può rivelarsi davvero pericoloso. La spiegazione dei meteorologi nel video: Meteo spiegato bene: tutti gli approfondimenti

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Il gelicidio è un fenomeno che possiamo osservare nelle giornate più fredde e può rivelarsi davvero pericoloso. La spiegazione dei meteorologi nel video:

Meteo spiegato bene: tutti gli approfondimenti

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AUTUNNO 2021, caduto il DOPPIO della PIOGGIA in Sicilia e Sardegna https://www.iconameteo.it/news/notizie-italia/autunno-2021-caduto-il-doppio-della-pioggia-in-sicilia-e-sardegna/ Mon, 20 Dec 2021 07:40:50 +0000 https://www.iconameteo.it/primo-piano/autunno-2021-caduto-il-doppio-della-pioggia-in-sicilia-e-sardegna/ Con un novembre molto piovoso e mite, per l’Italia si chiude l’ottavo autunno più caldo della serie storica. Il mese è stato segnato da diverse fasi perturbate, soprattutto sulle Isole dove è caduto più del doppio della pioggia normale. Novembre segnato da clima mite e maltempo Il mese di novembre è stato in generale mite …

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Con un novembre molto piovoso e mite, per l’Italia si chiude l’ottavo autunno più caldo della serie storica. Il mese è stato segnato da diverse fasi perturbate, soprattutto sulle Isole dove è caduto più del doppio della pioggia normale.

Novembre segnato da clima mite e maltempo

Il mese di novembre è stato in generale mite e piovoso. Fra le numerose perturbazioni che hanno transitato sulle nostre regioni, in tutto 10 sistemi nuvolosi, alcune hanno insistito per parecchi giorni, dando origine a fasi prolungate di maltempo. In particolare due di esse, associate a vortici depressionari quasi stazionari sul Mediterraneo occidentale, sono state costrette a rimanere a ridosso dell’Italia per periodi rispettivamente di una settimana e dieci giorni a causa della presenza di strutture anticicloniche di blocco sull’Atlantico e sull’Europa orientale.

Questo tipo di circolazione ha caratterizzato mediamente non solo il mese di novembre, ma a grandi linee anche l’intera stagione autunnale; la predisposizione all’isolamento delle strutture cicloniche sul Mediterraneo occidentale ha favorito frequenti risalite di aria relativamente mite dalle basse latitudini verso le nostre regioni dove, in effetti, hanno prevalso nettamente le anomalie termiche positive. Solo alla fine del mese, in seguito alla prima irruzione di aria artica della stagione, le temperature sono scese sensibilmente sotto la media favorendo le prime gelate a bassa quota al Nord e in Toscana; nell’ultimo giorno del mese, inoltre, è stata osservata a Messina una temperature minima pari a 5.4°C, molto vicina al record assoluto della città e sicuramente la più bassa dalla fine degli anni ’70 del secolo scorso.

A livello nazionale emerge un’anomalia di +1.4°C che rappresenta l’ottavo valore più elevato della serie storica, grazie al notevole contributo del Sud (+2.1°C), del Centro (+1.7°C), del Nord-Est (+1.5°C) e, in maniera meno marcata, anche della Sicilia (+1°C) e del Nord-Ovest (+0.9°C). Solo in Sardegna, dove le temperature sono rimaste mediamente più contenute, lo scarto mensile è stato lievemente inferiore alla media.

Nell’ambito delle numerose giornate miti, spicca sicuramente il giorno 7, non tanto per il dato complessivo a livello nazionale, che resta più contenuto rispetto ad altre giornate, quanto per i valori estremamente miti che sono stati raggiunti in alcune zone del Centro-Sud dove sono stati toccati picchi da fine estate, come i 28°C di Reggio Calabria, i 27°C di Napoli e i 26.1°C di Roma (aeroporto di Ciampino) che per la Capitale rappresentano il nuovo record di temperatura massima di novembre.

La stagione autunnale si chiude con uno scarto di +0.8°C determinato da un settembre e un novembre piuttosto miti, intervallati da un ottobre al di sotto della media. Anche per l’autunno si tratta dell’ottavo valore fra i più elevati, mentre l’anomalia dall’inizio dell’anno, pari a 0.7°C, nonostante una lieve risalita rispetto al mese scorso, si pone solo al 11° posto fra le più elevate.

Pioggia protagonista a Novembre: caduto il 45% della pioggia in più a livello nazionale

Per quel che riguarda le piogge, come accennato all’inizio, a novembre si è avuto un esubero rispetto alla media del trentennio 1981-2010, più esattamente il 45% in più: fra i mesi di novembre più piovosi, quello del 2021 occupa la decima posizione nella serie storica.

La maggior parte del territorio ha sperimentato precipitazioni più abbondanti della norma, eccetto alcuni settori dell’Adriatico settentrionale, della Liguria, della Toscana, della Puglia e della Calabria. I valori più rilevanti sono stati osservati sulle isole maggiori (+168% in Sardegna e +115% in Sicilia) che sono rimaste esposte maggiormente alle ostinate perturbazioni bloccate sul Mediterraneo occidentale.

Notevoli gli episodi a metà mese con nubifragi, allagamenti e frane su entrambe le Isole, una vittima del maltempo in Sardegna e numerose (almeno 10) trombe d’aria o trombe marine in Sicilia. Un altro episodio rilevante si è verificato a fine mese in seguito all’irruzione di aria artica che ha improvvisamente generato condizioni di instabilità al Nord con conseguente sviluppo di una linea temporalesca che ha imbiancato il suolo con neve oltre i 500-600 metri e con graupel o gragnola a quote più basse.

Decisamente elevato anche il numero dei giorni piovosi, specialmente al Centro-Sud dove ha piovuto mediamente un giorno su due, ma con punte fino a 20 o 21 giorni in diverse zone. Al Sud e in Sardegna sono stati osservati accumuli mensili record dalla fine degli anni ’70 del secolo scorso, come ad esempio i 168.4 mm (più del triplo rispetto alla media) ad Amendola (FG), i 246.4 mm (più del quadruplo rispetto alla media) a Cagliari e i 267.5 mm (sette volte il valore medio) a Capo Bellavista.

Nonostante le piogge in eccesso di novembre, è emerso un dato complessivo della stagione autunnale molto vicino alla media (+3%) a causa delle scarse precipitazioni di settembre e quelle di ottobre al Centro-Nord.
Sicilia e Sardegna spiccano anche nelle elaborazioni stagionali con circa il doppio delle precipitazioni medie; inoltre, sulle Isole sono stati osservati alcuni valori record per l’intero autunno come ad esempio i 606.4 mm a Catania (un terzo in più rispetto alla media annuale), i 394.1 mm a Capo Carbonara (due terzi in più rispetto alla media annuale) e i 345.8 mm a Capo Carbonara (poco meno del valore medio annuale).

Chiaramente il dato di novembre ha ridotto il deficit da inizio anno portandolo a -4% a livello nazionale. Andando un po’ più nel dettaglio, da gennaio si osserva una carenza di precipitazioni al Centro-Nord, specie al Centro (-19%) e al Nord-Est (-17%), mentre sulle regioni meridionali prevalgono gli esuberi, specie sulle Isole (+52% in Sicilia e +34% in Sardegna).

Novembre è stato il quarto più caldo a livello globale

A livello globale, secondo le elaborazioni della NOAA, il mese di novembre si è classificato 4° fra i più caldi, con +0.91°C di scarto sopra la media del XX secolo, dopo quelli del 2015, del 2020 e del 2019, mentre sale al 2° posto se si considera il dato che emerge dall’emisfero settentrionale. Fra le anomalie più significative spiccano quelle dell’Africa e della Nuova Zelanda che hanno avuto il novembre più caldo delle rispettive serie storiche, l’Oceania che, invece, ha sperimentato il novembre più freddo dal 1999 e l’Australia che ha avuto il più piovoso mese di novembre della serie. Un ulteriore dato di spicco è la percentuale di superficie terrestre interessata da caldo record che ammonta a 10.4% e che supera ogni altro mese di novembre della serie secolare.

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Tornado devastanti negli Usa: c’entra il cambiamento climatico?

Tra le brughiere lombarde, alla scoperta di un piccolo gioiello di biodiversità da salvare

© Icona Meteo - Il presente contenuto è riproducibile solo in parte, non integralmente, inserendo la citazione della fonte (Icona Meteo) e il link al contenuto originale (AUTUNNO 2021, caduto il DOPPIO della PIOGGIA in Sicilia e Sardegna)

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Tornado devastanti negli Usa: c’entra il cambiamento climatico? https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/tornado-devastanti-negli-usa-centra-il-cambiamento-climatico/ Fri, 17 Dec 2021 14:15:32 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/tornado-devastanti-negli-usa-centra-il-cambiamento-climatico/ Le immagini della devastazione prodotta recentemente da una serie di forti tornado (in Italia chiamati anche “trombe d’aria”) negli Stati Uniti d’America hanno fatto il giro del mondo e suscitato una notevole impressione. Oltre a smisurati danni materiali ed economici l’evento osservato nei giorni 10 e 11 dicembre ha provocato la morte di circa un …

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Le immagini della devastazione prodotta recentemente da una serie di forti tornado (in Italia chiamati anche “trombe d’aria”) negli Stati Uniti d’America hanno fatto il giro del mondo e suscitato una notevole impressione. Oltre a smisurati danni materiali ed economici l’evento osservato nei giorni 10 e 11 dicembre ha provocato la morte di circa un centinaio di persone.

Molti fra noi senz’altro si sono chiesti se possa esserci un collegamento tra il cambiamento climatico associato al riscaldamento globale e situazioni come quella descritta. Per tentare di dare una risposta razionale servono alcune premesse e qualche dato. Gli Stati Uniti sono la nazione del mondo dove si osservano (in media oltre 1000 all’anno), un record certamente non gradito dovuto alla particolare conformazione del territorio che favorisce l’incontro delle masse d’aria calde e umide provenienti dal Golfo del Messico con le correnti perturbate occidentali delle medie latitudini. La stragrande maggioranza dei tornado più forti e più distruttivi (quelli classificati EF2 o superiori, in una scala che va da 0 a 5, la cosiddetta Enhanced Fujita scale) sono associati a una particolare struttura temporalesca detta “supercella”, un tipo di cella convettiva particolarmente intensa che si distingue per la sua longevità e per la presenza di un colonna d’aria ascendente (updraft) in rotazione.

Questi “supertemporali”, non diversamente dai temporali ordinari, si sviluppano assai più frequentemente in primavera e d’estate: i tornado del 10-11 dicembre sotto questo aspetto appaiono quindi ancora più sorprendenti. Oltre agli ingredienti necessari perché si verifichi un temporale “ordinario” (instabilità, umidità, innesco, esaminati in questo articolo perché si sviluppi una supercella deve essere soddisfatta un’importante condizione riguardante il cosiddetto “shear verticale dei venti”: detto in parole semplici il vento sulla verticale deve crescere di intensità (dell’ordine di almeno 15-20 m/s nei primi 6 km) e magari cambiare direzione. Con riferimento ai tornado è stata osservata anche l’importanza di un significativo shear verticale nel primo kilometro dell’atmosfera.

La complessa struttura di una supercella, caratterizzata da un mesociclone rotante (frecce rosse). Il tornado spesso nasce nei pressi di una regione denominata “rear front downdraft”. Fonte: https://en.wikipedia.org/wiki/Rear_flank_downdraft#/media/File:Tornadic_supercell.jpg

Questa breve premessa, ben lungi dall’essere esaustiva, si è resa necessaria per intuire i motivi per cui ancora oggi risulta difficile individuare, a differenza di altri eventi estremi quali le ondate di caldo o le precipitazioni alluvionali, una tendenza probabile per eventi di questo tipo. Si tratta infatti di fenomeni che richiedono ingredienti particolari che devono essere tutti presenti almeno in qualche misura.

Sappiamo per esempio che in molte aree del molto le precipitazioni più intense diverranno probabilmente più frequenti, a discapito di quelle deboli o moderate, ma, come appena ricordato, perché nascano supercelle (e potenzialmente i tornado) deve esservi al contempo anche una sufficiente variazione verticale dell’intensità del vento. Una complicazione, ad esempio, potrebbe nascere dall’osservazione che il pianeta si scalda in modo diseguale (pensate al fenomeno dell’Amplificazione Artica, ne abbiamo scritto qui: in questa situazione, per precisi motivi fisici, durante l’estate lo shear verticale tenderà in media a diminuire. Più in generale, un problema con cui si confrontano i climatologi è che i modelli climatici per motivi di economia di calcolo sono costretti a lavorare con una risoluzione (dettaglio spaziale) relativamente bassa, mentre i fenomeni convettivi si manifestano sulla piccola scala e sono simulati in modo approssimativo.

Il distruttivo tornado di Dolo e Mira del Luglio 2015. La pianura veneta è una delle aree del nostro Paese più soggette ai tornado. Fonte: https://www.meteoreporter24.it/2020/8-luglio-2015-il-tornado-del-brenta-case-rase-al-suolo-venti-oltre-i-300-km-h/

A conferma di queste osservazioni, se si esegue una ricerca del termine “tornado”nella sintesi dell’ultimo rapporto dell’IPCC (AR6, Sixth Assessment Report) scopriremo che non ve ne è traccia, mentre leggeremo la seguente frase assai prudente:“Esiste una bassa “confidence” per la maggior parte delle regioni di potenziali cambiamenti futuri di fenomeni quali grandine, tempeste di ghiaccio, temporali violenti …”. Per quanto riguarda in particolare gli Stati Uniti le osservazioni indicano un maggior numero di tornado registrati a partire dal 1950, ma questo, secondo gli esperti della NOAA, (National Oceanic and Atmospheric Administration) “è un risultato legato soprattutto alla disponibilità di una migliore tecnologia, quale il radar Doppler”. Un articolo pubblicato su “Nature” nel 2018 mostra che, con riferimento agli Stati Uniti, “la frequenza annuale delle segnalazioni nazionali di tornado è rimasta relativamente costante …”, ma gli stessi autori osservano che le tendenze dal 1979 hanno segno diverso per diverse aree della nazione. Sempre su “Nature”, in un lavoro pubblicato nel 2016 gli autori suggeriscono che nel periodo compreso fra il 1954 ed il 2014 sia aumentato il numero medio di tornado associato ad un singolo “outbreak tornadico” (vale a dire numerosi tornado nello stesso tempo), una considerazione che potrebbe essere stata confermata dagli eventi del 10 dicembre scorso.

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Nebbia, cos’è e come si forma [VIDEO] https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/meteo-spiegato-bene/nebbia-cose-e-come-si-forma-video/ Thu, 16 Dec 2021 11:50:48 +0000 https://www.iconameteo.it/?p=43078 nebbiaLa nebbia è come una nube che si forma a contatto con il suolo: il video ci mostra come si genera.

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La nebbia è come una nube che si forma a contatto con il suolo: il video ci mostra come si genera.

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Perché non sfruttiamo l’energia dei FULMINI? https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/perche-non-sfruttiamo-lenergia-dei-fulmini/ Fri, 24 Sep 2021 07:17:20 +0000 https://www.iconameteo.it/primo-piano/perche-non-sfruttiamo-lenergia-dei-fulmini/ Dopo la tromba d’aria, il temporale è senza dubbio il fenomeno meteorologico più violento sulla nostra penisola. In ogni istante sul nostro pianeta sono simultaneamente in atto 2000-3000 temporali e il loro numero, in un anno, è di 16 milioni circa. Facendo qualche conto si scopre che in atmosfera si verificano circa 100 fulmini al …

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Dopo la tromba d’aria, il temporale è senza dubbio il fenomeno meteorologico più violento sulla nostra penisola. In ogni istante sul nostro pianeta sono simultaneamente in atto 2000-3000 temporali e il loro numero, in un anno, è di 16 milioni circa. Facendo qualche conto si scopre che in atmosfera si verificano circa 100 fulmini al secondo, ma di questi solo pochi raggiungono direttamente il suolo. Si stima così che ogni 3 secondi un fulmine si abbatte su qualche punto della superficie terrestre.

Clima e transizione energetica, +8 milioni di posti di lavoro entro il 2050

Un fulmine è molto potente, quando si scarica al suolo, può causare danni ingenti. Ce lo ricorda, ogni volta, il fragore assordante del tuono. La potenza media di un fulmine può raggiungere i 10 GW (ossia 10 miliardi di Watt). Si tratta di un valore enorme, superiore, a titolo di esempio, a quello di una moderna centrale nucleare la cui potenza varia tra 0,6 e 1,6 GW.

Nella mappa tutti i fulmini caduti in Italia dal 1º Maggio al 31 Agosto 2021. Fonte Meteonetwork

In piena crisi climatica, in un mondo alla ricerca di energie alternative, pulite e rinnovabili, è lecito chiedersi: i fulmini possono rappresentare una soluzione alla sostenibilità energetica?

La risposta purtroppo è no. Il problema è la durata del fulmine stesso, in media appena 20-30 milionesimi di secondo. Per questo motivo, nonostante la sua gigantesca potenza, un fulmine sarebbe in realtà in grado di generare una quantità di energia appena sufficiente a mantenere accesa una lampadina da 100 watt per un paio di giorni. Quindi di per sé catturare un singolo fulmine servirebbe davvero a poco. Inoltre, bisognerebbe trovare un modo per immagazzinare questa energia elettrica, perché non sarebbe possibile introdurla direttamente nella rete di distribuzione.

In Italia, ogni anno, cadono in media circa 1,2 milioni di fulmini. Nella migliore delle ipotesi, quella in cui fossimo in grado di catturare tutti i fulmini prodotti sul nostro territorio, l’energia complessiva sarebbe stimata attorno ai 600-700 GWh (Gigawattora). Ma si tratterebbe solo dello 0.2 per cento del consumo attuale di elettricità nel nostro paese. Il contributo dei fulmini al bilancio energetico nazionale sarebbe ancora più basso in uno scenario più realistico, in cui solo una piccola parte di essi verrebbe effettivamente catturata.
Insomma non ci resta che puntare sulle attuali fonti rinnovabili solo in parte sfruttate, su una migliore efficienza energetica e sulla riduzione dei nostri consumi.

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Accelerazione di Coriolis: la forza “misteriosa” che plasma la dinamica dell’atmosfera https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/accelerazione-di-coriolis-la-forza-misteriosa-che-plasma-la-dinamica-dellatmosfera/ Sun, 12 Sep 2021 07:05:47 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/accelerazione-di-coriolis-la-forza-misteriosa-che-plasma-la-dinamica-dellatmosfera/ Una delle prime difficoltà in cui si imbatte lo studente che si affaccia alla meteorologia è costituita dall’incontro con l’accelerazione di Coriolis (dal nome del matematico francese che la descrisse nell’Ottocento). Ben presto, di solito entro la prima decina di pagine del manuale, lo studente scopre che i moti dell’atmosfera, in particolare alle medie e …

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Una delle prime difficoltà in cui si imbatte lo studente che si affaccia alla meteorologia è costituita dall’incontro con l’accelerazione di Coriolis (dal nome del matematico francese che la descrisse nell’Ottocento).

Ben presto, di solito entro la prima decina di pagine del manuale, lo studente scopre che i moti dell’atmosfera, in particolare alle medie e alte latitudini, sono fortemente condizionati dalla rotazione terrestre; approfondendo la materia la meraviglia aumenta perché si impara che la meteorologia delle medie latitudini è legata a una continua ricerca dell’equilibrio: una sorta di balletto, tra le forze dovute ai dislivelli (gradienti) di pressione e l’accelerazione che deriva dalla rotazione del pianeta. La accelerazione di Coriolis è dovuta proprio alla rotazione terrestre.

Forse questa forza ci appare elusiva perché nessuno di noi ha con essa alcuna familiarità: nelle condizioni normali della vita, ha un’intensità trascurabile rispetto alle altre forze con cui abbiamo comunemente a che fare, come ad esempio quella di gravità; inoltre, a differenza dell’accelerazione centrifuga (sua parente stretta), l’accelerazione di Coriolis sembra opporre una resistenza maggiore ad una descrizione intuitiva.

L’esperimento elementare per familiarizzare con l’accelerazione di Coriolis proposto dall’ufficio meteorologico britannico (Metoffice)

Concentriamoci sull’accelerazione di Coriolis e immaginiamo, per semplicità, di osservare un oggetto in moto senza attrito con velocità v sopra a un disco in rotazione antioraria con velocità angolare ω. Il calcolo ci dimostra che nel sistema di riferimento solidale con il disco l’oggetto subisce un’accelerazione verso destra di intensità pari a 2ωv (due omega moltiplicata per la velocità dell’oggetto). Torneremo più avanti (in particolare nel box di approfondimento) sul significato di questa formula. Per il momento, aiutandoci con la figura 1 e con il relativo video proposto dal Metoffice, proviamo a descrivere in modo qualitativo cosa succede. L’oggetto, nel sistema di riferimento “esterno”, non solidale con il disco rotante, si muove lungo una retta (nel video si tratta della punta del pennarello che si sposta lungo il righello); ma nel sistema di riferimento rotante, sul disco, la traiettoria descritta dal suo movimento è giocoforza una curva, e se ci pensiamo bene, si tratta di una curva tanto più stretta quanto più veloce è la rotazione del disco. Se avete compreso questo esperimento (che può essere eseguito anche a livello mentale) avete compreso l’essenza dell’accelerazione di Coriolis. A ben guardare sembra che non sia intervenuta l’azione di alcuna forza , perché la deviazione del moto dell’oggetto è solo l’effetto del diverso sistema di riferimento con cui descriviamo il medesimo moto, ed è per questo motivo che quella di Coriolis viene talora definita una “forza apparente”. Un aggettivo per certi versi fuorviante per noi che passiamo un ‘intera esistenza sopra una sfera rotante osservando ogni giorno l’evoluzione meteorologica che ne è così fortemente influenzata.

Una spiegazione dell’origine del termine 2ωv

Nella ricerca di una deduzione di carattere euristico dell’accelerazione di Coriolis si finisce di solito per incontrare un esempio basato su un disco rotante con velocità angolare ω, come quello che abbiamo appena incontrato (il disco semplifica la matematica rispetto alla sfera, ma il concetto non cambia). In questo esercizio (con riferimento alla figura a fianco) c’è un punto P in movimento con velocità relativa Vr dalla periferia del cerchio, di raggio r, verso il centro; il disco ruota in senso antiorario (il senso della rotazione terreste se immaginiamo di guardare la Terra da un punto fisso sopra il Polo Nord). Notiamo che il punto P a distanza r dal centro possiede anche una velocità tangenziale periferica pari a ωr, dovuta alla rotazione del disco. Spostandosi verso il centro del disco lungo la traiettoria OP il punto devierà a destra della stessa poiché i punti più interni del disco hanno una velocità tangenziale minore.

E’ facile verificare che dopo un intervallo di tempo Δt e un percorso Δr  il punto avrà una velocità pari a ω(r+Δr), cioè ω(r+VrΔt), maggiore di ωVrΔt. Dividendo per Δt (l’accelerazione è il rapporto tra la variazione di velocità e il corrispondente intervallo di tempo) si ottiene ωVr, che rappresenta però solo metà dell’accelerazione di Coriolis. In effetti questa era la parte più semplice e intuitiva della spiegazione, che si incontra più spesso, ma che descrive solo metà dell’effetto. Per “recuperare” l’altra metà dell’accelerazione occorre ricordarsi che Vr è un vettore: man mano che il disco ruota “sotto” di esso la freccia che lo rappresenta nel sistema di riferimento del cerchio appare indicare una direzione sempre più a destra rispetto al segmento PO. Nell’intervallo di tempo Δt tale vettore descriverà un angolo Δθ= ωΔt. Pertanto la freccia del vettore velocità si sarà spostata di una quantità VrωΔt, corrispondente all’accelerazione mancante ωVr. La somma delle due accelerazioni fornisce il risultato corretto 2ωVr.

Esempi e curiosità legati all’accelerazione di Coriolis in ambito non atmosferico

Nella vita di tutti i giorni non è facile accorgersi degli effetti della rotazione terrestre (sarà vero o no che il moto dell’acqua che scende nello scarico del lavandino ne è influenzato?) ed è per questo che sono stati necessari esperimenti relativamente sofisticati per poterli misurare.

L’esperimento forse più famoso è stato eseguito dallo scienziato francese Foucault nel 1851 con il suo pendolo: una palla di cannone appesa a un cavo di ben 67 m, fissato alla cupola del Pantheon di Parigi. Il piano di oscillazione del pendolo ruota in senso orario con un periodo di circa 30 ore proprio a causa dell’accelerazione di Coriolis che, impercettibilmente, devia la palla verso destra durante ogni movimento oscillatorio. Notiamo che se il pendolo si fosse trovato esattamente sopra il Polo Nord, il periodo, concordemente all’intuizione, sarebbe stato pari a quello delle rotazione terrestre, di circa 24 ore.

Alla latitudine di Parigi la forza di Coriolis è invece meno intensa: poiché la Terra è approssimativamente sferica (e non un disco) alla quantità ω bisogna sostituire il prodotto di ω per il seno della latitudine, ovvero la componente del vettore velocità angolare sulla verticale locale, massima al polo, nulla all’equatore. Se invece l’esperimento fosse stato condotto nell’emisfero australe, dove l’accelerazione di Coriolis devia i corpi verso sinistra, la rotazione del piano di oscillazione sarebbe avvenuta in senso opposto.

Il pendolo di Foucault al Pantheon di Parigi (fonte https://www.amusingplanet.com/2018/10/foucault-pendulum-and-pantheon.html )

In generale, un corpo posto in assenza di attrito su un sistema rotante, animato di velocità relativa Vr e in assenza dell’azione di altre forze a causa dell’effetto Coriolis, viene forzato a eseguire un moto circolare definito “cerchio di inerzia” con raggio pari a  Vr/2ω e periodo T pari a π/ω dove ancora una volta omega rappresenta la velocità di rotazione del sistema (per convincersene, conoscendo un po’ di matematica, una dimostrazione la si torva nell’introduzione di questo articolo).

In altre parole, come suggerisce il termine “inerzia”, l’accelerazione di Coriolis ha un effetto simile all’azione di una molla che tende a riportare l’oggetto al punto di partenza. Un aspetto interessante è che questi cerchi di inerzia sono stati descritti nel mondo reale, osservando il movimento di alcune boe alla deriva sul mare.

Un esempio a scala più piccola dell’effetto Coriolis è fornito dall’esperimento conosciuto come le colonne di Taylor, dal nome del fisico che lo ideò. La prova può essere riprodotta anche fra le mura domestiche. Per svolgerlo si versa dell’acqua in un recipiente che viene mantenuto in uno stato di rotazione abbastanza veloce (ponendolo ad esempio sopra un vecchio giradischi). In queste condizioni, dopo un minimo tempo di assestamento, la superficie dell’acqua assume una forma concava e in ogni punto del fluido si stabilisce un equilibrio tra la forza centrifuga, che tende a spingere il fluido verso l’esterno, e la forza di pressione associata alla gravità che invece attira il fluido verso il centro. E’ possibile dimostrare sia teoricamente che sperimentalmente che in questa situazione, in contrasto con il senso comune, il fluido tende a comportarsi più rigidamente.

Se vengono versate nell’acqua delle gocce di inchiostro si può verificare che l’inchiostro si disperde prevalentemente in senso verticale producendo appunto delle “colonne”. La diluizione nella direzione orizzontale è ostacolata dall’effetto di Coriolis: se la rotazione del recipiente è abbastanza veloce, infatti, una particella di inchiostro che inizia a muoversi in direzione orizzontale è sottoposta alla sua forza e inizia a percorrere cerchi di inerzia di raggio molto piccolo: la particella di acqua con l’inchiostro tende quindi a ritornare al punto di partenza.

Le colonne di Taylor in un esperimento di laboratorio. Fonte https://www.youtube.com/watch?v=7NI5snKZaXE

Il ruolo dell’accelerazione di Coriolis nella dinamica dell’atmosfera

L’accelerazione di Coriolis influenza profondamente i moti dell’atmosfera sulla scala planetaria e sinottica, cioè alle scale maggiori. Descrivere l’influsso di questa forza, che compare nelle equazioni fondamentali del moto, equivarrebbe quindi a scrivere un trattato di meteorologia. Ci limitiamo pertanto a ricordare che sulla scala sinottica (dove i moti si estendono per lunghezze dell’ordine di 1000 km con velocità dell’ordine di grandezza di 10 m/s) l’accelerazione di Coriolis è comparabile, per intensità, a quella dovuta ai gradienti di pressione.

Il vento geostrofico, un vento definito matematicamente eguagliando la forza di Coriolis con la forza di gradiente, approssima infatti i moti sulla scala sinottica con errore entro il 10%. La parte di vento che non è in equilibrio geostrofico (detta vento ageostrofico) è legata ai moti verticali, alle accelerazioni e, in definitiva, è ciò che rende interessante la meteorologia.

Un esempio classico di meteorologia sinottica: la dinamica in prossimità di una corrente a getto (PGF sta per Pressure Gradient Force). A sinistra il flusso in entrata deve accelerare e la forza di Coriolis non è in equilibrio con la forza di gradiente; il vento ageostrofico che nasce fornisce l’accelerazione necessaria tramite l’effetto Coriolis. A sinistra la situazione in uscita dal centro del getto. Da: https://learningweather.psu.edu/node/101

Nella cornice interpretativa in cui è definito il vento geostrofico il flusso evolve nel tempo proprio grazie alla componente ageostrofica diretta perpendicolarmente al vento geostrofico, accelerandolo grazie alla forza di Coriolis. Per pesare l’influsso di questa forza i fisici dell’atmosfera utilizzano una grandezza adimensionale chiamata numero di Rossby, definita dal rapporto fra l’accelerazione del fluido e l’accelerazione di Coriolis:  U/fL, dove U e L sono rispettivamente la velocità e la lunghezza tipica del fenomeno che stiamo descrivendo, mentre f=2ωsin(φ) essendo φ la latitudine. Il moti dove l’accelerazione di Coriolis è importante, come quelli sinottici, sono caratterizzati da un numero di Rossby molto minore di 1, mentre grandi numeri di Rossby denotano un flusso dove l’effetto della rotazione terrestre è trascurabile. Sapendo che f alle nostre latitudini è pari a circa a 1/10000 lasciamo volentieri al lettore l’esercizio di stabilire se il moto dell’acqua che scorre nei nostri lavandini è influenzato, come suggerisce una leggenda, dalla rotazione del pianeta.

Per un approfondimento e per altre curiosità sull’effetto Coriolis si consiglia la lettura di “L’effetto Coriolis – un conflitto tra senso comune e matematica” un articolo di Anders Persson (meteorologo svedese recentemente scomparso), pubblicato su Nimbus (numero 37-38) e scaricabile a questo indirizzo.
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COMO, forte MALTEMPO: nubifragi ed esondazioni. L’analisi del meteorologo https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/como-forte-maltempo-nubifragi-ed-esondazioni-lanalisi-del-meteorologo/ Wed, 28 Jul 2021 09:25:42 +0000 https://www.iconameteo.it/?p=65453 maltempo ComoA Como si è abbattuto un intenso maltempo nella mattinata di ieri, che ha causato frane, inondazioni e smottamenti. I violenti nubifragi si sono verificati lungo il versante occidentale del Lago di Como, con danni ingenti in diversi comuni. Tra i più colpiti c’è Cernobbio, dove è esondato il Breggia e sono stati evacuati due …

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A Como si è abbattuto un intenso maltempo nella mattinata di ieri, che ha causato frane, inondazioni e smottamenti. I violenti nubifragi si sono verificati lungo il versante occidentale del Lago di Como, con danni ingenti in diversi comuni. Tra i più colpiti c’è Cernobbio, dove è esondato il Breggia e sono stati evacuati due condomini.

Per le prossime ore è ancora allerta meteo in Lombardia: il bollettino

Maltempo nel Comasco, case invase dal fango e strade interrotte: si va verso la richiesta dello stato di emergenza

Il maltempo verificatosi ieri nel Comasco ha colpito con una violenza estrema e improvvisa, dando vita a momenti drammatici. La situazione più grave si è verificata a Cernobbio a causa dell’esondazione del Breggia. La furia di acqua e fango ha invaso le strade, causando frane e smottamenti. Il fango ha invaso anche le abitazioni e ha trascinato con sé le automobili.

https://twitter.com/andreagalbiati/status/1419968635813208092

https://twitter.com/Terra_Pianeta/status/1419979399789781004

Ieri molti Paesi sono rimasti isolati a causa delle strade interrotte, compresi diversi tratti della statale Regina. Il maltempo ha interessato in maniera importante anche il comune di Brienno, dove una frana ha causato una fuga di gas lungo la Statale 340 in direzione di Argegno: 50 persone sono rimaste bloccate all’interno delle proprie abitazioni. Sempre a Brienno una signora anziana è rimasta bloccata in casa ed in seguito soccorsa e portata al sicuro dai Vigili del Fuoco.

Maltempo e nubifragi intensi a Como e dintorni, ecco come e perché si sono sviluppati: l’analisi del meteorologo

“A grande scala – spiega il meteorologo Lorenzo Danieli -, la situazione entro la quale si sono sviluppati i nubifragi delle ultime ore è stata caratterizzata da correnti in quota sud occidentali e correnti mediamente meridionali nei livelli medio bassi della troposfera. I venti meridionali nei bassi strati riforniscono le celle temporalesche di umidità e di aria calda e instabile proveniente dalla Valla Padana”.

Temporali e previsioni meteo: istruzioni per l’uso

“In questa particolare situazione – prosegue – la regione alpina e quella prealpina si sono per di più trovate nei pressi della corrente a getto subtropicale, a metà strada tra l’aria temperata presente a nord delle Alpi e la massa d’aria africana che insiste sul Mediterraneo centrale. Le aree di accelerazione e decelerazione della corrente a getto possono favorire la divergenza dei venti in quota e la nascita di venti verticali alle quote più basse, condizione necessaria per l’innesco dell’attività convettiva”.

Figura: immagine radar delle ore 6.40 del 27 luglio 2021 che mostra una intensa linea temporalesca in azione sul nordovest della Lombardia e sul vicino Canton Ticino (a Caldrerio (CH), vicino a Mendrisio, si sono misurati ben 139 mm di pioggia in un solo giorno). Fonte: http://www.centrometeolombardo.com/radar/

“Un’altra peculiarità della situazione appena osservata, è stata la stazionarietà di questo tipo di circolazione, che ha iniziato a manifestarsi sull’area alpina già nella giornata di sabato e sta proseguendo fino a questa prima parte di mercoledì. La stazionarietà rende più probabile il ripetersi di eventi piovosi sulle stesse zone – sottolinea l’esperto -, e probabilmente ha favorito l’afflusso di una grande quantità di aria calda e umida anche di origine mediterranea”.

MALTEMPO, a Gallarate vola il tetto di una palazzina. GRANDINE intensa a Lecco [VIDEO]

«Le precipitazioni eccezionali innescate anche dall’orografia di Alpi e Prealpi»

“Scendendo ad una scala spaziale inferiore – spiega Lorenzo Danieli -, all’innesco delle precipitazioni eccezionali ha certamente contribuito l’orografia: le Alpi e in questo caso anche le Prealpi, hanno senza dubbio favorito localmente la convergenza delle correnti ed il sollevamento delle masse d’aria fino al livello necessario per sostenere i moti convettivi. I temporali, quindi, hanno continuato a svilupparsi di preferenza in prossimità della fascia montuosa, innescandosi a volte nella stessa zona a causa della stazionarietà del flusso, di cui abbiamo detto”.

Andando più nel dettaglio, prosegue il meteorologo, “l’esperienza insegna che con correnti sudoccidentali in quota molto forti, o aventi una componente molto meridionale, le precipitazioni intense tendono a generarsi soprattutto nel settore alpino, lasciando a volte quasi all’asciutto le aree prealpine e ancora di più la vicina pianura; in questo caso evidentemente il “giusto” mix tra correnti non toppo intense e non troppo meridionali e di favorevoli condizioni al contorno (umidità e instabilità) hanno determinato l’accanimento delle piogge proprio sulle Prealpi“.

Il cambiamento climatico ci ha messo lo zampino anche in questo caso?

L’estate 2021, a livello mondiale, è stata finora caratterizzata da numerosi fenomeni meteorologi estremi: le alluvioni in Germania, Belgio, Paesi Bassi e Austria, ondate di calore soffocanti tra Canada e Stati Uniti, il caldo estremo sulle nostre regioni meridionali. 

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Alluvione in Germania. L’analisi dell’evento meteo estremo

Nel caso del forte maltempo abbattutosi sulla zona di Como, il meteorologo afferma che “non basta un singolo evento meteorologico per poter fare affermazioni di carattere climatico, ma nemmeno tacere sul fatto che le cronache di quest’estate assomigliano davvero tanto al film (che non avremmo voluto vedere così presto) sugli effetti meteorologici di un’atmosfera sempre più calda“.

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ALLUVIONE in Germania. L’analisi dell’EVENTO METEO ESTREMO https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/alluvione-in-germania-lanalisi-dellevento-meteo-estremo/ Fri, 16 Jul 2021 14:27:31 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/alluvione-in-germania-lanalisi-dellevento-meteo-estremo/ Solitamente le perturbazioni in arrivo dall’Atlantico sfilano abbastanza  veloci verso est, a volte, è vero,  accompagnate da venti tempestosi o forti temporali, ma mai così devastanti. L’ultima grande alluvione che ha colpito l’Europa centrale si è verificata diciannove anni fa, sempre in piena estate tra il 10 e il 14 agosto del 2002; colpite furono …

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Solitamente le perturbazioni in arrivo dall’Atlantico sfilano abbastanza  veloci verso est, a volte, è vero,  accompagnate da venti tempestosi o forti temporali, ma mai così devastanti. L’ultima grande alluvione che ha colpito l’Europa centrale si è verificata diciannove anni fa, sempre in piena estate tra il 10 e il 14 agosto del 2002; colpite furono soprattutto Austria, Repubblica Ceca e ancora una volta la Germania.

Il maltempo è iniziato martedì 13 luglio ed è proseguito per tre giorni consecutivi fino a giovedì 15, nelle ultime ore di oggi, venerdì 16 luglio, la situazione sta migliorando: le piogge sono in fase di attenuazione risultano meno diffuse e intense. Da un punto di vista meteorologico la causa dell’insistenza del maltempo è da imputare ad una circolazione di bassa pressione che è rimasta stazionaria per più di 48 ore più o meno nella stessa posizionate tra Svizzera, Austria e Germania. Ha indugiato per così tanto tempo sull’Europa centrale perché bloccata sia ad est che ad ovest da due robusti anticicloni: il primo posizionato tra il vicino Atlantico, le Isole Britanniche e la Penisola Iberica e il secondo tra i Balcani e l’Europa orientale. Questa particolare situazione ha fatto piovere sulle medesime aree per ore e ore. Tra l’altro l’aria piuttosto fredda per la stagione che accompagnava il centro del vortice depressionario ha accentuato l’instabilità atmosferica, originando forti piogge convettive a tratti torrenziali e sotto forma di intensi nubifragi.

L’eccezionalità della situazione si è avvertita in parte anche qui da noi, in Italia, con le temperature che hanno subito un netto calo, portandosi in molte regioni ben al di sotto delle medie stagionali. Nelle ultime 24 ore l’area depressionaria ha iniziato a muoversi verso sud raggiungendo l’Italia centro-settentrionale dove si sta assistendo ad un aumento del rischio di temporali; nel fine settimana si sposterà verso il Sud Italia portando con se molta instabilità sulle regioni centro-meridionali dove saranno possibili temporali forti con rischio anche di grandine e intense raffiche di vento.

Il Ministro dell’ambiente tedesco, Svenja Schulze, ha additato come responsabile di questa catastrofe il surriscaldamento del pianeta, twittando “I cambiamenti climatici sono arrivati in Germania.

Gli eventi di questi ultimi anni, ma anche delle ultime settimane, mostrano la forza con cui il cambiamento climatico è in grado di influenzare tutti noi e quanto sia importante prepararsi ancora meglio ad affrontare eventi meteorologici così estremi. Noi esperti lo ripetiamo da tempo ormai: l’evento eccezionale sta diventando la normalità per il clima contemporaneo ed è urgente che la politica agisca in fretta.

I 50°C registrati qualche giorno fa a Vancouver in Canada ma anche i 34 °C a Capo Nord,  il fortissimo nubifragio di martedì scorso a Torino, l’alluvione dello scorso autunno in Piemonte, la tempesta che a fine 2018 ha buttato giù migliaia di alberi in Trentino Alto Adige, la grave siccità del 2017 sono solo alcuni dei sintomi della grave malattia di cui il pianeta è affetto e per cui, non dimentichiamocelo mai, non esiste un vaccino.

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Che tempo farà domenica? La gestione dell’incertezza nella previsione meteorologica https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/che-tempo-fara-domenica-la-gestione-dellincertezza-nella-previsione-meteorologica/ Wed, 30 Jun 2021 08:06:43 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/che-tempo-fara-domenica-la-gestione-dellincertezza-nella-previsione-meteorologica/ La previsione delle precipitazioni e della loro quantità, in particolare nel semestre caldo quando queste sono in gran parte di origine convettiva (ne abbiamo parlato in questo articolo: https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/temporali-e-previsioni-meteo-istruzioni-per-luso/) resta un compito molto impegnativo anche per i modelli fisico matematici più evoluti che “girano” sui calcolatori di ultima generazione. Se è vero, in generale, che …

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La previsione delle precipitazioni e della loro quantità, in particolare nel semestre caldo quando queste sono in gran parte di origine convettiva (ne abbiamo parlato in questo articolo: https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/temporali-e-previsioni-meteo-istruzioni-per-luso/) resta un compito molto impegnativo anche per i modelli fisico matematici più evoluti che “girano” sui calcolatori di ultima generazione. Se è vero, in generale, che prevedere un temporale può essere difficile anche a un’ora di distanza, è ancora più vero che una previsione meteorologica diventa tanto meno affidabile quanto più lontana nel tempo. Una previsione oltre 4-6 giorni, fatto salvo per situazioni particolari (ad esempio la presenza di vaste aree anticicloniche) è sempre da prendere con le pinze! Se un martedì al meteorologo viene richiesta una previsione per il weekend successivo può succedere che il malcapitato venga a trovarsi in serio imbarazzo. Osservate con attenzione le due figure che seguono:

Figura 1: Precipitazioni sull’Italia previste per il pomeriggio di domenica 4 luglio dal modello ECMWF (corsa inizializzata alle ore 12Z di lunedì 28 giugno). I colori azzurri sulle Alpi indicano quantitativi di pioggia compresi tra 0.5 e 10 mm cumulati in 6 ore. (da https://apps.ecmwf.int/webapps/opencharts/)
Figura 2: Precipitazioni sull’Italia previste per il pomeriggio di domenica 4 luglio dal modello ECMWF (corsa inizializzata alle ore 00Z di martedì 29 giugno). La tinta viola indica quantitativi di pioggia compresi tra 10 e 25 mm cumulati in 6 ore. (da https://apps.ecmwf.int/webapps/opencharts/)

Le due immagini raffigurano la quantità di pioggia prevista domenica 4 luglio nell’intervallo tra le ore 14 e le 20 locali dallo stesso modello (il modello europeo del centro ECMWF, European Centre for Medium range Weather Forecast): nella prima figura il modello è stato inizializzato (cioè aggiornato con tutte le osservazioni più recenti) alle ore 12Z del giorno 28 giugno, nella seconda l’inizializzazione è di 12 ore dopo. Attualmente il centro europeo ECMWF mette a disposizione l’output del modello più recente verso le 8 del mattino. Come avrete notato la previsione per il Nord Italia è radicalmente diversa nei due “run” dello stesso modello, pur essendo trascorse solo 12 ore tra le due successive inizializzazioni: siamo di fronte ad un esempio particolarmente illuminante del caos deterministico o, se preferite, dell’”effetto farfalla”, e per di più in una previsione a soli 5 giorni. Non si tratta di una situazione comune, ma neanche particolarmente rara; e non dobbiamo nemmeno pensare che siccome la seconda previsione è più recente (realizzata con dati più freschi) sia necessariamente molto più affidabile della prima. Quello che sicuramente questi dati ci stanno suggerendo è che siamo di fronte a una situazione di elevata incertezza e che è doveroso procedere con molta cautela.

Figura 3. Mappe del modello d’ensemble ECMWF relative a domenica 4 luglio, inizializzate alle 12Z del giorno 28 giugno. La linea fucsia è stata aggiunta per indicare l’asse di promontorio anticiclonico. (da https://apps.ecmwf.int/webapps/opencharts/)

I meteorologi sono abituati ad avere a che fare con l’incertezza, si può quasi affermare che essa sia l’essenza del loro mestiere. Per fortuna, grazie al progredire delle conoscenze e della capacità di calcolo, essi oggi hanno a disposizione strumenti che permettono loro di gestirla, almeno entro certi limiti. In una situazione come l’esempio che stiamo esaminando la prima cosa da fare è cercare di capire se quello che abbiamo di fronte (l’output “piovoso al Nord” delle ore 00Z) è un qualcosa da prendere seriamente in considerazione ovvero si tratta di una specie di “outlier”, una sorta di corsa “anomala” del modello. Intendiamoci: tutte le corse di un modello sono valide allo stesso modo, ma può capitare (pensate ancora all’effetto farfalla) che in una di esse alcune piccole perturbazioni presenti nel dato iniziale nel corso dei giorni si ingigantiscano eccessivamente andando a generare scenari che si rivelano poco realistici. I fisici dell’atmosfera, per questo motivo, hanno ideato la “tecnica dell’ensemble” che consiste nell’eseguire la stessa simulazione molte volte (di solito, per esigenze di calcolo, ad una risoluzione inferiore) partendo da dati iniziali resi leggermente e opportunamente diversi, un modo intelligente per tentare di imbrigliare il caos. Nella figura 3 vediamo ancora una volta un prodotto dell’ECMWF per mostrare l’utilità di questa tecnica: a destra è rappresentato il campo di geopotenziale a 500 hPa relativo alle ore 12Z del 4 luglio previsto dalla corsa “ufficiale” inizializzata alle ore 12Z di lunedì 28 giugno (ricordiamo che si tratta della corsa associata ad una domenica asciutta sulla valle padana), a sinistra la media dell’ensemble. Possiamo vedere facilmente che nella media ensemble il forte promontorio anticiclonico previsto sopra l’Italia appare decisamente ridimensionato. E’ un indizio interessante, che avevamo a disposizione 12 ore prima dell’uscita degli output della notte, che suggeriva che quest’ultimo non fosse lo scenario più probabile.

Figura 4. Un altro prodotto reperibile sul sito del centro europeo, derivato dall’ensemble: i “cluster scenarios”. Da https://apps.ecmwf.int/webapps/opencharts/

Il nuovo sito del centro europeo ECMWF è una vera miniera di dati e di elaborazioni utilissime. A puro titolo di esempio presentiamo un altro paio di mappe che si possono reperire liberamente, sempre con riferimento alla previsione a 5 giorni relativa domenica 4 luglio. Quello della figura 4 è anch’esso un prodotto derivato dai modelli che costituiscono l’ensemble e, va detto, non è di interpretazione immediata per un profano. Senza annoiarvi con dettagli troppo tecnici possiamo dire che queste carte (inizializzate alle 00Z del 29 giugno) rafforzano moderatamente l’ipotesi di una domenica perturbata sull’Italia settentrionale: il cluster più popolato, infatti, rappresentato nella prima fila, indica una piccola “saccatura” in formazione nel corso del 4 luglio sopra il nord della penisola.

Figura 5. Probabilità che in 24 ore cadano più di 5 mm di pioggia, relativa a domenica 4 luglio e basata su dati ensemble ECMWF inizializzati alle 00Z del 29 giugno. Il verde chiaro corrisponde a una probabilità compresa tra il 35 ed il 65%; probabilità maggiori si riscontrano su parte dell’arco alpino.

La figura 5 invece è una mappa decisamente più intuitiva e facile da leggere, che illustra la probabilità che nell’arco delle 24 ore del giorno 4 luglio cadano più di 5 mm di pioggia. Nel sito si può scegliere fra quattro soglie diverse (1,5,10,20 mm) e naturalmente alle soglie più alte corrispondono probabilità inferiori. Un altro modo per vagliare l’incertezza di una previsione e consolidare le nostre ipotesi è quello di esaminare gli output di modelli diversi. Fin qui abbiamo fatto riferimento solo ad ECMWF, ma la rete mette a disposizione le mappe di molti altri modelli globali, grazie alle quali anche un profano può farsi un’idea di quello che potrebbe essere lo scenario più probabile sulla zona di suo interesse.
Conclusione
L’esempio che abbiamo analizzato, seppur sommariamente, dovrebbe ricordarci almeno un paio di insegnamenti importanti. Il primo, e non ci stancheremo mai di sottolinearlo, è che in generale l’affidabilità di una previsione meteorologica decade piuttosto velocemente dopo 3-4 giorni, anche se vi possono essere eccezioni a questa regola. Il secondo è che la domanda “che tempo farà domenica?” è essenzialmente sbagliata. La domanda giusta dovrebbe essere: “qual è la probabilità che domenica piova, quale quella che splenda il sole?”.

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Circolazione atmosferica sull’Italia: l’analisi della primavera 2021 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/circolazione-atmosferica-sullitalia-lanalisi-della-primavera-2021/ Thu, 17 Jun 2021 07:14:19 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/circolazione-atmosferica-sullitalia-lanalisi-della-primavera-2021/ Come abbiamo visto nei precedenti report, Meteo Expert da diversi anni studia la circolazione atmosferica sull’Italia e sull’Europa centro-meridionale anche mediante l’analisi di dodici “Tipi di Circolazione” (TC) identificati e classificati da una rete neurale artificiale molto efficiente nella gestione di grandi quantità di dati: la SOM (Self Organizing Map) o Mappa di Kohonen. La …

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Come abbiamo visto nei precedenti report, Meteo Expert da diversi anni studia la circolazione atmosferica sull’Italia e sull’Europa centro-meridionale anche mediante l’analisi di dodici “Tipi di Circolazione” (TC) identificati e classificati da una rete neurale artificiale molto efficiente nella gestione di grandi quantità di dati: la SOM (Self Organizing Map) o Mappa di Kohonen.
La figura 1 mostra le configurazioni del Geopotenziale a 500 hPa e della pressione al livello del mare associate a ciascun TC, in base alle quali sono stati assegnati i nomi riportati nella tabella 1.

Fig. 1 – Geopotenziale a 500 hPa e pressione al livello del mare di ciascun Tipo di Circolazione (TC) identificato da SOM. Per semplicità, non sono mostrati anche gli altri campi utilizzati per l’addestramento della rete neurale: geopotenziale a 700 hPa, temperatura a 850 hPa, umidità specifica a 700 hPa. I dati sono standardizzati. I colori dal verde al rosso rappresentano valori positivi (“alta pressione”), i colori dal bianco al blu i valori negativi (“bassa pressione”).

Tipi di circolazione atmosferica osservati: frequenza, anomalie e trend

In linea con il trend degli ultimi sedici anni, la circolazione atmosferica dell’inverno meteorologico 2020/21 ha visto l’eccezionale assenza di due tipi di circolazione associati all’irruzione di aria artica o polare nel Mediterraneo: TC1 Maestrale e TC9 Anticiclone di blocco.
Uno di essi, TC1 Maestrale, è stato invece il protagonista della circolazione primaverile (Tabella 1 e Figura 2), in particolare dei mesi di marzo ed aprile, con un numero di giorni di presenza mai rilevato dal 2005, e una persistenza molto elevata per questo tipo di circolazione (fino a sette giorni consecutivi, tra il 13 e il 19 aprile), osservata solo altre tre volte negli ultimi quindici anni.

Tab.1 – Nome dei dodici Tipi di Circolazione (TC) identificati da SOM sul dominio 35°- 52°N, 3°W – 24°E (Europa centro-meridionale) e numero di giorni di presenza di ciascuno dal primo marzo al 31 maggio 2021.

TC9 Anticiclone di blocco ha triplicato la sua presenza rispetto all’inverno, con nove giorni di presenza concentrati perlopiù in marzo, ma è risultato comunque molto meno frequente rispetto all’eccezionale primavera 2020 (esattamente un terzo).

Il continuo afflusso di aria fredda proveniente dalle alte latitudini, nei mesi di marzo e aprile non ha lasciato spazio ai tipici TC delle stagioni intermedie, come TC4 Depressione Ligure e TC8 Scirocco, entrambi associati ad abbondanti piogge su gran parte del Centronord dell’Italia e temperature relativamente miti in tutto il Paese. La loro timida presenza si è infatti palesata solo a stagione inoltrata, negli ultimi giorni di aprile, quasi a voler rappresentare una brevissima parentesi primaverile tra un assetto della circolazione atmosferica invernale ed uno, in maggio, già con evidenti caratteristiche estive. Il mese di maggio ha visto infatti la prepotente presenza di TC3 Depressione Padana, il tipo di circolazione più frequente nella stagione calda, foriero di temporali ed eventi estremi soprattutto sulle nostre regioni settentrionali,  in particolare sulle Alpi e al Nordest.

Fig. 2 – Sequenza temporale dei tipi di circolazione (TC) nel corso della primavera 2021

Il grafico dell’anomalia del numero di giorni di presenza dei dodici TC (figura 3) evidenzia l’importante contributo dato alla circolazione atmosferica primaverile dal “freddo” TC1 Maestrale, con dodici giorni di presenza in più rispetto alla media dei quindici anni precedenti. E’ evidente anche il lieve eccesso di TC3 Depressione Padana (una settimana in più rispetto alla media stagionale), associato all’afflusso sull’Italia di aria fresca atlantica, e il difetto dei “caldi e umidi” TC12 Depressione Iberica, TC8 Scirocco e TC4 Depressione Ligure, spesso l’uno evoluzione dell’altro e associati allo sviluppo di una depressione sul Mediterraneo occidentale e centrale.

Fig. 3 – Anomalia del numero di giorni di presenza di ciascun tipo di circolazione (TC) nella primavera 2021 rispetto alle media delle stagioni primaverili dal 2005 al 2020.

Come la stagione che l’ha preceduta, la primavera del 2021 ha dunque confermato almeno in parte il trend degli ultimi anni, che per questa stagione vede un progressivo aumento dei tipi di circolazione associati ad irruzioni di aria fredda dalle alte latitudini, in particolare TC1 Maestrale, a spese di tipi di circolazione associati a masse d’aria più calda di origine subtropicale (figura 4).

Come conseguenza, ad inverni tendenzialmente sempre più caldi, sembrano seguire primavere relativamente fresche

Fig. 4 – Linee di tendenza lineare del numero di giorni di presenza di alcuni tipi di circolazione (TC) nelle stagioni primaverili dal 2005 al 2021.

Tipi di circolazione atmosferica previsti: performance dei modelli globali di previsione meteorologica

Meteo Expert verifica sistematicamente non solo la qualità delle previsioni di temperatura e precipitazione formulate dai modelli operativi, ma anche la loro abilità a prevedere i tipi di circolazione. Ciò è reso possibile da un metodo che permette di misurare la distanza, e quindi la “similarità”, tra i dodici tipi di circolazione posizionati dalla rete neurale all’interno del suo spazio. La tabella 2 riporta l’elenco dei modelli globali sottoposti a tale analisi. MIX è il multi-model ensemble creato da Meteo Expert utilizzando i dati degli altri cinque modelli globali della lista.

Tab.2 – Modelli globali di previsione meteorologica sottoposti a verifica su base stagionale. MIX è il multi-model ensemble creato da Meteo Expert elaborando i dati di previsione prodotti dagli altri cinque modelli.

L’abilità dei modelli a prevedere la circolazione atmosferica è mostrata nella figura 5, che riporta l’indice di qualità delle previsioni da “oggi” (+24 ore di previsione) fino al terzo giorno (+96 ore di previsione) per tutti i modelli, e fino al sesto giorno (+168 ore di previsione) solo per alcuni di essi. Nel più breve termine, MIX e GEM hanno prodotto previsioni più accurate rispetto agli altri modelli, rasentando la perfezione, unitamente a GFS, nelle prime 24 ore di previsione. Come di consueto, il modello europeo (ECMWF) ha potuto esprimere meglio le sue potenzialità nel più lungo termine, guadagnando il primo posto dal quarto giorno di previsione (+120 ore) in poi. 

Fig. 5 – Qualità complessiva della previsione della circolazione atmosferica per tutti i modelli analizzati e per tutte le validità orarie disponibili (da +24 ore a +168 ore di previsione). L’indice di qualità è ottenuto mediante la misura dell’entità delle differenze tra le configurazioni osservate e quelle previste, ed è espressione di quanto la previsione del modello si allontana dalla condizione di errore massimo possibile.

L’abilità del modello globale europeo (ECMWF) e di quello americano (GFS) a prevedere i dodici tipi di circolazione atmosferica nel più lungo termine è mostrata nella figura 6, che riporta l’indice di qualità medio per le previsioni dal terzo al sesto giorno di previsione (da +96 a +168 ore).

Pare evidente la maggiore abilità di ECMWF con la previsione di TC9 Anticiclone di blocco, associato a tempo instabile nel Sud dell’Italia e nelle regioni del Medio Adriatico,  e di quasi tutti i TC associati a tempo perturbato su vaste porzioni del nostro Paese. Al contrario, GFS ha dimostrato una affidabilità leggermente superiore con la previsione di configurazioni prevalentemente anticicloniche, come TC6 Anticiclone delle Azzorre (presente per un giorno solo, il 20 aprile), TC10 Anticiclone Afroiberico, TC11 Anticiclone Nordafricano e TC12 Depressione Iberica

Fig. 6 – Qualità media della previsione di ciascun tipo di circolazione per il modello ECMWF (linea rossa) e il modello GFS (linea blu), da +96 a +168 ore di previsione. L’indice di qualità è attenuto mediante la misura dell’entità delle differenze tra le configurazioni osservate e quelle previste, ed è espressione di quanto la previsione del modello si allontana dalla condizione di errore massimo possibile.

L’estate (meteorologica) da poco iniziata porterà sorprese o sarà un’estate “normale”?

TC3 Depressione Padana, con i suoi forti temporali al Nord, continuerà ad essere uno dei protagonisti della circolazione atmosferica, o vedrà proseguire il suo declino? TC6 Anticiclone delle Azzorre riuscirà a prevalere sui roventi anticicloni di matrice africana, o questi ultimi domineranno, portando intense e prolungate ondate di calore sull’Italia? Cosa farà TC9 Anticiclone di blocco, avendo ormai perso la sua tipica caratteristica invernale?

Lo scopriremo con il prossimo report!

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Il complesso ruolo delle nubi nel sistema climatico https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/il-complesso-ruolo-delle-nubi-nel-sistema-climatico/ Tue, 15 Jun 2021 14:31:17 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/il-complesso-ruolo-delle-nubi-nel-sistema-climatico/ Una nuova ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista Nature Climate Change suggerisce che i modelli climatici attuali potrebbero sottostimare il raffreddamento indotto dalla nuvolosità. Se questa osservazione dovesse essere confermata si tratterebbe, una volta tanto, di una notizia positiva: significherebbe infatti che la sensibilità climatica del nostro pianeta è un po’ meno elevata, vale a dire …

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Una nuova ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista Nature Climate Change suggerisce che i modelli climatici attuali potrebbero sottostimare il raffreddamento indotto dalla nuvolosità. Se questa osservazione dovesse essere confermata si tratterebbe, una volta tanto, di una notizia positiva: significherebbe infatti che la sensibilità climatica del nostro pianeta è un po’ meno elevata, vale a dire che, a parità di forzanti radiative (gas serra), il riscaldamento potrà risultare lievemente meno intenso.

Con riferimento alla nuova generazione di modelli climatici, appartenenti al Sixth Coupled Model Intercomparison Project (CMIP6) gli autori dello studio sottolineano che questi modelli prevedono un riscaldamento più veloce rispetto ai modelli precedenti (quelli della generazione CMIP5) proprio perché essi simulano un minore raffreddamento da parte della nuvolosità.

Fig.1 Le nubi alte (high clouds) trattengono più calore (heat) rispetto alle nubi basse (low clouds) le quali riflettono più radiazione solare (sunlight) verso lo spazio.

L’argomento è di grande interesse e fornisce lo spunto per approfondire alcuni aspetti estremamente importanti del funzionamento del sistema climatico e dei modelli che cercano di simularlo, con riferimento al ruolo della nuvolosità. Come sappiamo (si veda ad esempio questo approfondimento) la risposta del clima all’aumento della concentrazione dei gas serra è fortemente condizionata da alcuni meccanismi di retroazione (feedbacks) che amplificano la perturbazione iniziale indotta dai gas: tra i feedbacks più importanti citiamo quello dovuto al vapore acqueo (la sua concentrazione aumenta in un’atmosfera più calda, ma il vapore acqueo è esso stesso un potente gas serra e ciò innesca una forte retroazione positiva), il feedback legato all’albedo (associato soprattutto alla fusione di ghiaccio e neve, con conseguente maggiore assorbimento di radiazione solare alla superficie), il feedback di Planck (dal nome della legge fisica che descrive il modo in cui i corpi caldi emettono radiazione), o il meno conosciuto “feedback da lapse rate” (legato alla stratificazione termica della troposfera).

La copertura nuvolosa esercita anch’essa importanti feedbacks, ma quando entrano in gioco le nubi la situazione diventa assai complicata: il comportamento della nuvolosità è da sempre all’origine di una grossa parte dell’incertezza che caratterizza le proiezioni climatiche. In linea generale, infatti, (si veda la figura 1) sappiamo che le nubi basse e dense tendono a riflettere efficacemente la radiazione solare verso lo spazio raffreddando la superficie (si pensi ad una giornata di nebbia); inoltre, trovandosi a bassa quota, questo tipo di nube irraggia verso lo spazio (parliamo di radiazione a onda lunga, o infrarossa) ad una temperatura relativamente elevata, disperdendo quindi molta energia anche in questa parte dello spettro elettromagnetico. Le nubi alte e sottili (come i cirri, ma anche le scie di condensazione degli aerei) si comportano invece nel modo opposto e tendono a riscaldare la superficie: infatti essendo poco dense risultano trasparenti alla radiazione solare entrante che riesce a giungere in gran parte fino al suolo; al contrario delle nubi basse, le nubi ad alta quota sono molto fredde e irraggiano poca energia verso lo spazio.

Tra questi due estremi esiste una varietà pressoché infinita di modi in cui può presentarsi una copertura nuvolosa e non dobbiamo dimenticare le nubi di origine convettiva (cumuli e cumulonembi che possono occupare tutte le quote della troposfera) la cui rappresentazione rappresenta in sé una compito difficile per ogni modello, sia climatico che meteorologico.

Nuvole nell’arte. René Magritte,“Les Idées claires”, (1955-58). Crediti Artslife

I problemi posti dalla nuvolosità, tuttavia, non si limitano a quelli appena esposti: vi sono anche altre proprietà e caratteristiche delle nubi, proprio quelle su cui si è concentrato lo studio appena citato, che potrebbero non essere ancora simulate in modo corretto nei modelli attuali. Man mano che l’aria si scalda, infatti, si ritiene che alcune nubi potranno trasformarsi da “fredde” in “calde”. Le nubi “fredde” sono quelle che contengono un miscuglio di particelle ghiacciate e di goccioline d’acqua, mentre quelle “calde” sono composte solo da acqua allo stato liquido.

Per motivi fisici le nubi composte da goccioline riflettono con più efficacia la radiazione solare in arrivo rispetto a quelle composte prevalentemente da cristalli di ghiaccio (un fenomeno denominato cloud optical depth feedback); per di più le le nubi calde sono meno efficienti nel produrre precipitazioni e questo significa che tendono a rilasciare la pioggia con meno facilità: in questo modo, piovendo meno, la vita di questo tipo di nubi si allunga.

Secondo il dottor Mülmenstädt (l’autore principale della ricerca) la rappresentazione delle nubi calde nei modelli del progetto CMIP6 è ancora imperfetta: in questi modelli le nubi calde producono troppa pioggia e di conseguenza si dissolvono troppo in fretta. Se queste nubi avessero una vita più lunga potrebbero contribuire a raffreddare più a lungo la superficie. Mülmenstädt ha affermato che “risolvendo il problema nel modello che abbiamo studiato si ottiene una riduzione del riscaldamento globale dello stesso ordine di grandezza dell’aumento osservato fra i modelli del gruppo CMIP5 e CMIP6”.

Questa breve sintesi ha mostrato le difficoltà che affrontano tutti i giorni gli studiosi del clima e gli sviluppatori dei modelli. Uno dei limiti maggiori della ricerca di Mülmenstädt e dei suoi colleghi risiede nell’avere studiato uno solo dei tanti modelli che compongono il progetto CMIP6. Siamo certi che il suo studio non costituirà l’ultima parola sull’argomento e che le nuvole, queste entità inafferrabili e spesso effimere che popolano il cielo, continueranno a costituire ancora per molto tempo una formidabile sfida per la comunità degli scienziati dell’atmosfera.

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Anticiclone delle Azzorre o Africano? Ecco cosa cambia [VIDEO] https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/meteo-spiegato-bene/anticiclone-delle-azzorre-o-nordafricano/ Wed, 02 Jun 2021 12:00:56 +0000 https://www.iconameteo.it/?p=48155 anticiclone nord africano o delle azzorreTra i protagonisti indiscussi dell’estate c’è senza dubbio l’Anticiclone, che può essere Nordafricano o delle Azzorre. Una differenza importante, perché gli effetti che l’Anticiclone ha sull’Italia cambiano molto a seconda della sua origine:

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Tra i protagonisti indiscussi dell’estate c’è senza dubbio l’Anticiclone, che può essere Nordafricano o delle Azzorre. Una differenza importante, perché gli effetti che l’Anticiclone ha sull’Italia cambiano molto a seconda della sua origine:

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Temporali e previsioni meteo: istruzioni per l’uso https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/temporali-e-previsioni-meteo-istruzioni-per-luso/ Tue, 01 Jun 2021 10:13:46 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/temporali-e-previsioni-meteo-istruzioni-per-luso/ L’inizio del semestre caldo rappresenta per molte regioni italiane anche l’inizio della stagione dei temporali: nei mesi più caldi dell’anno, infatti, buona parte delle piogge che osserviamo sul nostro Paese sono associate a fenomeni di tipo convettivo, vale a dire precipitazioni che nascono da nubi a forte sviluppo verticale chiamate cumulonembi. La forma stessa dei …

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L’inizio del semestre caldo rappresenta per molte regioni italiane anche l’inizio della stagione dei temporali: nei mesi più caldi dell’anno, infatti, buona parte delle piogge che osserviamo sul nostro Paese sono associate a fenomeni di tipo convettivo, vale a dire precipitazioni che nascono da nubi a forte sviluppo verticale chiamate cumulonembi. La forma stessa dei cumulonembi ci fornisce visivamente in modo assai efficace alcuni indizi sulla loro natura: non è difficile immaginare le impetuose correnti ascensionali che si sviluppano al di sotto di questa nube, il vapore acqueo che condensa alla sua base determinandone il confine netto e poi la corsa in verticale dell’aria satura, spesso fino ai confini della troposfera, a creare le bianche torri nuvolose che conferiscono alla nube il classico aspetto di un cavolfiore. In effetti ciò che distingue un fenomeno convettivo temporalesco è proprio l’intensità dei moti verticali (decine di metri al secondo) che si osservano all’interno delle nubi cumuliformi, velocità superiori di alcuni ordini di grandezza rispetto alle tipiche velocità verticali che caratterizzano l’atmosfera (qualche cm al secondo). Un temporale però, per essere definito tale, deve produrre anche attività elettrica, tuoni, lampi e fulmini insomma: si ritiene che generalmente ciò si verifica quando le velocità verticali superano i 5 m/s.

Esiste una correlazione tra la quantità di fulmini che osserviamo e l’intensità della celle convettiva che li genera: i temporali più forti, di solito, sono associati a numerose fulminazioni.

Figura 1 Immagine del radar meteorologico relativa alle ore 14.40 del 3 aprile 2021. Fonte: archivio radar del Centrometeolombardo (http://www.centrometeolombardo.com/radar/)

La figura 1 è un’immagine ottenuta grazie al radar meteorologico relativa al primo pomeriggio del giorno 3 aprile 2021 che mostra buona parte della regione Lombardia: i colori più caldi, il rosso in particolare, rappresentano rovesci di pioggia abbastanza intensi. Questo breve episodio temporalesco si è sviluppato intorno alle ore 14 qualche kilometro a nord di Bergamo e poco dopo ha raggiunto il capoluogo. Una seconda cella temporalesca, più debole, è attiva sulla Brianza lecchese e sfiora la provincia di Monza; questa cella è stata quasi certamente innescata dalla cella bergamasca. Il temporale “madre” ha generato accumuli di pioggia di circa 40 mm (equivalenti a 40 litri per metro quadrato) su una piccola porzione della bassa Val Seriana e solo pochi mm su Bergamo; il secondo temporale, prima di esaurirsi nel Milanese, ha prodotto una decina di millimetri di pioggia su una ristretta fascia del Lecchese. Abbiamo scelto questo caso solo per mostrare una situazione molto comune, vorremmo dire di “ordinaria amministrazione”, che caratterizza la stagione convettiva. Quello descritto, in effetti, fu l’unico episodio di pioggia che si osservò quel giorno in Lombardia; su gran parte della regione non piovve affatto, mentre in un paio di località si ebbe quasi un piccolo nubifragio, ma non si trattò di un caso particolarmente speciale. I temporali si comportano quasi sempre così, nascono all’improvviso e si esauriscono su piccole aree dando luogo a maltempo a volte severo (forti piogge, grandinate, raffiche di vento) mentre a pochi kilometri di distanza non succede niente.       

Figura 2: rappresentazione del concetto di stabilità e instabilità atmosferica (tratta da http://pressbooks-dev.oer.hawaii.edu/atmo/chapter/chapter-5-atmospheric-stability/)

Avendo constatato la natura “dispettosa” di questo tipo di fenomeni, non dovremmo nemmeno essere troppo sorpresi che essi siano difficili da prevedere.

La previsione dei temporali mette in difficoltà anche i più evoluti modelli fisico-matematici che forniscono indicazioni al meteorologo e, naturalmente, il meteorologo stesso: è bene che l’utente finale che legge il bollettino e guarda le icone sul suo strumento ne sia consapevole. Che cosa, in particolare, rende così arduo la previsione dei fenomeni convettivi? La risposta ovviamente richiederebbe ben più che queste poche righe, ma possiamo dire che la difficoltà risiede essenzialmente nella piccola scala del fenomeno (a volte solo pochi km) e nella particolare miscela di ingredienti che sono necessari alla loro formazione. Affinché si sviluppi un temporale devono infatti essere presenti:

  • sufficiente umidità
  • sufficiente instabilità
  • un innesco (“triggering”)

L’umidità di cui si “nutre” un temporale è soprattutto quella presente negli strati più bassi dell’atmosfera, i più vicini al suolo, che sono anche quelli dove gli errori modellistici sono maggiori (errori di inizializzazione e/o errori dovuti alla parametrizzazione dello strato limite turbolento). L’instabilità atmosferica (nel caso dei temporali il riferimento è soprattutto alla cosiddetta instabilità condizionale) è legata al profilo verticale di temperatura e di umidità. Possiamo immaginare di spingere verso l’alto una bolla d’aria inizialmente vicina al suolo e di seguirne la sua evoluzione: salendo l’aria si raffredda e a un certo punto il vapore in essa contenuto inizia a condensare (in funzione del suo contenuto di umidità); adesso l’aria è satura e continuando a salire si raffredda più lentamente (il processo di condensazione, infatti, libera calore). Ad una certa altezza la temperatura della bolla potrebbe risultare più alta rispetto a quella dell’atmosfera circostante e pertanto inizierà a subire la spinta di galleggiamento, la forza di Archimede, che la porterà a salire ancora. Ecco spiegato il significato dell’instabilità o viceversa, della stabilità: in un atmosfera instabile una perturbazione iniziale che sposta l’aria verso l’alto innesca un processo che rinforza la perturbazione stessa, come la pallina rossa della figura 2: una piccola spinta e la pallina proseguirà da sola nella direzione imposta dalla perturbazione; la pallina blu, al contrario, tenderà a tornare nella posizione di partenza (in atmosfera ciò corrisponde a una bolla che salendo si trova circondata da aria più calda entro la quale tenderà a affondare). Da ultimo, ma non per importanza, vi è la questione dell’innesco: parliamo della perturbazione (che in un’atmosfera instabile può essere anche piccola), della spintarella iniziale che è necessaria affinché la nostra bolla di aria calda e sufficientemente umida possa iniziare il suo viaggio verso il cielo per poi, eventualmente, mettersi a correre.

Figura 3 Densità di fulminazioni (fulmini/km2/anno) sulla Lombardia nel 2001. Immagine tratta dalla guida “Temporali&valanghe” redatta dalla Regione Lombardia (2007).

Nel mondo reale i tre ingredienti che abbiamo menzionato sono presenti in proporzioni sempre diverse e di volta in volta possono giocare ruoli sottili nella genesi o nella soppressione dell’attività convettiva: in Italia, ad esempio, durante la stagione estiva è piuttosto comune osservare lunghi periodi in cui l’instabilità è potenzialmente abbondante (alti valori dell’indice CAPE, Convective Available Potential Energy), ma in cui scarseggiano le perturbazioni in grado di innescarla. In queste situazioni gli eventuali temporali si sviluppano principalmente in prossimità dei rilievi, dove le condizioni sono generalmente più favorevoli (i rilievi costituiscono sorgenti elevate di calore, sono aree dove possono convergere le brezze e dove una massa d’aria può essere più facilmente sollevata ad opera della circolazione a più grande scala). La figura 3, benché si riferisca ad un anno soltanto, illustra con chiarezza come le fasce prealpine della Lombardia siano di gran lunga più temporalesche rispetto alla pianura. L’esempio che abbiamo proposto all’inizio di questo articolo rappresenta una situazione certamente meno comune: quel giorno sul territorio lombardo l’instabilità e l’umidità erano oggettivamente scarsi, come testimoniato dal radiosondaggio di Milano Linate; in compenso proprio a quell’ora si assisteva al brusco ingresso di venti un poco più freddi da est sulla pianura che verosimilmente hanno contribuito a sollevare l’aria in quel particolare punto della pedemontana bergamasca, l’unico in tutta la regione dove i tre ingredienti si sono combinati nel modo giusto.

Questa disamina, ancorché breve e necessariamente molto incompleta, vorrebbe suggerire che quando in un bollettino meteo si parla di temporali all’utente è richiesto un piccolo surplus di attenzione.

Dovrebbe ormai essere chiaro a tutti che nessuna previsione meteorologica è in grado di stabilire l’ora e la località precisa in cui domani si svilupperanno dei temporali; non limitiamoci dunque a “guardare” l’icona con la nube ed il fulmine stilizzati che ci appare sul telefonino, ma cerchiamo anche di leggere il testo del bollettino: “possibili temporali” non ha lo stesso significato di “probabili”; “temporali isolati” è diverso da “temporali sparsi”. L’incertezza può generare frustrazione, un forte temporale purtroppo può dare origine a danni ingenti e perfino causare vittime; più spesso, per fortuna, che sia stato correttamente previsto o meno, sarà stato solo una manifestazione naturale che ci ha lasciati pieni di meraviglia … e magari ci avrà invogliato a cercare un testo di meteorologia per imparare a conoscerla meglio.

 

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Il fascino delle reti neurali per studiare clima e meteo https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/il-fascino-delle-reti-neurali-per-studiare-clima-e-meteo/ Mon, 31 May 2021 16:38:48 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/il-fascino-delle-reti-neurali-per-studiare-clima-e-meteo/ Le reti neurali artificiali sono dei modelli matematici di elaborazione dell’informazione che traggono ispirazione dal funzionamento del sistema nervoso degli organismi evoluti; hanno quindi capacità di apprendimento (o addestramento), di generalizzazione, di adattamento e di tolleranza a informazioni poco precise o errate. In sintesi, elaborano informazioni in modo “intelligente”. Le applicazioni pratiche sono numerose e …

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Le reti neurali artificiali sono dei modelli matematici di elaborazione dell’informazione che traggono ispirazione dal funzionamento del sistema nervoso degli organismi evoluti; hanno quindi capacità di apprendimento (o addestramento), di generalizzazione, di adattamento e di tolleranza a informazioni poco precise o errate. In sintesi, elaborano informazioni in modo “intelligente”.

Le applicazioni pratiche sono numerose e riguardano molti ambiti, come l’informatica, l’ingegneria, la medicina e la finanza. Ma non solo: la capacità di apprendere, riconoscere e classificare è molto preziosa anche nel mondo della climatologia e della meteorologia.

Infatti, per studiare i cambiamenti climatici e comprendere le complesse relazioni che intercorrono tra la circolazione atmosferica su larga scala e le diverse variabili ambientali, è utile e spesso necessaria una descrizione sintetica delle condizioni atmosferiche.

Immagine: Pixabay

Un approccio comunemente utilizzato è quello di classificare le situazioni atmosferiche in “Tipi di Circolazione”

La classificazione dei tipi di circolazione atmosferica (weather typing)  può essere realizzata utilizzando le serie storiche di dati di analisi, cioè simulazioni delle stato dell’atmosfera elaborate da un modello, e diverse tecniche; la Action 733 di COST (European Cooperation in Science and Technology) ha ad esempio classificato e validato un numero variabile di tipi di circolazione per dodici domini europei che congiuntamente coprono l’intero Continente, utilizzando più parametri meteorologici (ad esempio la pressione sul livello del mare o il geopotenziale a 500 hPa) e numerosi metodi. L’obiettivo di questo progetto, concluso nel 2010, è infatti la “Harmonisation and Applications of Weather Types Classifications for European Regions”.

Immagine da Tveito et al., 2016, “ COST Action 733 – Harmonization and Application of Weather Type
Classifications for European Regions – Final Scientific Report”. I dodici domini geografici analizzati dal Progetto.

Una tecnica di classificazione comunemente utilizzata per identificare i tipi di circolazione atmosferica è la SOM (Self Organizing Maps) o Mappa di Kohonen (dal nome del Professore dell’Università di Helsinki che la introdusse nel 1982), un algoritmo che realizza una rete neurale molto efficiente per l’esplorazione di grandi quantità di dati, il cui processo di apprendimento simula quello del cervello umano. SOM è stata impiegata, ad esempio, per studiare i cambiamenti nel tempo della circolazione sinottica e per correlare le configurazioni della pressione sul livello del mare alle precipitazioni rilevate da stazioni meteorologiche distribuite sugli Stati Uniti nord-orientali,  per identificare i pattern della circolazione atmosferica associati a temperature e venti estremi sulle terre artiche occidentali, o il rischio di incendi in Arizona e New Mexico, per valutare l’abilità dei modelli climatici a simulare la frequenza e l’intensità delle precipitazioni in relazione al tipo di configurazione della circolazione sull’Australia, e tanto altro.

Meteo Expert effettua il “weather typing” con SOM per aggiornare e studiare la serie storica dei dodici tipi di circolazione giornalieri identificati sull’Europa centro-meridionale dal 2005, per valutare a livello operativo l’abilità di diversi modelli globali di previsione meteorologica a prevederli nel breve-medio termine (fino a una settimana) e per indagare correlazioni tra tipi di circolazione osservati e previsti e qualità della previsione di alcune variabili meteorologiche, come temperatura e precipitazioni.

I dodici tipi di circolazione (TC) sono classificati da SOM mediante l’elaborazione di cinque parametri meteorologici: pressione sul livello del mare, geopotenziale a 700 hPa e 500 hPa, umidità specifica a 700 hPa e  temperatura a 850 hPa, dati grigliati di analisi forniti dal modello europeo (ECMWF) alla risoluzione orizzontale di 0,5° di latitudine e longitudine, sul dominio 35°- 52°N, 3°W – 24°E. La figura 1 illustra il campo della pressione sul livello del mare di ciascun TC.

Fig. 1 – Pressione sul livello del mare per ciascun Tipo di Circolazione (TC) classificato da SOM. I dati sono standardizzati. I colori dal verde al rosso rappresentano valori positivi (alta pressione), i colori dal grigio al blu i valori negativi (bassa pressione).

Nell’attesa di poter esaminare nel dettaglio i dati prodotti da SOM nella stagione invernale in corso, riepiloghiamo brevemente quanto elaborato per il 2020, o meglio per le ultime quattro stagioni meteorologiche, cioè da dicembre 2019 a novembre 2020.

La tabella 1 riporta il nome che abbiamo assegnato ai dodici tipi di circolazione atmosferica  e il numero di giorni di presenza di ciascuno nell’anno considerato.

Tab.1 – Nome dei dodici Tipi di Circolazione (TC) identificati da SOM sul dominio 35°- 52°N, 3°W – 24°E (Europa centro-meridionale) e numero di giorni di presenza di ciascuno dal primo dicembre 2019 al 30 novembre 2020.

Ciascun tipo di circolazione ha naturalmente caratteristiche precise, ma per semplicità possiamo dividere i dodici TC in due gruppi:

  1. TC con “tempo instabile”, apportatori di piogge su ampie porzioni dell’Italia: TC1 Maestrale, TC2 Depressione Egeo, TC3 Depressione Padana, TC4 Depressione Ligure, TC7 Correnti Occidentali e TC8 Scirocco;
  2. TC con “tempo stabile”, caratterizzati da circolazione anticiclonica e cielo sereno su quasi tutto in nostro Paese: TC6 Anticiclone delle Azzorre, TC9 Anticiclone di blocco, TC10 Anticiclone Afroiberico, TC11 Anticiclone Nordafricano, TC12 Depressione Iberica.

Nella figura 2 è rappresentata la sequenza temporale dei dodici tipi di circolazione giornalieri.

Fig.2 – Serie dei Tipi di Circolazione (TC) giornalieri dal primo dicembre 2019 al 30 novembre 2020.

 

TC9 Anticiclone di blocco ha chiaramente dominato la circolazione atmosferica del 2020, totalizzando più di due mesi di presenza, complice la sua straordinaria e nota tendenza alla persistenza,  molto ben evidente soprattutto in primavera. Ad esso sono associate condizioni di cielo sereno ovunque, tranne che sulle regioni del Medio Adriatico e al Sud, esposte ai venti orientali in rotazione intorno alla depressione presente fra Mar Egeo e Mar Ionio (vedi Fig.1).

Anche TC11 Anticiclone Nordafricano è stato relativamente frequente, non tanto durante l’estate, caratterizzata da una frequente presenza di TC6 Anticiclone delle Azzorre e TC3 Depressione Padana, quanto nella stagione invernale, durante la quale è stato il principale responsabile della formazione di nebbie e dell’accumulo di inquinanti.

La figura 2 mostra le anomalie del 2020 rispetto ai quindici anni precedenti, ed evidenzia bene quanto, nell’ultimo anno, TC9 Anticiclone di blocco, TC11 Anticiclone Nordafricano e TC6 Anticiclone delle Azzorre, tutti TC con “tempo stabile”, siano stati molto più presenti rispetto alla media (insieme, circa cinque settimane in più).

Fig. 2 – Anomalia del numero di giorni di presenza di ciascun TC nel 2020 rispetto al periodo 2005-2019.

Al contrario, TC1 Maestrale, responsabile delle irruzioni di aria fredda dalle più alte latitudini, è stato il grande assente del 2020, soprattutto in inverno, così come quasi tutti gli altri TC con “tempo instabile”, sia quelli associati allo scorrimento sull’Italia di aria fresca atlantica, sia quelli associati all’afflusso dai quadranti meridionali di aria mite e carica di umidità, come TC4 Depressione Ligure e TC8 Scirocco, i due TC responsabili delle peggiori condizioni del tempo sull’Italia.

Il 2020 è stato dunque l’anno con il più elevato numero di giorni con circolazione  anticiclonica e tempo stabile su gran parte dell’Italia dal 2005, situazione paragonabile solo al 2011 e al 2017 (vedi figura 3).

Fig. 3 – Numero di giorni con TC associati a “tempo stabile” su gran parte dell’Italia ( TC5, TC6, TC9, TC10, TC11, TC12, linea blu) e TC associati a “tempo instabile” (TC1, TC2, TC3, TC4, TC7, TC8, linea verde) dal 2005 al 2020.

L’abilità del modello globale europeo (ECMWF) e di quello americano (GFS) a prevedere i tipi di circolazione atmosferica nei sette giorni successivi è mostrata nella figura 4, che riporta l’indice di qualità medio per le previsioni fino al terzo giorno di previsione (da +24 a +72 ore) e dal quarto al settimo giorno di previsione (da +96 a +168 ore).

Fig. 4 – Qualità della previsione del tipo di circolazione per il modello ECMWF (linea rossa) e il modello GFS (linea blu), per i primi tre giorni di previsione (grafico a sinistra) e per i successivi quattro giorni (grafico a destra). L’indice di qualità è attenuto mediante la misura dell’entità delle differenze tra le configurazioni osservate e quelle previste, ed è espressione di quanto la previsione del modello si allontana dalla condizione di errore massimo possibile.

E’ evidente come nelle prime settantadue ore di previsione la performance dei modelli sia stata assai simile, con un leggero vantaggio da parte di ECMWF solo con pochi TC. Nel più lungo termine, dal quarto giorno in poi, la maggiore abilità di ECMWF è invece stata ben più evidente ed estesa a quasi tutti i TC, soprattutto a quelli anticiclonici, come TC9 Anticiclone di blocco, TC10 Anticiclone Afroiberico  e TC11 Anticiclone Nordafricano, e a  quelli associati ad afflusso di aria mite ed umida dai quadranti meridionali, come nel caso del perturbato TC8 Scirocco.

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Anticiclone di blocco: come si forma e quali sono le sue conseguenze [VIDEO] https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/meteo-spiegato-bene/anticiclone-di-blocco-video/ Mon, 31 May 2021 13:32:57 +0000 https://www.iconameteo.it/?p=43082 Anticiclone di bloccoL’anticiclone di blocco è in grado di fermare le perturbazioni, e deve il nome proprio a questa sua caratteristica. Ce ne parlano i meteorologi nel video:

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L’anticiclone di blocco è in grado di fermare le perturbazioni, e deve il nome proprio a questa sua caratteristica. Ce ne parlano i meteorologi nel video:

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Grandine, cos’è e come si forma [VIDEO] https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/meteo-spiegato-bene/grandine-video/ Sat, 01 May 2021 04:00:31 +0000 https://www.iconameteo.it/?p=45195 grandine  Caratteristica soprattutto degli intensi temporali estivi (ma non solo!), la grandine è un fenomeno davvero affascinante. Sapete come si forma e da cosa dipende la dimensione dei chicchi? La spiegazione degli esperti in un breve video:

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Caratteristica soprattutto degli intensi temporali estivi (ma non solo!), la grandine è un fenomeno davvero affascinante. Sapete come si forma e da cosa dipende la dimensione dei chicchi?

La spiegazione degli esperti in un breve video:

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Clima, MARZO 2021 tra siccità ed esubero di piogge in Sicilia: l’analisi dell’esperto https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/clima-marzo-2021-tra-siccita-ed-esubero-di-piogge-in-sicilia-lanalisi-dellesperto/ Tue, 20 Apr 2021 08:14:14 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/clima-marzo-2021-tra-siccita-ed-esubero-di-piogge-in-sicilia-lanalisi-dellesperto/ Il clima di marzo 2021 è stato caratterizzato da una notevole irruzione fredda sull’Italia e sull’Europa verso la metà del mese. Questa colata artica, durata circa dieci giorni – spiega il meteorologo di Meteo Expert, Simone Abelli -, ha riportato condizioni pienamente invernali su molte zone del continente, con temperature rigide, gelate e nevicate fino …

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Il clima di marzo 2021 è stato caratterizzato da una notevole irruzione fredda sull’Italia e sull’Europa verso la metà del mese. Questa colata artica, durata circa dieci giorni – spiega il meteorologo di Meteo Expert, Simone Abelli -, ha riportato condizioni pienamente invernali su molte zone del continente, con temperature rigide, gelate e nevicate fino a quote relativamente basse proprio nel periodo intorno all’equinozio primaverile.

A fine mese – prosegue l’esperto -, la situazione si è completamente ribaltata. Nell’arco di una decina di giorni, infatti, si è passati da un clima invernale a un clima estivo determinato da un’espansione del promontorio anticiclonico nord africano che ha trascinato con sé una massa d’aria subtropicale, con conseguente impennata delle temperature.

Il contrasto più marcato si è verificato sulle regioni centro-settentrionali: a Firenze e Pisa, dove pochi giorni prima i termometri segnavano minime di 0°C e -1°C, nell’ultimo giorno del mese hanno ritoccato i record storici di temperatura massima di marzo con 28.2°C e 24.5°C rispettivamente.

FREDDO in aumento, SOTTOZERO diverse città

Nel calcolo della media mensile – spiega il meteorologo -, queste ampie oscillazioni termiche si sono pressoché annullate a vicenda con una leggera prevalenza dei periodi freddi. Ne scaturisce infatti un’anomalia termica mensile pari a -0.2°C a livello nazionale per via soprattutto delle temperature minime (anomalia di -0.8°C), in quanto le massime sono state mediamente più elevate (anomalia di +0.5°C).

Scendendo più in dettaglio, si riscontrano anomalie negative leggermente più ampie al Sud e in Sicilia (-0.5°C e -0.6°C rispettivamente), valori in linea con il dato nazionale al Nord-Est e al Centro (-0.2°C) e valori, invece, leggermente positivi al Nord-Ovest e in Sardegna (+0.4°C e +0.1°C). Il dato di marzo ha decretato una flessione dell’anomalia termica da inizio anno la quale, conseguentemente, scende a +0.8°C che resta comunque un valore per il momento decisamente ampio.

Anomalia della circolazione atmosferica – dal 15 al 25 MARZO 2021
Anomalia della circolazione atmosferica – dal 26 al 31 MARZO 2021

Piogge, il mese di marzo è stato piuttosto siccitoso: i dati

Il mese di marzo, per quanto riguarda le piogge, è risultato piuttosto siccitoso con un -31% sull’Italia intera per via delle scarse precipitazioni soprattutto al Centro-Nord e in Sardegna (-89% al Nord-Ovest, -78% al Nord-est, -25% al Centro, -44% in Sardegna). Al Sud, invece, il dato mensile non si scosta sensibilmente dalla media (+1%), mentre in Sicilia si è avuto un notevole esubero di pioggia (+129%). Effettivamente – sottolinea l’esperto – le undici perturbazioni transitate nel mese di marzo, seppur per buona parte deboli o marginali, sono risultate più efficaci sulle regioni meridionali e quelle limitrofe del Centro.

Grafico TEMPERATURA MEDIA e PIOGGE in Italia – MARZO 2021

Siccità, il mese di marzo al Nord al 2° posto tra i meno piovosi dalla fine degli anni ’50

La siccità nel mese di marzo è stata particolarmente pesante al Nord e sulla Toscana. Sulle regioni settentrionali, infatti, le ultime piogge significative risalivano al 10 febbraio dopodiché si è aperta una lunga fase sostanzialmente siccitosa che ha fatto precipitare il bilancio pluviometrico dopo quello che fino a quel momento era stato uno degli inverni più piovosi con più del doppio delle precipitazioni normali. Con un’anomalia media pari a -83%, il mese di marzo al Nord si pone al secondo posto fra i meno piovosi dalla fine degli  anni ’50, a breve distanza dal record del marzo del 2003 (con -86%).

Siccità, al Nord a marzo mai così poca pioggia da oltre 60 anni

A fronte di un numero di giorni piovosi, vale a dire giorni in cui nell’arco delle 24 ore si accumula almeno 1 mm di pioggia, che a seconda della località può variare in media da 6 a 8, nel marzo di quest’anno si è rimasti quasi ovunque al di sotto dei 3-4 giorni. In diverse località si è visto un solo giorno di pioggia, per esempio a Milano, Brescia, Rimini e Verona. In altri casi, invece, neanche un giorno di pioggia, come a Torino e Bergamo. In Toscana le ultime precipitazioni rilevanti erano state osservate a metà febbraio e in città come Firenze, Pisa e Grosseto non si è verificato più di un giorno di pioggia, con un deficit complessivo della regione di poco superiore a -90%.

Clima, marzo si piazza all’ottavo posto fra i più caldi a livello globale

Per quanto riguarda la situazione a livello globale, il mese di marzo si pone all’ottavo posto fra i più caldi, con uno scarto di +1.6°C rispetto alla media del XX secolo, secondo i dati NOAA. Nonché valore più basso degli ultimi sette anni.

Serie delle anomalie della temperatura media globale di MARZO
(fonte NOAA)

Particolarmente evidenti – conclude l’esperto -, le anomalie positive su parte del Nord America e fra il Medio Oriente e l’Asia centro-meridionale, mentre spiccano la Siberia settentrionale e l’Alaska per gli scarti negativi, e con queste anche una larga parte del Pacifico orientale equatoriale dove sono proseguite, sebbene in attenuazione, le condizioni di Niña.

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Final Warming: nuove ondate di freddo tardivo nel cuore della primavera? L’analisi https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/final-warming-nuove-ondate-di-freddo-tardivo-nel-cuore-della-primavera-lanalisi/ Fri, 02 Apr 2021 13:39:18 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/final-warming-nuove-ondate-di-freddo-tardivo-nel-cuore-della-primavera-lanalisi/ Nel precedente articolo dedicato all’evento di Major Midwinter Stratwarming (MMWs) previsto e poi effettivamente osservato all’inizio di gennaio 2021 ci siamo soffermati sulle dinamiche di questo particolare fenomeno di riscaldamento anomalo ed improvviso della Stratosfera e delle sue potenziali conseguenze meteorologiche “ai piani bassi della troposfera”, ovvero alle quote che interessano di più a noi …

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Nel precedente articolo dedicato all’evento di Major Midwinter Stratwarming (MMWs) previsto e poi effettivamente osservato all’inizio di gennaio 2021 ci siamo soffermati sulle dinamiche di questo particolare fenomeno di riscaldamento anomalo ed improvviso della Stratosfera e delle sue potenziali conseguenze meteorologiche “ai piani bassi della troposfera”, ovvero alle quote che interessano di più a noi terrestri.
Di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia: di eventi freddi e di ondate di maltempo di stampo invernale in giro per il Vecchio Continente ne abbiamo visti, e non solo. Gran parte dell’emisfero settentrionale è stato protagonista di episodi invernali significativi, alcuni di portata storica, come quello avvenuto negli Stati Uniti meridionali e in particolare in Texas a cavallo tra la seconda e la terza decade di febbraio.

Anomalia della T al suolo osservata negli Stati Uniti nel periodo 15-22 febbraio 2021 rispetto alla norma climatica (fonte: NOAA)

L’Italia in termini di freddo e di neve, non ha visto granchè, a conferma di quello che ripetiamo sempre quando ci troviamo di fronte a potenziali eventi di stratwarming: la propagazione delle massa d’aria fredda dalle latitudini artiche (ovvero da latitudini superiori i 60 ° nord) avviene nei modi più disparati e possono interessare solo alcune nazioni, risparmiandone altre le quali, paradossalmente, rischiano di trovarsi sulla traiettoria di risalita di masse d’aria ben più temperate proveniente dalle basse latitudini.

Mentre per il nostro Paese la seconda parte dell’inverno si è dimostrata alquanto monotona e scialba, salvo brevi e modeste incursioni fredde, per altri territori dell’Europa settentrionale e continentale si è rilevata molto più severa in termini di freddo, oltre che perturbata, con ripetuti episodi nevosi. Tra questi vale la pena ricordare quello di inizio febbraio, con la peggiore ondata di gelo e bufere di neve degli ultimi 10 anni per le Isole Britanniche, la Francia, i Paesi Bassi, la Germania e il vicino Est europeo e termometri fino a -23/-24 gradi tra la Bassa Sassonia e l’Assia, nel cuore della Germania.

Temperature minime registrate all’alba di mercoledì 10 febbraio in Europa. Si notino i -20/ -23 gradi nel cuore della Germania (fonte: meteociel.fr).

I grandi SSWs, di cui abbiamo già abbondantemente approfondito, sono più tecnicamente “major midwinter warmings” (MMWs), come quello del recente inverno, e sono generalmente seguiti da un recupero del Vortice Polare stratosferico tra la seconda metà di febbraio e il mese di marzo, prima di un fisiologico riscaldamento della Stratosfera, indotto dall’incalzare della nuova stagione. Un po’ quello che sta accadendo in queste settimane, ma con alcune periodiche oscillazioni dovute al fatto che durante l’inverno appena concluso il Vortice Polare è risultato piuttosto debole e ancora fatica a riprendersi.

È possibile che il prossimo evento di riscaldamento stratosferico atteso nel corso del mese di aprile diventi quello che è noto come un riscaldamento stratosferico finale dinamico (FSW), noto anche come grande riscaldamento stratosferico improvviso finale (major final warming, MFW).
Il Final Warming si riferisce alla transizione della stratosfera alla “modalità estiva” – quando il Vortice Polare si dissipa e si sviluppano le easterlies (i venti con moto retrogrado, da est verso ovest, lungo la circonferenza del pianeta, sopra i 5 Km di altitudine, alle medie-alte latitudini, che persistono fino a fine agosto/inizio settembre quando il vortice torna ad approfondirsi). Si tratta dunque di un normale “decadimento stagionale”, più semplicemente dovuto alle implicazioni termodinamiche, ovvero come conseguenza della radiazione solare che ritorna e riscalda la regione polare. Climatologicamente, l’ultimo giorno di media zonale occidentale (cioè delle westerlies) è il 12 aprile.

Tuttavia, a volte, un improvviso riscaldamento guidato dagli stessi processi dinamici che causano i MMW può verificarsi così tardi nella stagione che il Vortice non è in grado di recuperare quando il Sole ritorna al Polo. Questo diventa allora un FSW dinamico, ovvero un riscaldamento che è indotto non solo dal fisiologico riscaldamento dovuto al progressivo aumento della radiazione solare in prossimità della calotta polare, ma alimentato da un contributo che arriva dai piani bassi, dunque dalla troposfera, con trasferimento di calore dal basso verso l’alto ad opera di onde planetarie semi-stazionarie e in parte convergenti verso l’area del Polo Nord.

Da quanto appena detto, si intuisce che gli eventi di Final Warming avvengono tutti gli anni a inizio primavera. Ma allora perché non ricevono la stessa attenzione dei MMW che avvengono in pieno inverno?
Ci sono almeno un paio di ragioni. I FW sono dinamicamente diversi in quanto il comportamento dell’onda planetaria che segue l’evento è diverso (dato che le easterlies stratosferiche rimangono). La tempistica della tarda stagione degli eventi significa che le incursioni di freddo non si verificano con la stessa gravità e le risposte troposferiche spesso si perdono nella transizione stagionale (con le correnti a getto troposferiche e le tracce delle tempeste che evolvono dalla modalità invernale alla modalità primaverile). C’è poi anche la considerazione della grandezza dell’anomalia – i venti zonali stratosferici sono deboli o orientali durante il mese di aprile, indipendentemente dal fatto che si sia verificato un FSW dinamico, che è molto diverso dal pieno inverno.

Tornando ai fatti “di casa nostra”, quanto accaduto nelle ultime settimane è in parte riconducibile allo stato del Vortice Polare stratosferico, la cui salute è fotografata dall’indice NAM (Northern Annular Mode Index).
Dopo una parte centrale dell’inverno dominata da un Vortice Polare debole per via dello Stratwarming di inizio gennaio, da fine febbraio la situazione si è ribaltata, con un Vortice Polare mediamente più forte (Stratcooling). Nell’immagine che segue, il colore che dalle alte quote si estende verso il basso testimonia una possibile influenza della stratosfera sul tempo delle medie latitudini in bassa troposfera.

Si noti la propagazione dello Stratcooling di inizio marzo fino ai piani più bassi della troposfera, con le conseguenze sul tempo osservate nella prima parte del mese: tempo stabile e temperature ben oltre la norma sull’Italia.

Un altro indice che ci fornisce un’idea precisa sulla forza del Vortice Polare è l’AO (Artic Oscillation). Nell’inverno appena passato, coerentemente con il NAM, l’AO index è rimasto negativo fin quasi a fine febbraio, per poi virare in positivo.

Si notino i picchi sia in negativo (-5 sigma a febbraio) che positivi in marzo, con una prima influenza stratosferica sul jet stream che ha portato il picco di AO oltre i +5 sigma il 13 marzo e un secondo picco a + 4 sigma intorno al 23 marzo.

Tra i due picchi di AO positiva della seconda metà di marzo, invece, si colloca il valore di AO intorno alla neutralità di metà mese, a cui è stato associato il colpo di coda invernale che ha investito mezza Europa, Italia compresa, nei giorni a cavallo dell’equinozio di primavera (20 marzo): un’irruzione artica in grande stile, che ha riportato le temperature fino a 6-7 gradi sotto la norma, gelate tardive al Nord e neve fino a bassa quota lungo l’Appennino centro-meridionale.

Si noti la “lingua” di aria molto fredda alla quota di 850 hPa (fino a – 5 / -10 °C a circa 1500 m) che, tra il 20 e il 21 marzo, si propaga dagli Urali fino al cuore del mar Mediterraneo (fonte: wetterzentrale.de)

Quanto sta accadendo in questi giorni, invece, è figlio del nuovo ricompattamento del Vortice Polare, che tende a contenere la massa d’aria fredda al suo interno e al di sopra dei 60° di latitudine, mentre dalle basse latitudini si espande prepotentemente l’alta pressione di matrice sub-tropicale, con gli effetti che abbiamo appena osservato: tempo stabile e caldo anomalo su mezza Europa e sul nostro Stivale e un’anomalia termica di 8-10 °C, che ci regala temperature tipiche dell’inizio dell’estate.

Si noti la marcata anomalia termica positiva prevista in Europa dal modello ECMWF tra fine marzo e inizio aprile (fonte: ECMWF).

Il colpo di coda invernale del 20 marzo è in qualche modo legato ai primi effetti “ad intermittenza” del Final Warming che, secondo le attuali proiezioni modellistiche a lungo termine, dovrebbe manifestarsi con maggiore evidenza durante il mese di aprile e con conseguenze sul tempo a scala emisferica che potrebbero perpetuarsi fino ai primi di maggio.

Cosa dobbiamo aspettarci per aprile – inizio maggio?

La situazione attuale vede – lo abbiamo detto – un Vortice Polare stratosferico forte, con velocità dei venti zonali (westerlies) in alta stratosfera ben oltre la climatologia. Inoltre, il Vortice è ora centrato sopra la verticale del Polo Nord, di forma più circolare e ciò mantiene imbrigliato il freddo alle alte latitudini. Non a caso, stiamo sperimentando una settimana – questa di Pasqua – di caldo anomalo in mezza Europa, con temperature fino 10-12 gradi oltre la norma e un clima tipico del mese di giugno-luglio.

Temperature massime registrate Oltralpe mercoledì 31 marzo. Spiccano i 27 gradi di Colonia, i 26 di Parigi e i 25 di Eindhoven (fonte: meteociel.fr)

Tuttavia, le previsioni d’ensemble mostrano un graduale quanto fisiologico indebolimento stagionale dei venti zonali (westerlies) durante il mese di aprile, con velocità destinate a cambiare segno (e a divenire easterlies) tra la seconda metà di aprile e l’inizio di maggio.

Velocità media dei venti zonali prevista fino ai primi di maggio alla quota di 10 hPa (circa 30 Km) sopra la verticale del Polo Nord (fonte: JMA)

Nel frattempo, sulla verticale della stratosfera polare (a circa 30 Km di quota) le temperature, dopo il raffreddamento di questi giorni, tornano progressivamente a salire: il nuovo riscaldamento stratosferico e le velocità zonali che cambiano di segno sono compatibili con l’ultimo Stratwarming della stagione o Final Warming.

Durante il Final Warming la circolazione da ovest verso est in Stratosfera si inverte e si genera un anticiclone polare stratosferico. In pratica, il Vortice Polare stratosferico scompare, una situazione che resta poi immutata fino all’autunno quando tenderà a riformarsi, a causa dell’altrettanto fisiologico raffreddamento radiativo.

Solo con i FW di tipo dinamico si può verificare una propagazione di ciò che avviene ai “piani alti” dell’atmosfera verso i “piani bassi”, andando così ad inficiare sulla circolazione delle medie latitudini, con un riversamento dell’aria fredda di estrazione artica verso sud, grazie alla formazione di un potente anticiclone di blocco tra l’Atlantico settentrionale e la Groenlandia.

Secondo la statistica, durante gli inverni con stratwarming è più probabile che il Final Warming sia tardivo, dopo il 15 aprile. Il motivo deriva dal fatto che negli inverni caratterizzati da stratwarming il Vortice Polare ci impiega più tempo per riformarsi. Dunque, vi sono i presupposti perché l’evoluzione del tempo per la seconda parte di aprile e per l’inizio di maggio possa rivelarsi ancora molto turbolenta e con occasione per altri episodi di maltempo di stampo tardo invernale sul Vecchio Continente. Temperature inferiori alla norma e precipitazioni superiori alla media si potrebbero osservare in parte anche sull’Italia, con una maggiore probabilità per le regioni centro-settentrionali.

Dall’estate all’inverno in pochi giorni

E’ ancora prematuro poter dire se questo Final Warming sarà di tipo radiativo o dinamico: quello che ormai sembra quasi certo è che i segnali di una modifica della circolazione atmosferica a scala sinottica (europea) si avvertiranno già a partire dal ponte pasquale. Ma il colpo di scena arriverà nella prima settimana di aprile, con il ritorno dell’inverno pieno in Europa.
I modelli a nostra disposizione, infatti, confermano ben due irruzioni di aria fredda di origine artica, molto ravvicinate tra loro.

La prima, tra sabato 3 e domenica 4, si propagherà dall’Europa settentrionale verso quella orientale e balcanica, con marginale interessamento dell’Europa centrale e dell’Italia.

La seconda, in propagazione a quasi tutto il nostro continente tra lunedì 5 e giovedì 8, molto più intensa della precedente: investirà dapprima l’Europa occidentale e centrale, successivamente anche l’Europa orientale, l’Italia, il cuore del mar Mediterraneo e il nord della Penisola iberica.

Media d’ensemble del modello ECMWF: T a 850 hPa (circa 1500 m) prevista per le ore 2 di mercoledì 7 (fonte: meteociel.fr).

In questa seconda ondata esiste il rischio concreto di neve fino a quote di pianura in vaste aree del continente, con maggiore intensità tra Germania, Svizzera, Austria, comparto alpino (fino al fondovalle) e Balcani occidentali. In Italia rischio neve fino a quote basse per il periodo (anche ben sotto i 1000 m) sul versante meridionale delle Alpi e sull’Appennino-centro-settentrionale.

Insomma, nel giro di una settimana si passerebbe da valori di 8-10 gradi oltre la norma a valori fino a 6-8 gradi inferiori alla media stagionale: potremmo definirlo un secondo è più rilevante colpo di coda dell’inverno su almeno tre quarti di Europa, destinato ad attenuarsi solo dopo il 12 di aprile.

Al di là del freddo, che in questo periodo dell’anno può solo fare danni, se consideriamo le precipitazioni nevose attese fino a bassa quota e le gelate tardive fino a quote di pianura, auguriamoci che la fase turbolenta all’orizzonte possa interrompere la lunga fase siccitosa che attanaglia le regioni del Nord Italia ormai da quasi due mesi.
Le oscillazioni brutali del tempo e del clima che abbiamo osservato sino ad oggi e che ancora osserveremo nel prossimo futuro non sono altro che la tragica conseguenza di un cambiamento climatico ormai galoppante e alla massima potenza espressiva.

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Circolazione atmosferica sull’Italia: l’analisi dell’inverno 2020/21 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/circolazione-atmosferica-sullitalia-lanalisi-dellinverno-2020-21/ Tue, 09 Mar 2021 07:04:00 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/circolazione-atmosferica-sullitalia-lanalisi-dellinverno-2020-21/ Lo studio dei cambiamenti climatici e l’analisi delle relazioni che intercorrono tra la circolazione atmosferica su larga scala e le diverse variabili ambientali trovano spesso come valido ausilio la classificazione delle varie situazioni atmosferiche in un numero definito di “Tipi di Circolazione”. Come abbiamo visto nei precedenti report, la classificazione dei tipi di circolazione atmosferica, …

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Lo studio dei cambiamenti climatici e l’analisi delle relazioni che intercorrono tra la circolazione atmosferica su larga scala e le diverse variabili ambientali trovano spesso come valido ausilio la classificazione delle varie situazioni atmosferiche in un numero definito di “Tipi di Circolazione”.

Come abbiamo visto nei precedenti report, la classificazione dei tipi di circolazione atmosferica, spesso definita “weather typing”, è realizzata mediante l’impiego di lunghe serie storiche di dati grigliati di analisi, cioè simulazioni delle stato dell’atmosfera prodotte da un modello, trattate con tecniche che prevedono una fase di apprendimento e una successiva fase di riconoscimento dei pattern di circolazione.

Una tecnica ampiamente utilizzata è la SOM (Self Organizing Map) o Mappa di Kohonen, un algoritmo che realizza una rete neurale molto efficiente nella gestione di grandi quantità di dati, il cui processo di apprendimento, non supervisionato, simula quello del cervello umano.

Immagine Pixabay

Meteo Expert da diversi anni studia la circolazione atmosferica sull’Europa centro-meridionale anche mediante il “weather typing”, aggiornando la serie storica dei dodici tipi di circolazione giornalieri identificati da SOM a partire dal 2005. Tale attività rende possibile, ad esempio, l’analisi dei trend e delle anomalie della frequenza di occorrenza dei dodici tipi di circolazione, la verifica dell’abilità dei modelli operativi a prevederne la variabilità, lo studio delle correlazioni tra tipi di circolazione e qualità della previsione di alcune variabili meteorologiche, come temperatura e precipitazioni.

La figura 1 mostra la configurazione della pressione al livello del mare associata a ciascun tipo di circolazione (TC), in base alla quale sono stati assegnati i nomi riportati nella tabella 1.

Fig. 1 – Pressione al livello del mare di ciascun Tipo di Circolazione (TC) identificato da SOM. Per semplicità, non sono mostrati anche gli altri campi utilizzati per l’addestramento della rete neurale: geopotenziale a 700 e 500 hPa, temperatura a 850 hPa, umidità specifica a 700 hPa. I dati sono standardizzati. I colori dal verde al rosso rappresentano valori positivi (“alta pressione”), i colori dal grigio al blu i valori negativi (“bassa pressione”).

 

Vediamo ora i risultati di una parte di questa analisi operativa, con un breve report di quanto rilevato nel corso dell’inverno meteorologico appena concluso, quindi dal primo dicembre 2020 al 28 febbraio 2021.

Tipi di circolazione atmosferica:  variabilità, frequenza, anomalie e trend

“Che sorprese ci riserverà l’inverno 2020/2021? TC9 Anticiclone di blocco si rivelerà ancora il protagonista principale, visto che l’inverno è la “sua” stagione? o seguirà il trend degli ultimi anni, lasciando il passo, insieme a TC1 Maestrale, al sempre più presente TC11 Anticiclone Nordafricano?”

Con questi quesiti abbiamo concluso l’analisi della circolazione atmosferica dell’autunno 2020. Ora, con l’aiuto della Tabella 1, che riporta il numero di giorni di presenza invernale dei dodici  TC identificati da SOM, possiamo rispondere, e la risposta conferma il trend degli ultimi anni: TC9 Anticiclone di blocco, associato a temperature rigide, tempo instabile al Sud e sulle regioni del Medio Adriatico e cieli limpidi al Nord, è stato il grande protagonista dell’inverno appena concluso, ma non per la sua elevata frequenza, bensì per la sua straordinaria assenza! Al contrario, TC11 Anticiclone Nordafricano, con tempo ovunque mite e stabile, anche se spesso nebbioso, è stato una presenza frequente, unitamente a TC12 Depressione iberica, anch’esso caratterizzato da alta pressione di origine africana sul Mediterraneo, ma in fase di indebolimento sui settori occidentali e sul Nord Italia.

Tab.1 – Nome dei dodici Tipi di Circolazione (TC) identificati da SOM sul dominio 35°- 52°N, 3°W – 24°E (Europa centro-meridionale) e numero di giorni di presenza di ciascuno dal primo dicembre 2020 al 28 febbraio 2021.

Come mostrato dalla figura 2, TC11 Anticiclone Nordafricano e TC12 Depressione Iberica sono stati i protagonisti delle pochissime finestre di bel tempo dei mesi di dicembre e gennaio, e anche del prolungato periodo di tempo soleggiato e particolarmente caldo della seconda metà di febbraio. La tabella 1 e la figura 2 evidenziano anche l’elevata frequenza dei “caldi” TC8 – Scirocco e TC4 Depressione Ligure, insieme responsabili delle condizioni meteorologiche avverse che hanno colpito l’Italia soprattutto nella prima parte di dicembre e, con straordinaria persistenza (TC4 mai così persistente negli ultimi sedici anni), anche di gennaio.

Fig. 2 – Sequenza temporale dei tipi di circolazione (TC) nel corso dell’inverno 2020/21

Non sono mancate le irruzioni di aria più fredda, atlantica, sia da medie latitudini (TC3 Depressione Padana e TC2 Depressione Egeo), sia da alte latitudini (TC1 Maestrale) ma, soprattutto in quest’ultimo caso, gli episodi importanti sono stati solo quattro, l’ultimo l’11 febbraio, subito seguito dalla discesa di aria polare, sfociata nell’Adriatico e dilagata in tutto il Mediterraneo centrale, in questa fase ben rappresentata dalla timida (e quasi unica) comparsa di TC9 Anticiclone di blocco.

Il grafico dell’anomalia del numero di giorni di presenza dei dodici TC nell’inverno 2020/21 (figura 3) non può quindi che evidenziare l’importante latitanza delle irruzioni di aria gelida nordorientale associate a TC9 Anticiclone di blocco, con ben due settimane di presenza in meno rispetto alla media dei sedici anni precedenti e, seppur in forma molto più contenuta, anche delle irruzioni di aria artica, associate prevalentemente a TC1 Maestrale. Al contrario, sono risultate in eccesso molte situazioni caratterizzate dallo scorrimento sul nostro Paese di aria relativamente mite proveniente dai quadranti meridionali, in particolare il perturbato TC4 – Depressione Ligure e le due configurazioni anticicloniche di matrice africana, TC11 Anticiclone Nordafricano e TC12 Depressione Iberica.

Fig. 3 – Anomalia del numero di giorni di presenza di ciascun tipo di circolazione (TC) nell’inverno 2020/21 rispetto alle stagioni invernali dal 2004/05 al 2019/20.

La prima stagione del 2021 va dunque a confermare, e in parte a rafforzare, il trend invernale degli ultimi anni (figura 4), che vede un progressivo passaggio di testimone tra tipi di circolazione legati all’afflusso di aria fredda da alte latitudini, soprattutto di origine continentale, e tipi di circolazione a prevalente componente anticiclonica, associati a masse d’aria calda di origine subtropicale.

Fig. 4 – Linee di tendenza lineare del numero di giorni di presenza di alcuni tipi di circolazione (TC) nelle stagioni invernali dal 2004/05 al 2020/21.

Tipi di circolazione atmosferica:  performance dei modelli di previsione meteorologica

L’abilità del modello globale europeo (ECMWF) e di quello americano (GFS) a prevedere i dodici tipi di circolazione atmosferica è mostrata nella figura 5, che riporta l’indice di qualità medio per le previsioni fino al terzo giorno di previsione (da +24 a +72 ore) e dal quarto al settimo giorno di previsione (da +96 a +168 ore). Entrambi i modelli hanno dimostrato grande abilità a prevedere quasi tutte le situazioni, anche nei momenti più critici di notevole variabilità. In particolare, GFS è stato mediamente più affidabile del modello europeo nel breve termine, sfiorando la perfezione in occasione di TC1 Maestrale, TC4 Depressione Ligure, TC11 Anticiclone Nordafricano e TC12 Depressione Iberica. Il modello europeo è stato invece molto più abile a prevedere le più intense irruzioni fredde con diversi giorni di anticipo, cogliendo con tempismo e dinamica perfette l’episodio di metà febbraio, come abbiamo visto il più intenso di tutto l’inverno e praticamente l’unico associato all’irruzione nell’Adriatico di aria gelida continentale proveniente da nordest.

Fig. 5 – Qualità della previsione del tipo di circolazione per il modello ECMWF (linea rossa) e il modello GFS (linea blu), per i primi tre giorni di previsione (grafico a sinistra) e per i successivi quattro giorni (grafico a destra). L’indice di qualità è attenuto mediante la misura dell’entità delle differenze tra le configurazioni osservate e quelle previste, ed è espressione di quanto la previsione del modello si allontana dalla condizione di errore massimo possibile.

 

Quali sorprese porterà la primavera (meteorologica) da poco iniziata?

Dopo la clamorosa assenza invernale, TC9 Anticiclone di blocco tornerà in scena con prepotenza, dominando la circolazione atmosferica come accaduto l’anno scorso? O lascerà spazio ai perturbati TC4 Depressione Ligure e TC8 Scirocco, tipici delle stagioni intermedie e grandi protagonisti della perturbata primavera 2018?

Quante volte potremo rivedere ancora TC1 Maestrale, sempre più raro in tutte le stagioni, tranne in primavera?

Lo scopriremo con il prossimo report!

 

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Circolazione atmosferica sull’Italia: analisi dell’autunno 2020

 

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L’impatto del cambiamento climatico sulle piogge monsoniche https://www.iconameteo.it/news/notizie-mondo/limpatto-del-cambiamento-climatico-sulle-piogge-monsoniche/ Tue, 02 Mar 2021 13:43:41 +0000 https://www.iconameteo.it/news/notizie-mondo/limpatto-del-cambiamento-climatico-sulle-piogge-monsoniche/ Sul numero di gennaio del Bullettin of the American Meteorological Society è stato pubblicato un importante articolo dal titolo “Monsoon Climate Change Assessment” dedicato ai monsoni e all’impatto del cambiamento climatico su di essi. Il lavoro, corredato da una corposa bibliografia scientifica, propone una valutazione (assessment) di tutto quello che oggi  la scienza può dirci sul …

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Sul numero di gennaio del Bullettin of the American Meteorological Society è stato pubblicato un importante articolo dal titolo Monsoon Climate Change Assessment” dedicato ai monsoni e all’impatto del cambiamento climatico su di essi. Il lavoro, corredato da una corposa bibliografia scientifica, propone una valutazione (assessment) di tutto quello che oggi  la scienza può dirci sul recente passato e sul futuro delle piogge monsoniche, mettendo in luce i risultati acquisiti e le incertezze che rimangono.

Figura 1: schema circolatorio del monsone estivo. Fonte: https://climate.ncsu.edu/edu/Monsoons – traduzione IconaClima

Le piogge monsoniche influenzano numerose aree del globo ed esercitano un sostanziale impatto economico e sociale su circa due terzi della popolazione mondiale: nelle aree interessate da una circolazione di tipo monsonico si osserva tipicamente una stagione molto piovosa seguita da una stagione secca, con un’inversione totale della circolazione dei venti da un semestre all’altro. I monsoni hanno origine dal riscaldamento differente delle terre emerse rispetto a quello della superficie oceanica e la loro dinamica, a livello basico, è relativamente semplice da comprendere: sono di fatto gigantesche circolazioni di brezza mosse dal contrasto termico terra-mare. Durante la stagione calda la terraferma si scalda molto più intensamente rispetto al mare e sopra di essa si sviluppa un’area di bassa pressione la quale richiama correnti umide dall’oceano in direzione del continente, dove tendono a sollevarsi condensando in nubi e precipitazioni. Sull’oceano, relativamente più freddo, nasce una corrente discendente al di sopra di un’area di alta pressione, mentre ad alta quota i venti si muovono dal continente verso l’oceano, chiudendo la circolazione. Durante l’inverno la circolazione si inverte e a basse quote i venti, asciutti e freschi, soffiano dal continente verso l’oceano.

Figura 2: le zone del mondo interessate dai monsoni (immagine da: Endo, H., e A. Kitoh, 2014, https://agupubs.onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1002/2013GL059158)

Le regioni del globo soggette ai monsoni sono numerose (figura 2): fra i più famosi e importanti ricordiamo il monsone indiano, il monsone asiatico-australiano, il monsone nord americano e il monsone dell’Africa occidentale. Probabilmente il pensiero della maggior parte di noi, sentendo il termine “monsone”, va al monsone indiano e, ciò, possiamo scriverlo, a buon ragione. Si tratta infatti di un monsone particolarmente intenso generato dal contrasto termico tra l’Oceano Indiano e l’immenso continente asiatico, un contrasto esaltato dalla presenza della catena montuosa più alta del pianeta e dall’immenso altopiano del Tibet: non è un caso che i luoghi più piovosi della Terra, dove si possono misurare anche 10 metri di pioggia in un anno, si trovino proprio in questa parte del mondo.

Naturalmente la domanda fondamentale a cui gli scienziati cercano risposte è: quale impatto ha avuto e, ancora di più, potrà avere in futuro il cambiamento climatico, indotto dai gas serra, sull’intensità delle piogge monsoniche? Il cambiamento climatico si manifesta in modo evidente con un rialzo delle temperature medie globali, un aumento che sappiamo essere maggiore sulle aree continentali rispetto agli oceani. Questa circostanza è certamente in grado di determinare cambiamenti nella circolazione generale (a grande scala) con ripercussioni sulle circolazioni monsoniche. L’aria più calda, inoltre, può contenere una maggiore quantità di vapore acqueo (secondo la relazione di Clapeyron-Clausius circa il 7% in più per ogni grado) che può condensare e dare origine a piogge più abbondanti (nella realtà esistono fattori termodinamici che limitano la conversione effettiva in pioggia a valori inferiori, circa il 5%). Questo quadro è ulteriormente complicato dal fatto che i monsoni, così come quasi ogni fenomeno meteorologico, sono caratterizzati da una forte variabilità che può manifestarsi anche su scale temporali pluridecennali; tale variabilità può mascherare alcune tendenze di fondo (come la quantità annuale media di pioggia) rendendo difficili le analisi di attribuzione e ciò vale sia per le serie di osservazioni, sia per gli output modellistici. Tra le cause che possono influire sulla variabilità dei monsoni ci sono le cosiddette “oscillazioni” oceaniche, di cui la IPO (Interdecadal Pacific oscillation) è un esempio (un oscillazione con un periodo di 15-30 anni che vede alternarsi anomalie di acque calde o fredde fra i tropici e le latitudini medio alte). E’ assai utile ricordare che nel recente passato gli anni dal 1950 al 1980 hanno visto una riduzione delle piogge monsoniche sulla terraferma su tutto l’emisfero settentrionale, a cui ha fatto seguito una ripresa dopo gli anni ottanta. La spiegazione ritenuta più attendibile per motivare questo andamento chiama in causa gli aerosols di origine antropica (in particolare quelli contenenti composti dello zolfo e responsabili del fenomeno delle cosiddette “piogge acide”) insieme agli aerosols di origine vulcanica. Gli aerosols disperdono la radiazione incidente riscaldando l’atmosfera e rinfrescando la superficie; inoltre influenzano direttamente la formazione e la composizione delle nubi e di conseguenza le precipitazioni. A seguito delle misure anti inquinamento introdotte negli ultimi decenni le concentrazioni degli aerosols sono molto diminuite e pertanto si ritiene che oggi stia emergendo il segnale di fondo dell’andamento a lungo termine delle piogge, quello associato all’aumento della concentrazione dei gas serra.

Figura 3. Variazione della precipitazione annuale media (espressa in mm/giorno). La variazione è prevista per il periodo 2065-99 nello scenario SSP2-4.5 relativamente al periodo 1979-2013. Immagine tratta da: https://journals.ametsoc.org/view/journals/bams/102/1/BAMS-D-19-0335.1.xml

Prima di esaminare brevemente ai risultati più significativi, ricordiamo che la maggior parte di questi si basano sullo studio dei dati del passato e sull’analisi delle simulazioni fornite dai modelli del clima. Gran parte della letteratura recente ha utilizzato i prodotti del progetto CMIP5 (Coupled Model Intercomparison Project 5), ma ultimamente stanno uscendo anche le prime analisi basate sul CMIP6, che utilizza modelli di nuova generazione. I modelli climatici usati nel CMIP6 hanno mostrato di possedere una maggiore sensibilità climatica (non è una buona notizia: significa che il clima potrà rispondere più intensamente alle forzanti antropogeniche) e tale sensibilità si ripercuote anche nella simulazione delle precipitazioni. Tuttavia, sebbene migliorati, anche i nuovi modelli condividono con i precedenti “errori comuni e grandi differenze nei risultati tra di essi (large intermodal spread)”.

Il risultato più robusto (“high confidence” nel gergo scientifico) che mette in accordo tutte le proiezioni è l’aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi estremi, sia sulla scala temporale dei giorni che in quella delle ore. L’incremento delle piogge più intense è dovuto in gran parte all’aumentata disponibilità di vapore acqueo a disposizione durante gli episodi a carattere convettivo, come accennato nell’introduzione. Il rapporto sottolinea che l’estremizzazione potrà essere favorita anche dalla crescente urbanizzazione che si osserva in alcune delle aree del pianeta influenzate dai monsoni. Come sappiamo le città sono contraddistinte dal fenomeno dellisola di calore urbana che secondo molti studi influisce, oltre che sulle temperature, anche sulla intensità e sulla distribuzione delle piogge. Una conseguenza che a prima vista può apparire paradossale è che l’aumento degli episodi piovosi estremi sarà associato anche ad una crescita del rischio di siccità: questo perché gli eventi piovosi saranno intervallati da lunghi periodi asciutti, durante i quali le alte temperature favoriscono un’intensa evapotraspirazione, e da una diminuzione delle piogge di debole/moderata intensità.

Per quanto riguarda la quantità media di pioggia annuale le proiezioni modellistiche disegnano uno scenario più variegato e, come sottolineato, reso più incerto dalla forte variabilità interna del sistema climatico. L’andamento medio della piovosità è meno legato, rispetto agli episodi estremi, alla relazione di Clapeyon-Clausius e maggiormente influenzato dalle variazioni della circolazione atmosferica. Per di più i modelli mostrano un risultato che, stante il maggior contrasto termico terra-mare, appare del tutto contro intuitivo e cioè che l’intensità delle circolazioni monsoniche in un mondo più caldo tende complessivamente a diminuire, una circostanza ancora poco compresa ma che potrebbe trovare spiegazione nel diverso tasso di riscaldamento tra i due emisferi. In generale le piogge monsoniche sono previste in crescita nell’emisfero settentrionale, con la sola eccezione del monsone nord americano (comportamento spiegato dalle variazioni di temperatura attese sul vicino Oceano Pacifico), mentre sono previsti pochi cambiamenti nell’emisfero australe. Le diverse regioni del globo risponderanno in modo diverso alle forzanti climatiche antropogeniche, ma nel caso del monsoni dell’Asia orientale e del monsone indiano la crescita della precipitazione media è considerata probabile (high confidence). Inoltre, in generale, la stagione delle piogge monsoniche nell’emisfero settentrionale diverrà più lunga a causa di una cessazione più tardiva.

 

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Scoperto legame fra ondate di freddo estremo e cambiamenti climatici https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/scoperto-legame-fra-ondate-di-freddo-estremo-e-cambiamenti-climatici/ Mon, 18 Jan 2021 11:24:10 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/scoperto-legame-fra-ondate-di-freddo-estremo-e-cambiamenti-climatici/ Nell’approfondimento Stratwarming Major gennaio 2021: come proseguirà l’inverno? il nostro meteorologo Rino Cutuli ha descritto la natura, le possibili cause e le conseguenze del fenomeno dello Stratospheric Warming, il riscaldamento sopra l’Artico dello strato di atmosfera compreso fra i 10 e i 50 km di altezza (stratosfera). Tale complesso fenomeno atmosferico non è di poco conto …

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Nell’approfondimento Stratwarming Major gennaio 2021: come proseguirà l’inverno? il nostro meteorologo Rino Cutuli ha descritto la natura, le possibili cause e le conseguenze del fenomeno dello Stratospheric Warming, il riscaldamento sopra l’Artico dello strato di atmosfera compreso fra i 10 e i 50 km di altezza (stratosfera). Tale complesso fenomeno atmosferico non è di poco conto nel determinare il meteo europeo ed italiano, anzi proprio in questi giorni è causa di un repentino crollo delle temperature sul continente.

Un nuovo studio getta luce sulla relazione del fenomeno con il riscaldamento globale.

In cosa consiste il fenomeno

Come in una gigantesca trottola, in quota (fra i 10 e i 30 km di altezza) intorno al polo soffiano costantemente forti venti diretti da ovest verso est, che intrappolano l’aria gelida di tali latitudini. Si parla di Vortice Polare. Esso è sostenuto e generato proprio dal gradiente di temperatura fra l’aria al polo e quella a più basse latitudini.

In soli 15 giorni, a ridosso di Capodanno 2021, si è verificato un veloce riscaldamento da -70°C a -20°C dell’aria in quota all’interno di questo vortice, un episodio appunto di Stratwarming. Ne è risultato il collasso – nello specifico l’inversione della direzione del vento – del Vortice Polare stesso. Quando ciò avviene l’aria fredda originariamente contenuta nel vortice si sposta verso latitudini più basse, formando due vortici più piccoli o mantenendo un unico vortice ma non più intorno al Polo. Nei giorni scorsi, parte di tale aria fredda si è posizionata sopra la Siberia e si è allungata verso l’Europa. Quando questo sconvolgimento in quota si è propagato negli strati più bassi, ha causato un drastico calo delle temperature accompagnato da precipitazioni nevose.

Temperatura a circa 30 km di altezza durante il picco di riscaldamento della stratosfera polare il 5 gennaio. Si nota la presenza di aria relativamente calda sopra l’Artico e fredda sopra l’Europa. Fonte: NOAA

Le cause

L’estrema complessità di questo fenomeno ha fatto sì che fino ad ora si conoscessero solo in parte le cause del suo manifestarsi e non fosse possibile prevederne l’accadimento. Ad oggi è noto che gli eventi di Stratwarming sono influenzati da riduzioni nell’estensione dei ghiacci artici, da violente precipitazioni tropicali e da altri eventi climatici. Si ritiene che sia la rottura delle onde planetarie (ondulazioni del moto dell’aria nel vortice polare stesso) a permettere il propagarsi di calore dalla troposfera (parte dell’atmosfera a diretto contatto con la superficie terrestre) alla stratosfera.

Il nuovo studio

Lo studio in questione è stato condotto dall’Università di Milano Bicocca in collaborazione con l’Università di Harvard e pubblicato su “Nature Climate Change”. Tramite modelli climatici, gli scienziati hanno riprodotto il comportamento degli episodi di Stratospheric Warming in un clima molto più caldo di quello odierno (uno scenario “business as usual” al 2300), confrontandolo con il comportamento nel recente passato.

Una nuova “condizione anticipatrice”

Nel clima caldo lo Stratwarming risulta essere preceduto in troposfera da una pronunciata alta pressione sulla Siberia e bassa pressione sul Pacifico settentrionale. Più semplicemente, acque particolarmente calde sulla superficie del Pacifico settentrionale riscalderebbero aria fredda proveniente dalla Siberia favorendone la risalita, così da scaldare la stratosfera. Tale connessione è invece assente nel clima del recente passato. Gli schemi di pressione in superficie potrebbero dunque essere usati in un clima più caldo per prevedere lo stato del vortice stratosferico.

Stratwarming e cambiamenti climatici

Il paper chiarisce anche le motivazioni del cambiamento delle interazioni troposfera-stratosfera in un clima più caldo. Nelle simulazioni effettuate, infatti, per osservare le variazioni descritte è stato sufficiente soltanto aumentare la temperatura media delle acque superficiali del Pacifico settentrionale. Tali variazioni sarebbero quindi dovute al maggiore riscaldamento di queste acque rispetto a quelle superficiali dell’Atlantico settentrionale.

Nell’Atlantico del nord, infatti, il cambiamento climatico sta determinando il rallentamento della Atlantic Meridional Overturning Circulation (AMOC). Tale circolazione oceanica porta acque calde verso l’Artico e acque più fredde verso le basse latitudini. Il suo rallentamento riduce l’apporto di acque calde alla superficie dell’Atlantico settentrionale, determinando un riscaldamento minore rispetto a quello che interessa e interesserà le analoghe acque del Pacifico.

freddo
Particolare semplificato della AMOC. Acqua calda in rosso, fredda in blu. Fonte: UNEP/GRID-Arendal

Il meccanismo descritto potrebbe dunque legare il riscaldamento globale con l’aumento osservato degli episodi di freddo estremo alle medie latitudini nell’inverno boreale.

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Stratwarming Major gennaio 2021: come proseguirà l’inverno? https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/stratwarming-major-gennaio-2021-come-proseguira-linverno/ Tue, 12 Jan 2021 15:17:53 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/stratwarming-major-gennaio-2021-come-proseguira-linverno/ Prima di addentrarci in uno tra gli argomenti più complessi, ma anche tra i più affascinanti della meteorologia e della fisica dell’atmosfera, è doveroso fare un’importante precisazione: l’eccezionale nevicata che ha investito la Spagna e la città di Madrid la scorsa settimana non ha nulla a che vedere con gli avvenimenti di questi giorni in …

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Prima di addentrarci in uno tra gli argomenti più complessi, ma anche tra i più affascinanti della meteorologia e della fisica dell’atmosfera, è doveroso fare un’importante precisazione: l’eccezionale nevicata che ha investito la Spagna e la città di Madrid la scorsa settimana non ha nulla a che vedere con gli avvenimenti di questi giorni in stratosfera e di cui parleremo meglio a breve. Le eventuali ripercussioni di ciò che accade a circa 25-30 Km di altezza fino alla bassa troposfera si verificano con un ritardo temporale di circa 10-15 giorni quindi, nel caso specifico, intorno al 15-20 gennaio (se consideriamo che il picco massimo di riscaldamento in stratosfera è stato raggiunto il 5 gennaio).

Un’altra interessante considerazione: quanto sta succedendo in questa prima parte dell’inverno a livello atmosferico e di circolazione generale dell’atmosfera nell’emisfero settentrionale è esattamente l’opposto di quanto vissuto lo scorso inverno, quando la stagione fu dichiarata ufficialmente “assente” su tutto il continente europeo e sull’Italia, a causa di un vortice polare molto intenso e persistente nel periodo compreso tra fine novembre e fine febbraio.

Quest’anno abbiamo un vortice polare molto più debole, a causa proprio di questo fenomeno in atto, chiamato Stratwarming.

Come avrete certamente capito, a segnare le sorti dell’inverno su scala emisferica, quindi anche in Europa e in Italia, ogni anno, è il comportamento del vortice polare: una grande circolazione di bassa pressione in quota, una vera e propria trottola con moto circolare in senso antiorario, colma di aria molto fredda al suo interno, che staziona in modo semi-permanente sopra la verticale del Polo Nord, tra la parte alta della troposfera e la media stratosfera, ad una quota media compresa tra i 10 e 30 Km circa. Una struttura che tende ad approfondirsi durante l’inverno in corrispondenza di un maggior raffreddamento di tutta la colonna atmosferica interessata, a partire dalle zone artiche circostanti, per effetto della minima radiazione solare in ingresso nell’atmosfera terrestre a quelle latitudini, che porta l’aria a muoversi molto velocemente lungo tutta la circonferenza della Terra da ovest verso est (venti zonali o westerlies). Più forte è il vortice polare, più intensamente corrono i venti occidentali al suo interno.

Ecco lo stato del vortice polare lo scorso 20 dicembre:

In corrispondenza dell’area viola sulla mappa, la temperatura registra valori intorno ai -70 gradi a 10 hPa, ovvero a circa 30 km di altezza sopra la verticale del Polo Nord.

La figura che segue mostra l’andamento medio annuale della temperatura alla stessa quota, tra 60 e 90 °di latitudine: si noti il forte raffreddamento nel periodo compreso tra novembre e inizio gennaio quando il termometro scende fino a -70 °C (200 K).

Il 5 di gennaio, pochi giorni fa dunque, alla medesima quota e sempre sopra la verticale del Polo Nord, la temperatura sale fino a circa – 20 °C: un riscaldamento di + 50 °C  in soli 15 giorni!

Un evento simile prende il nome di Stratwarming.

 

Che cos’è allora lo Stratwarming?

Si tratta di un riscaldamento anomalo e sensibile della stratosfera terrestre, lo strato di atmosfera sopra i 12-15 km. Non si verificano tutti gli anni e solo alcuni sono significativi perché possono determinare variazioni meteo-climatiche anche rilevanti. Di solito si tratta di un riscaldamento improvviso, per questo si parla anche di Sudden Stratospheric Warming (SSW): ovvero un riscaldamento rapido dell’atmosfera (fino a 50 °C nel giro di alcuni giorni), tra 10 e 50 Km sopra la superficie terrestre, che pertanto noi abitanti del pianeta Terra non avvertiamo, ma di cui possiamo iniziare a vederne gli eventuali effetti dopo un paio di settimane.

La conseguenza immediata di questo marcato riscaldamento è un indebolimento del vortice polare: in altre parole, la trottola comincia a rallentare. I venti occidentali diminuiscono notevolmente la loro intensità di flusso fino ad arrivare a zero (0 m/s). Il vortice polare collassa, mentre l’aria fredda al suo interno inizia a scendere di quota, raffreddando gli strati atmosferici sottostanti.

A seconda della sua intensità lo stratwarming può essere Major o Minor.

Quelli di tipo Major sono i più intensi e sono quelli che possono causare importanti variazioni delle condizioni meteorologiche a scala emisferica. Oltre al forte riscaldamento della stratosfera, questo tipo di riscaldamento si associa ad un inversione di circolazione dei venti in quota (a 10 hPa) alle latitudini polari, a causa di una inversione del gradiente di temperatura, con moto est-ovest (non più ovest-est). In questo caso si può determinare una suddivisione del vortice polare in due lobi (detto anche split del vortice polare) oppure si può verificare un “coricamento” del vortice stesso. In pratica il vortice polare viene “spodestato” dalla sua naturale sede (displacement). Le aree dell’emisfero settentrionale coinvolte dai gelidi lobi del vortice polare sono interessate da rilevanti e ripetute ondate di freddo e neve.

Esempio di Stratwarming Major con split del vortice polare avvenuto nel febbraio del 2018

 

Quelli di tipo Minor portano ad un riscaldamento di circa 30 °C in poco meno di una settimana. Possono essere anche corposi, ma in genere non riescono ad invertire la circolazione dei venti in quota. Possono causare però un’inversione del gradiente di temperatura.

Perché si verifica lo Stratwarming?

Si tratta della domanda più difficile a cui dare una risposta esaustiva: ad oggi la causa non è nota del tutto, anche se è più probabile che il fenomeno sia la conseguenza di un trasporto di calore e di quantità di moto dalla troposfera verso l’alto, attraverso la dissipazione e conseguente rottura delle onde planetarie. Queste onde nascono in seguito ad un maggiore “serpeggiamento” (ondulazione) del jet stream che viaggia in seno al vortice polare, utilizzato dall’atmosfera per appianare gli squilibri termici tra Equatore e Poli, attraverso un trasporto di calore dalle basse verso le alte latitudini. Ad aiutare il getto ad oscillare ci pensa in parte la rugosità della superficie terrestre (montagne, oceani, colline), ma anche la presenza di anomale strutture di alta pressione (come nel caso dell’intenso anticiclone termico che da settimane ormai staziona tra la Siberia e l’Asia centro-orientale), che bloccano il flusso, deviandolo e imprimendone ulteriori oscillazioni. Una volta divenute sufficientemente ampie, queste oscillazioni si rompono (esattamente come fanno le onde che si infrangono sulla spiaggia), liberando calore ed energia che tendono a propagarsi rapidamente verso i piani alti della troposfera e più su fino alla stratosfera, comprimendola e quindi riscaldandola, fino a destabilizzare il vortice polare. In genere sono le onde stazionarie risonanti a produrre questi riscaldamenti.

Non per niente gli stratwarming sono spesso la conseguenza di quello che accade in troposfera: potremmo dire che tutto ha inizio dalla superficie terrestre.

A questo punto bisogna vedere se ciò che avviene in media stratosfera (30 km), a seguito di un input partito dalla troposfera, si propaga nuovamente verso il basso, fino alla media troposfera (5 Km), attraverso il fenomeno chiamato TST event (troposfera-stratosfera-troposfera).

Se questo accade, l’inversione dei venti zonali in stratosfera si manifesterebbe anche in troposfera: ciò comporterebbe l’afflusso di correnti gelide dalla Russia o addirittura dalla Siberia verso il vecchio continente, con conseguenze molto rilevanti in termini di freddo e neve.

Quali le conseguenze di uno Stratwarming sulla stagione invernale?

Un vortice polare “collassato” aumenta sempre di molto le possibilità di irruzioni gelide verso l’Europa e gli stati Uniti continentali, con conseguenze nevose spesso inevitabili. Ma ciò dipende anche dal tipo di schema circolatorio che si viene a creare a scala sinottica.

In alcuni casi gli effetti possono essere ridotti o parzialmente “deviati” e non sentire un grande cambiamento nelle condizioni meteorologiche preesistenti.

L’esempio grafico che segue mostra l’anomalia di temperatura media 0-30 giorni dopo un importante evento di riscaldamento stratosferico. Possiamo vedere i principali effetti di raffreddamento in tutta l’Eurasia e negli Stati Uniti orientali. Si tratta di un quadro medio, combinato tra tutti i principali eventi di riscaldamento conosciuti negli ultimi 40 anni. Quindi i risultati effettivi possono variare da un evento all’altro.

Osservando, invece, le anomalie delle nevicate, si nota una tendenza ad un aumento delle precipitazioni nevose negli Stati Uniti orientali e in Europa.

Dunque, gli eventi di Stratwarming del passato ci insegnano molto in questo senso: un SSW eccezionalmente intenso e rimasto nella memoria di tanti è quello avvenuto nello storico gennaio del 1985, ma ce ne sono stati anche altri che in realtà non hanno avuto conseguenze rilevanti sul tempo dell’Europa e ancor meno dell’Italia.

Quali le prospettive dell’inverno 2020-2021 in Europa e in Italia?

Tornando alla cronaca meteorologica attuale, i primi segnali degli effetti dello Stratwarming sulla circolazione delle medie latitudini vengono ora captati da parte dei modelli numerici nelle loro previsioni dopo metà mese. Il riscaldamento della stratosfera polare è stato ufficializzato il giorno 5 gennaio quando i venti in alta stratosfera  (10 hPa) hanno invertito il loro senso di marcia, spirando da est verso ovest.

Si tratta di un stratwarming major anche se lo split al momento è presente solo alle alte quote (1 hPa e 5 hPa). Tuttavia sembra esserci una certa interferenza della stratosfera sulla troposfera e le previsioni dei centri di calcolo sembrano indirizzati in questa sorta di “comunicazione” dopo il 15 gennaio, con un allungamento del lobo siberiano del vortice polare verso occidente (quindi in parte verso l’Europa) e il consolidamento dell’anticiclone sulla Groenlandia.  Questo comporterebbe una maggiore intensità e durata dell’espansione del freddo continentale verso l’Europa e in parte anche verso il Mediterraneo. Rimangono tuttavia diverse incertezze circa la possibilità di un evento di stratwarming ibrido, a metà strada tra uno split (divisione) ed un displacement (coricamento) del vortice polare: per tale motivo questa evoluzione necessita ancora di conferme, così come le sue conseguenze sul tempo e sul clima a lungo termine, con diverse strade ancora aperte.

In sintesi, ci sono discrete probabilità che, salvo brevi pause, l’attuale fase di dinamicità meteorologica sull’Italia, caratterizzata da anomalie termiche negative (temperature inferiori alla norma) ed episodi perturbati (con il rischio di altre eventi nevosi fino a quote basse) possa proseguire per tutta la seconda parte di gennaio.

A tal proposito, ecco l’anomalia termica prevista dal modello ECMWF per il periodo 11-18 gennaio e per il periodo 18-25 gennaio.

Più in generale possiamo dire che gli stratwarming che si propagano negli effetti dalla stratosfera alla troposfera (come i major di tipo split) sono capaci di prolungare le anomalie termiche e pluviometriche a livello emisferico indotte inizialmente dalla sola circolazione troposferica.

In pratica, gli anticicloni continuano a rimanere alti di latitudine per più tempo, mentre alle medie e basse latitudini resta attiva una circolazione di basse pressioni alimentata da aria fredda. Secondo la statistica, la stratosfera in questi casi può condizionare la troposfera mediamente per 40 giorni, quindi anche per tutto il mese di febbraio.

Presto scopriremo cosa ha deciso per noi la natura.

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Neve e aritmetica: come l’intensità della precipitazione influenza il limite della neve https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/neve-e-aritmetica-come-lintensita-della-precipitazione-influenza-il-limite-della-neve/ Thu, 07 Jan 2021 12:19:38 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/neve-e-aritmetica-come-lintensita-della-precipitazione-influenza-il-limite-della-neve/ La previsione delle nevicate costituisce una vera e propria “croce e delizia” per il meteorologo professionista, così come per i tanti appassionati della neve e degli sport invernali. Anche se esistono definizioni leggermente diverse fra loro il limite delle nevicate indica generalmente la quota oltre la quale la maggior parte della precipitazione cade sottoforma di …

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La previsione delle nevicate costituisce una vera e propria “croce e delizia” per il meteorologo professionista, così come per i tanti appassionati della neve e degli sport invernali. Anche se esistono definizioni leggermente diverse fra loro il limite delle nevicate indica generalmente la quota oltre la quale la maggior parte della precipitazione cade sottoforma di neve. A questa altezza in generale non osserveremo un accumulo di neve al suolo poiché una parte della precipitazione è ancora  pioggia o neve molto bagnata; per osservare uno strato di neve dovremo spostarci verso l’alto di un centinaio di metri circa.

Il limite inferiore fino alla quale si spinge una nevicata dipende dal tipo di massa d’aria entro cui avviene la precipitazione. Nei casi più comuni in Italia lo zero termico (la quota oltre la quale le temperature sono pari a 0°C o negative) si trova ad alcune centinaia o migliaia di metri al di sopra del suolo.

Quando un fiocco di neve scende al di sotto del livello dello zero termico non fonde immediatamente, ma percorre ancora un po’ di strada prima di trasformarsi in pioggia: stimare la lunghezza di questo tragitto è sovente l’aspetto più sfidante della nostra previsione.

I fattori che condizionano questa lunghezza sono principalmente due: l’umidità dell’aria e l’intensità della nevicata. All’inizio di una nevicata la colonna d’aria sottostante allo  zero termico potrebbe non essere satura. In questo caso i cristalli di neve, anziché fondere, iniziano a sublimare (la sublimazione è l’equivalente per il ghiaccio dell’evaporazione per l’acqua) e il processo, che richiede energia, raffredda l’aria circostante fin tanto che essa raggiunge la saturazione (cioè un umidità relativa del 100%), ovvero fino a che la temperatura equivale alla cosiddetta temperatura di bulbo umido. Ecco quindi una prima regola per stimare il limite locale di una nevicata: se la nevicata prende avvio in aria secca osserveremo un graduale abbassamento dello zero termico (e del limite della nevicata) fino a che tutta la colonna d’aria non si sarà umidificata.

Questo effetto sarà tanto maggiore tanto più l’aria è inizialmente secca, ma il fenomeno, per quanto esposto, tenderà a esaurirsi ineluttabilmente (a meno che non si abbia a che fare con precipitazioni estremamente deboli) una volta raggiunta la saturazione dell’aria.

La neve tende a scendere a quote più basse nelle valli più strette. Fonte Arpa Piemonte.

L’intensità e la durata di una precipitazione sono invece i fattori che, tramite l’effetto della fusione, influenzano in modo assai più deciso il limite di una nevicata, come mostriamo a breve con dei semplici calcoli. Capiremo come sia possibile che la neve riesca a cadere abbondantemente anche fino a 1000 m al di sotto del livello dello zero termico, particolarmente nelle vallate più strette, a causa del calore sottratto all’aria dal processo di fusione della neve che la attraversa.

Per questo semplice esercizio immaginiamo una precipitazione di intensità, per definizione moderata, di 4 mm all’ora o, se preferite, di 4 litri per metro quadrato ogni ora. Il termine “moderato” non tragga in inganno, in quanto 4 mm all’ora corrispondono ad un accumulo molto significativo di quasi 100 mm in un giorno. Immaginiamo come semplice ipotesi di lavoro che l’atmosfera sia satura, di trovarci nella parte bassa della troposfera e che il fiocco di neve impieghi 500 m per fondere (un valore arbitrario, ma realistico). La colonna d’aria avente per base un metro quadrato in un’ora verrà quindi attraversata da 4 litri d’acqua (o Kg, che è lo stesso poiché un litro d’acqua pesa un Kg)  che passeranno dallo stato solido a quello liquido assorbendo energia dall’aria stessa. Con una semplice moltiplicazione e conoscendo il valore del calore latente di fusione del ghiaccio troviamo che per fondere 4 kilogrammi di ghiaccio sono necessari 1340 KJ (Kilo Joule) di energia. Questa è l’energia che verrà assorbita dalla nostra colonna d’aria alta 500 m avente per base un metro quadrato.  Questa colonna, ipotizzando di essere nella parte bassa della troposfera, pesa circa 650 Kg (cioè il peso di un metro cubo d’aria, circa 1.3 Kg, moltiplicato per 500). Siamo quasi alla fine. Ad ogni Kg d’aria, in media, il processo di fusione sottrarrà quindi circa 2 kJ di energia (cifra ottenuta dividendo l’energia totale, 1340 KJ, per la massa della colonna d’aria, 650 Kg). A questo punto non resta che calcolare di quanto si abbassa la temperatura assoluta T di questo Kg d’aria ai quali sono stati sottratti circa 2 KJ di energia. Per farlo è sufficiente conoscere il valore del calore specifico dell’aria a pressione costante Cp (esso dipende leggermente dalla T stessa e dal contenuto di umidità, ma per i nostri scopi ciò è del tutto ininfluente) e la relazione che lega la variazione di temperatura dT all’energia assorbita Q:

 dT=Q/Cp

Cp vale circa 1 J/(Kg K) e per questo conto, poiché Q è circa 2KJ, non serve proprio la calcolatrice tascabile: la variazione di temperatura dT equivale a circa 2K!

Grazie a semplici leggi fisiche e all’uso di aritmetica elementare abbiamo mostrato che una precipitazione nevosa moderata che fonde in 500 m di caduta  abbassa la temperatura dell’aria di ben 2 gradi in una sola ora!

Alberi innevati a circa 500 m s.l.m. sulle colline di Como, un centinaio di metri sopra la quota dello zero termico, il giorno 1.1.2021. Foto di Letizia Molinari.

Questo risultato illustra la potenza del raffreddamento da fusione e spiega il fenomeno, regolarmente osservato, del graduale abbassamento del limite delle nevicate quando siano in atto precipitazioni intense e prolungate. Si tratta, si badi, di un risultato ottenuto immaginando una colonna d’aria ideale isolata rispetto all’ambiente circostante e per questo motivo l’effetto è particolarmente efficace nelle vallate alpine più strette circondate da alti rilievi: per cominciare nel fondo di queste valli il volume d’aria da raffreddare è minore; inoltre le alte cime circostanti la vallata impediscono all’aria più mite che scorre in quota di penetrarvi rimescolandosi con quella raffreddata dalla nevicata.

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Circolazione atmosferica sull’Italia: analisi dell’autunno 2020 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/circolazione-atmosferica-sullitalia-analisi-dellautunno-2020/ Tue, 15 Dec 2020 07:28:51 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/circolazione-atmosferica-sullitalia-analisi-dellautunno-2020/ Se una grande quantità di dati prodotti dai modelli numerici di previsione meteorologica viene data in pasto ad una rete neurale artificiale opportunamente addestrata, è possibile identificare e classificare le  principali configurazioni della circolazione atmosferica presenti su una determinata area. Fatto ciò, le applicazioni sono più di una. Il centro meteorologico MeteoExpert, ad esempio,  ha …

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Se una grande quantità di dati prodotti dai modelli numerici di previsione meteorologica viene data in pasto ad una rete neurale artificiale opportunamente addestrata, è possibile identificare e classificare le  principali configurazioni della circolazione atmosferica presenti su una determinata area. Fatto ciò, le applicazioni sono più di una.

Il centro meteorologico MeteoExpert, ad esempio,  ha ricostruito, e continua ad aggiornare, la sequenza giornaliera dei dodici tipi di circolazione atmosferica (TC) identificati sull’Europa centrale e sull’area mediterranea dal 2005 in poi, con il duplice obiettivo di studiare frequenza di occorrenza, trend e anomalie dei TC, e al contempo di valutare l’abilità di diversi modelli a prevederli. A questo scopo è stato creato un Indice di Qualità (IQ) della previsione basato sulla misura della “distanza” (e quindi della “diversità”) tra TC osservato e TC previsto, “distanza” che permette anche di valutare l’entità dell’errore di previsione (errore lieve, errore moderato o errore severo).

Leggi anche: Circolazione atmosferica sull’Italia: un metodo per studiarla e valutare l’abilità dei modelli nel prevederla

Vediamo cosa è accaduto nell’autunno appena concluso

La distribuzione nel corso dell’autunno 2020 di ciascuno dei dodici tipi di circolazione (TC) identificati giornalmente dalla rete neurale artificiale, il nome a loro assegnato in base alla caratteristica circolatoria prevalente, e il numero di giorni di presenza di ciascuno, sono riportati nella figura 1.

Fig. 1 – Sequenza temporale dei TC (grafico) e numero di giorni di occorrenza (tabella) nell’autunno 2020

Con due settimane complessive di presenza, TC9 Anticiclone di blocco è stato il più frequente tipo di circolazione atmosferica della stagione, anche se totalmente assente nel mese di ottobre.

In settembre, con la consueta tendenza alla persistenza (sei giorni consecutivi) e associato al rarissimo TC5 Depressione Ionio, è stato il protagonista dell’intensa e anomala ondata di calore che ha colpito gran parte dell’Italia, e dello sviluppo di un ciclone mediterraneo (TCL – Tropical Like Cyclone) sul Mar Ionio intorno al giorno 18.

Fig.2 – Pressione sul livello del mare associata a TC9 Anticiclone di blocco (a sinistra, A = alta, B = bassa)
Immagine dal satellite il giorno 18 settembre 2020. Sat24.com Eumetsat, Met Office.

In novembre, benché presenza molto più frammentata, TC9 Anticiclone di blocco ha compartecipato, insieme a configurazioni a forte componente anticiclonica come TC10 Anticiclone Afroiberico, TC11 Anticiclone Nordafricano e TC12 Depressione Iberica (per un totale di ben ventitre giorni!), al prolungato periodo di tempo stabile e caldo che ha caratterizzato gran parte di questo mese.

TC3 Depressione Padana e TC2 Depressione Egeo, associati all’afflusso sull’Italia di aria fredda atlantica (TC2 da più alte latitudini rispetto a TC3), sono stati particolarmente frequenti nella prima metà della stagione, responsabili dell’improvviso crollo delle temperature di fine settembre, e delle  ripetute irruzioni di aria fredda a metà ottobre, culminate il 12 del mese, con l’arrivo anche di TC1 Maestrale, assente da quasi tre mesi (vedi figura 3).

Fig.3 –Geopotenziale a 700 hPa associato a TC1 Maestrale (a sinistra, A = alta pressione, B = bassa pressione)
Immagine del satellite del giorno 12 ottobre 2020. Sat24.com Eumetsat/Met Office

A TC8 Scirocco, a volte seguito da TC4 Depressione Ligure, sono associate temperature relativamente elevate e frequenti episodi di maltempo al Centronord,  anche estremo sulle regioni settentrionali, come in occasione dei nubifragi fra Lombardia e Veneto del 22 settembre e degli episodi alluvionali soprattutto in Piemonte nei primi giorni di ottobre. Con vento forte e luna piena TC8 Scirocco può portare acqua alta a Venezia, come sarebbe avvenuto il 3 ottobre se non fosse stato impiegato il MOSE per la prima volta (figura 4).

Fig.4 – Pressione sul livello del mare associata a TC8 Scirocco (a sinistra, A = alta, B = bassa)
Mose in azione. Foto: Comune di Venezia

Come evidenziato dalla figura 5, l’autunno non ha mostrato anomalie rilevanti in termini di frequenza dei pattern di circolazione atmosferica, al contrario di quanto rilevato in primavera con TC9 Anticiclone di blocco, presente per ben due settimane in più rispetto alla media (non mostrato). Come in inverno e in estate, si sono evidenziati solo un leggero eccesso di TC3 Depressione Padana ed un altrettanto lieve difetto di TC1 Maestrale, in linea con il trend degli ultimi anni.

Fig. 5 – Anomalia del numero di giorni di presenza di ciascun TC nell’autunno 2020, rispetto alle stagioni autunnali del periodo 2005-2019.

 

Come hanno previsto l’evoluzione del tempo i modelli di previsione meteorologica?

Analizziamo la performance del modello ad area limitata WRF (Weather Research and Forecasting model, USA), del modello globale europeo ECMWF (European Centre for Medium-Range Weather Forecasts) e del modello globale GFS (Global Forecast System, National Centers for Environmental Prediction, USA).

Come mostrato dalla figura 6, tutti e tre i modelli hanno commesso prevalentemente errori di lieve entità. Solo con le previsioni dal quarto giorno in poi si sono verificati errori moderati in numero apprezzabile. Relativamente rari gli errori severi, presenti però già nelle previsioni per domani. Per tutti i modelli, solo al sesto giorno di previsione il numero di giorni con previsione di TC corretta è stato decisamente inferiore rispetto al numero di casi con previsione errata.

Fig. 6 – Frequenza percentuale di errori di previsione del tipo di circolazione (TC) di lieve (azzurro), moderata (giallo) ed elevata (rosso) severità commessi dai tre modelli nell’autunno 2020, da + 24 ore di previsione (oggi) a +168 ore di previsione (6° giorno).

La figura 7 permette di visualizzare la qualità complessiva della previsione elaborata dai tre modelli analizzati. Si evidenzia l’ottima performance di tutti i modelli fino alla previsione per  dopodomani (+72 ore di previsione), poi un netto peggioramento dei due modelli americani, GFS e WRF, dal 3° giorno al 5° giorno.

Fig. 7 – Performance dei modelli ECMWF, GFS e WRF da +24 ore (oggi) a +168 ore (6° giorno) di previsione per l’autunno 2017.

Quali tipi di circolazione sono stati previsti meglio, e quali peggio?

Come mostrato dalla figura 8, tutti i modelli, specie GFS, hanno avuto notevole difficoltà a prevedere lo sviluppo del raro TC5 Depressione Ionio (osservato solo l’11 e 12 settembre), non solo nel più lungo termine, ma anche con un anticipo di pochi giorni (previsioni per oggi-dopodomani).

Appare inoltre evidente la migliore abilità di ECMWF a prevedere per il più lungo termine (dal 3° giorno in poi) tipi di circolazione “importanti”, cioè associati a maltempo diffuso e  a volte estremo, come TC8 Scirocco e TC4 Depressione Ligure, ma anche una configurazione, TC9 Anticiclone di blocco, che oltre ad essere la più frequente e persistente a livello annuale, è potenzialmente associata ad eventi eccezionali al Sud e sulle regioni del Medio Adriatico, come la formazione del TLC a metà settembre, o il gelo e le nevicate lungo le coste durante l’inverno.

Fig.8 – Performance dei modelli ECMWF (rosso), GFS (blu) e WRF (verde) con la previsioni a breve termine (da oggi a dopodomani, grafico in alto) e con le previsioni a più lungo termine (dal 3° al 6° giorno).

 

Che sorprese ci riserverà l’inverno 2020/2021? TC9 Anticiclone di blocco si rivelerà ancora il protagonista principale, visto che l’inverno è la “sua” stagione? o seguirà il trend degli ultimi anni, lasciando il passo, insieme a TC1 Maestrale, al sempre più presente TC11 Anticiclone Nordafricano? TC8 Scirocco e TC4 Depressione Ligure, perturbata e insistente presenza nei primi giorni di dicembre, lasceranno presto il posto a TC più tipici dell’inverno? Lo scopriremo presto.

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Previsione delle valanghe: “un’arte in mano a poche persone altamente specializzate” https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/previsione-delle-valanghe-unarte-in-mano-a-poche-persone-altamente-specializzate/ Thu, 10 Dec 2020 09:44:09 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/previsione-delle-valanghe-unarte-in-mano-a-poche-persone-altamente-specializzate/ Il forte maltempo portato dal susseguirsi di perturbazioni che hanno investito l’Italia in questa prima decade del mese di dicembre, verrà ricordato anche per le nevicate che hanno imbiancato le pianure di diverse regioni (Piemonte, Lombardia, Emilia, Veneto e Friuli) e, soprattutto, per gli eccezionali accumuli di neve caduta in pochi giorni sulle Alpi. Nei …

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Il forte maltempo portato dal susseguirsi di perturbazioni che hanno investito l’Italia in questa prima decade del mese di dicembre, verrà ricordato anche per le nevicate che hanno imbiancato le pianure di diverse regioni (Piemonte, Lombardia, Emilia, Veneto e Friuli) e, soprattutto, per gli eccezionali accumuli di neve caduta in pochi giorni sulle Alpi. Nei fondovalle e in generale alle basse quote, la neve si è alternata ad alcune fasi con prevalenza di pioggia (o di neve mista a pioggia) a causa di temporanei ma bruschi rialzi dello zero termico determinati dallo Scirocco, che si sono verificati anche sulle Dolomiti e in Friuli, con episodi di pioggia nello scorso fine settimana fin verso i 2000 metri.

Foto: Matteo Leoni

In generale, l’insistenza delle nevicate in alta quota, ci ha regalato panorami di rara bellezza, creando però al contempo notevoli disagi alla circolazione stradale e determinando condizioni favorevoli al distacco delle valanghe, come evidenziato dall’elevato grado di pericolo che compare nei bollettini emessi in questi giorni dagli enti preposti, pubblicati da AINEVA (Associazione Interregionale di coordinamento e documentazione per i problemi inerenti alla neve e alle valanghe). Nel bollettino emesso ieri (mercoledì 9 dicembre) gli esperti hanno valutato un pericolo di grado 4 (Forte) su una scala da 1 a 5, in molti settori delle Alpi centrali e orientali, fino al grado massimo di pericolo 5 (Molto Forte, e a cui si ricorre assai di rado) nelle Alpi Carniche.

Proprio sulle montagne friulane infatti si sono registrati notevoli apporti di neve fresca anche nel corso del ponte dell’Immacolata, con accumuli totali al suolo che superano i 2 metri.

Le abbondanti nevicate e la presenza di strati di neve umida o bagnata sono all’origine dell’elevato grado di pericolo, che può manifestarsi con valanghe spontanee di medie e grandi dimensioni e addirittura con valanghe da slittamento, che coinvolgono cioè l’intero manto nevoso, provocate dall’azione di lubrificazione dell’acqua contenuta negli strati più vicini al suolo, specie nel caso di pendii erbosi.

L’aspetto soffice e candido delle neve fresca che ammanta il paesaggio alpino non deve farci dimenticare che lo spesso manto nevoso è costituito da un insieme di strati di cristalli che si sono depositati al suolo in momenti diversi e in differenti condizioni meteo (temperatura, vento, ecc.). La neve fresca, appena caduta, ha una densità di solito compresa tra 60 e 120 chilogrammi al metro cubo (cioè circa un decimo della densità dell’acqua allo stato liquido); la neve umida o mista a pioggia può invece superare i 300 kg/m3. Un altro elemento da considerare è il vento: se durante una nevicata soffia con forte intensità, la sua azione frantuma i cristalli e li compatta, producendo uno strato con caratteristiche fisiche diverse dagli altri strati preesistenti o che lo ricopriranno successivamente. Inoltre il vento è in grado di trasportare notevoli quantità di neve, modificandone la distribuzione al suolo in base alla sua direzione e alla conformazione orografica, con importanti ripercussioni sulla possibile formazione delle valanghe.

Come abbiamo visto da questi esempi, la valutazione della stabilità del manto nevoso e la previsione delle valanghe è un processo complesso, definito in un recente seminario del Centro Valanghe di Arabba  (e a mio parere molto correttamente) “un’arte in mano a poche persone altamente specializzate”, per la necessità di figure professionali con grande preparazione ed elevata capacità di interpretazione delle situazioni di rischio. Da qui, la necessità di investire nella ricerca e nella preparazione dei giovani che si dedicheranno a questa attività.

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Circolazione atmosferica sull’Italia: un metodo per studiarla e valutare l’abilità dei modelli nel prevederla https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/circolazione-atmosferica-sullitalia-un-metodo-per-studiarla-e-valutare-labilita-dei-modelli-nel-prevederla/ Wed, 09 Dec 2020 14:18:47 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/circolazione-atmosferica-sullitalia-un-metodo-per-studiarla-e-valutare-labilita-dei-modelli-nel-prevederla/ La valutazione della performance dei modelli fisico-matematici di previsione del tempo riveste un ruolo importante nell’ambito delle attività di un centro meteorologico per almeno tre motivi: amministrativi, economici e scientifici. Nel primo caso, l’obiettivo è giustificare, anche finanziariamente,  la necessità di modificare o implementare il sistema di previsione.  Il secondo,  riguarda il contributo che una …

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La valutazione della performance dei modelli fisico-matematici di previsione del tempo riveste un ruolo importante nell’ambito delle attività di un centro meteorologico per almeno tre motivi: amministrativi, economici e scientifici.

Nel primo caso, l’obiettivo è giustificare, anche finanziariamente,  la necessità di modificare o implementare il sistema di previsione.  Il secondo,  riguarda il contributo che una previsione corretta può dare dal punto di vista economico ad attività decisionali come, ad esempio, quelle legate al consumo energetico o all’agricoltura. Il terzo riguarda l’acquisizione, da parte dei meteorologi previsori, di informazioni oggettive inerenti l’abilità dei modelli operativi a prevedere le diverse variabili meteorologiche nel tempo e nello spazio, e quindi la possibilità di affrontare le previsioni quotidiane con un approccio critico.

I metodi classici di verifica si basano sul calcolo di diversi indici che confrontano in vario modo l’osservazione e la previsione: le “statistiche continue”, come l’errore medio (ME), l’errore medio assoluto (MAE), la radice dell’errore quadratico medio (RMSE), e le “statistiche categoriche”, come il Bias Score (BS), l’Equitable Threat Score (ETS) e tanti altri indici di accuratezza ed abilità, particolarmente indicati per le precipitazioni.

Da alcuni anni, il centro meteorologico Meteo Expert, affianca alla metodologia standard un sistema di analisi che permette non solo lo studio della circolazione atmosferica sull’Italia, le sue caratteristiche, i trend e le anomalie, ma anche la valutazione oggettiva dell’abilità dei modelli fisico-matematici  a prevederne l’evoluzione.

Come? Identificando e classificando dodici “weather types (da noi tradotti in “tipi di circolazione”, TC) mediante una rete neurale artificiale addestrata con cinque variabili meteorologiche, e costruendo un indice di qualità (IQ), basato sul calcolo dell’entità delle differenze tra le configurazioni osservate e quelle previste, ed espressione di quanto la previsione del modello si allontana dalla condizione di errore massimo possibile.

A ciascun tipo di circolazione è stato assegnato un nome, riferito alla caratteristica circolatoria prevalente.

TC9, Anticiclone di blocco

Fig. 1 – Distribuzione della pressione sul livello del mare associata a TC9 Anticiclone di blocco (A = alta pressione, B = bassa pressione)

La discretizzazione della circolazione atmosferica sinottica in dodici classi, ciascuna avente caratteristiche ben precise, ha reso possibile, ad esempio, quantificare la netta propensione alla persistenza del TC9 “Anticiclone di blocco” (Figura 1), il TC più frequente, tipico del semestre freddo, capace di  una presenza costante per almeno una settimana, addirittura dodici giorni consecutivi tra il 7 e il 18 febbraio 2008.

TC9 “Anticiclone di blocco” è responsabile delle situazioni invernali che vedono tempo stabile e cielo limpido al Nord, venti intensi orientali, spesso di Bora, gelo e nevicate anche fino alle coste sulle regioni del Medio Adriatico e al Sud, come in occasione delle nevicate eccezionali tra il 17 e 18 gennaio 2017, che contribuirono, con le scosse di terremoto, alla tragedia di Rigopiano.

Fonte: Salento.it

TC9 “Anticiclone di blocco” con gli anni sta diventando sempre più una presenza importante anche in stagioni non propriamente sue, come la tarda primavera e l’estate, portando inaspettatamente piogge “fuori stagione” al Sud.  Ne sono vistosi esempi l’estate 2018, con una presenza di TC9  mai riscontrata dal 2005, e la primavera 2020, con ben ventisette giorni di presenza, due settimane in più della media (in quasi un ventennio è capitato solo un’altra volta, nel 2011). I grafici che seguono (figura2) evidenziano tali anomalie.

Fig. 2 – Anomalia, rispetto al periodo 2005-2019, del numero di giorni di presenza di ciascun TC nell’estate 2018 e nella primavera 2020.

TC8, Scirocco

Fig. 3 – Distribuzione della pressione sul livello del mare associata a TC8 Scirocco (A = alta pressione, B = bassa pressione)

TC8 “Scirocco”(Figura 3) è invece frequente nelle stagioni intermedie ed è il principale responsabile (se il vento che porta il suo nome è forte e la Luna è piena) dell’acqua alta a Venezia. Molto spesso è preceduto da TC12 “Depressione Iberica” ed evolve in TC4 “Depressione Ligure”, il più piovoso e spesso responsabile di gravi episodi alluvionali tra Liguria e Piemonte. Questi tre TC “caldi”, cioè associati prevalentemente ad afflusso sull’Italia di aria mite e carica di umidità, insieme rappresentano le situazioni più critiche di maltempo prolungato e diffuso su gran parte dell’Italia.

venezia acqua alta cause cambiamento climatico
Foto di Venezia di Luigi Brugnaro

 TC8 “Scirocco”, il grande assente del 2017,  è stato invece il vero protagonista del 2018 (vedi grafico dell’anomalia- Figura 4):  già anomala presenza in inverno, durante il quale ha portato frequenti e abbondanti precipitazioni, favorito il pericoloso gelicidio dell’11 e 12 dicembre tra Liguria, Toscana ed Emilia, e generato anomalie termiche in gennaio,  ha dominato la circolazione atmosferica con straordinaria persistenza durante il prolungato periodo di instabilità primaverile e del mese di giugno, per poi ripresentarsi con pieno vigore durante le fasi di maltempo estremo che colpirono l’Italia, purtroppo con numerose vittime,  tra il 26 ottobre e il 5 novembre 2018.

Fig. 4 – Anomalia, rispetto al periodo 2005-2019, del numero di giorni di presenza di ciascun TC nel 2018 (dicembre 2017-novembre 2018).
Maltempo estremo, 30 ottobre 2018

 

TC11, Anticiclone Nordafricano

Fig. 5 – Configurazione del Geopotenziale a 500 hPa associata a TC11 Anticiclone Nordafricano (A = alta pressione, B = bassa pressione).

E cosa dire del TC11 “Anticiclone Nordafricano” (Figura 5), il TC più famoso e nominato dai media? Mentre in inverno, oltre a mantenere temperature non particolarmente rigide, favorisce la formazione di nebbie e l’accumulo di inquinanti, d’estate è il protagonista principale delle terribili ondate di calore che coinvolgono tutto il nostro Paese.

smog pm10 inquinamento
Image by Mirko Bozzato from Pixabay

 

TC3, Depressione Padana

Fig. 6 – Configurazione del Geopotenziale a 700 hPa associata a TC3 Depressione Padana (A = alta pressione, B = bassa pressione).

Durante l’estate, la pesante presenza di TC11 “Anticiclone Nordafricano” e degli altri TC anticiclonici è a volte interrotta da TC3 “Depressione Padana” (Figura 6), TC prettamente estivo, associato ad aria fresca in scorrimento prevalentemente sul Centronord dell’Italia, capace di scatenare fenomeni convettivi anche molto violenti, come, ad esempio, i temporali con numero record di fulmini sulla Lombardia orientale la sera del 2 luglio 2020, il distruttivo temporale a Verona del 23 agosto, gli intensi fenomeni al Nord e in Toscana del 3 agosto.

3 agosto 2020: cumulonembo in sviluppo sull’Alta Toscana, visto dall’Isola di Capraia. Foto di Laura Bertolani

L’analisi dei trend degli ultimi sedici anni (figura 7) rivela un graduale aumento della presenza di TC11 “Anticiclone Nordafricano” sia in inverno, a spese dei TC9 “Anticiclone di Blocco” e TC1 “Maestrale”(entrambi in aumento in primavera), sia durante l’estate, a spese del perturbato  TC3 “Depressione Padana” e in concerto con gli altri TC anticiclonici, a dimostrazione della tendenza alla stabilizzazione del tempo e al graduale aumento della temperatura in queste due opposte stagioni.

Fig. 7 – Linee di tendenza lineare del numero di giorni di presenza di alcuni TC nella stagione invernale e in quella estiva dal 2005 al 2020

Ma i modelli fisico-matematici di previsione, riescono a prevedere bene la variabilità della circolazione atmosferica?

Per rispondere, analizziamo l’abilità di cinque modelli globali, sviluppati dai grandi centri internazionali di meteorologia, e dal loro ensemble MIX, creato da Meteo Expert.

L’indice di qualità (IQ), riportato nel grafico che segue (Figura 8), permette di visualizzare la performance dei modelli nell’anno dicembre 2018 – novembre 2019 per l’estensione temporale più ampia a disposizione (purtroppo sono disponibili dati fino al giorno 6 solo per due modelli). ECMWF e MIX sono stati  i modelli più abili a prevedere la variabilità della circolazione atmosferica, sempre più distaccati dagli altri modelli al progredire del tempo di previsione e unici modelli con IQ > 90 % al giorno 3 (+96 ore di previsione). GEM è stato invece il modello con più difficoltà.

Fig. 8 – Indice di qualità (performance) della previsione del tipo di circolazione, formulata da cinque modelli globali e dal loro ensemble (MIX) da +24 ore (oggi) a +168 ore (6° giorno) di previsione per l’anno 2019 (dicembre 2018 – novembre 2019).

Nel 2019 tutti i modelli hanno commesso prevalentemente errori lievi. In particolare,  né ECMWF né MIX hanno commesso errori severi nelle prime quarantotto ore di previsione (previsioni per “domani”) e sono stati gli unici a prevedere correttamente i tre quarti dei tipi di circolazione al quarto giorno di previsione. Dopo il terzo giorno, ECMWF ha commesso meno errori moderati e severi degli altri modelli.

In generale, i TC meglio previsti, sia nel brevissimo termine, sia nel più lungo termine, sono stati per tutti i modelli TC1 “Maestrale” e TC11 “Anticiclone nordafricano”, seguiti da TC8 “Scirocco” e TC9 “Anticiclone di blocco”. TC4, che corrisponde alla ciclogenesi sul Mar Ligure, è risultato invece il TC che più degli altri sembra aver messo in difficoltà i modelli.

La classificazione dei tipi di circolazione permette anche di studiare il comportamento dei modelli in situazioni diverse, e di scoprire, ad esempio, che  GFS e ARPEGE nei mesi caldi tendono a prevedere troppe piogge convettive sui monti anche in occasione di TC a matrice anticiclonica come TC9 “Anticiclone di blocco”, TC10 “Anticiclone Afroiberico” e, addirittura, TC11 “Anticiclone Nordafricano”. GEM, invece, tende ad eccedere con le  precipitazioni sinottiche da ottobre a marzo, associate a TC4 “Depressione Ligure” e TC8 “Scirocco”.

Correlando l’errore di previsione del tipo di circolazione con l’errore di previsione di alcune variabili meteorologiche è emerso che la qualità delle previsioni di temperatura, umidità e pioggia formulate da ECMWF e GEM dipende poco dalla qualità della previsione della circolazione atmosferica, mentre GFS e ARPEGE tendono a commettere errori importanti quando la previsione del tipo di TC è errata.

In conclusione, il “Weather Typing” di Meteo Expert si dimostra un utile strumento per molteplici aspetti, tra cui: studiare la circolazione atmosferica, i suoi trend e le sue anomalie, valutare l’abilità dei modelli a prevedere la variabilità della circolazione sinottica, identificare le situazioni dinamiche che vengono previste con maggior facilità e quelle con le quali i modelli incontrano difficoltà; per investigare relazioni tra TC e diverse variabili meteorologiche, come temperatura e precipitazioni e scoprire relazioni tra errore di previsione della circolazione atmosferica ed errore di previsione, ad esempio, di temperature e precipitazioni.

 

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Nevicata sul Nord Italia, breve lezione meteo fotografica https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/nevicata-sul-nord-italia-breve-lezione-meteo-fotografica/ Wed, 09 Dec 2020 09:03:38 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/nevicata-sul-nord-italia-breve-lezione-meteo-fotografica/ Su parte del nordovest italiano venerdì 4 dicembre si è verificata un’intensa nevicata fino a quote di pianura: le precipitazioni sono state provocate dall’arrivo di una forte perturbazione atlantica accompagnata da intense e umide correnti meridionali in quota: le precipitazioni sono risultate particolarmente abbondanti a ridosso delle Alpi e delle Prealpi centrali per effetto dello …

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Su parte del nordovest italiano venerdì 4 dicembre si è verificata un’intensa nevicata fino a quote di pianura: le precipitazioni sono state provocate dall’arrivo di una forte perturbazione atlantica accompagnata da intense e umide correnti meridionali in quota: le precipitazioni sono risultate particolarmente abbondanti a ridosso delle Alpi e delle Prealpi centrali per effetto dello sbarramento offerto dai rilievi ai venti meridionali. 

La perturbazione, come accade frequentemente in questo tipo di situazioni, ha diviso il Nordovest italiano in due parti e, paradossalmente, la quota altimetrica non ha giocato un ruolo di primo piano. La neve è infatti caduta fino in pianura sul Piemonte, nell’entroterra ligure e sull’estremo ovest della Lombardia, mentre sulla Lombardia centrale ed orientale ha piovuto, almeno a basse quote, a causa dei venti relativamente tiepidi orientali che soffiavano sopra alla pianura e lungo le Prealpi. Il confine tra la neve e la pioggia a basse quote è risultato coincidere grossomodo con la provincia di Como: a est di Como ha piovuto, mentre la neve è caduta abbondantemente sul Varesotto e sulla vicina Svizzera italiana.

La città di Como e il monte di Brunate, dal monte Sasso di Cavallasca, noto localmente come Pin Umbrela, il mattino del 7 dicembre. Su questa collina, a circa 610 m di quota ben poche tracce restano della forte nevicata del giorno 4 che ha accumulato circa 25 cm.

Quanto descritto è reso visivamente da una breve corsa su una collina del Comasco, parte del parco regionale della Spina Verde di Como, il monte Sasso di Cavallasca. Salendovi da sud, il 7 dicembre, si cammina in un bosco fradicio e pressoché privo di neve. Alcuni alberi, in particolare quelli appartenenti alla specie “pino silvestre” sono caduti sotto il carico della neve umida e pesante.

In cima: soffia un vento teso da est che spinge verso il Lario e in direzione delle Prealpi densi nuvoloni carichi di pioggia e neve.

Dalla cima della collina il panorama è a 360°; in lontananza, verso sudovest si possono riconoscere il Varesotto e l’estremità occidentale della provincia comasca ancora coperti di neve. Verso nord la cima del monte Bisbino (1325m) è nascosta dalle nubi.

Vista verso il monte Bisbino, i quartieri nordoccidentali di Como e, a sinistra, parte della città di Chiasso, con le valli che dalla Svizzera italiana salgono verso la vetta comasca.

In direzione nord si nota facilmente che anche il monte Bisbino è stato diviso in due, lungo una linea est-ovest, dalla nevicata. I pendii sudorientali, infatti, appaiono quasi privi di neve, mentre, a parità di quota, le fascia montana che si alza dalla cittadina svizzera di Chiasso è innevata. Quando le precipitazioni sono molto intense, come accaduto venerdì 4 dicembre, la neve che cade crea quelle che chiamiamo condizioni di omotermia. La neve, fondendo parzialmente durante le ultime centinaia di metri di caduta, sottrae calore alla colonna d’aria e questa gradualmente tende ad assumere la stessa temperatura, di poco superiore a 0°C. Questo fenomeno è particolarmente efficace nelle valli più strette, ma può spiegare in parte anche quanto avvenuto venerdì nell’area comasca; il basso Canton Ticino è infatti circondato dalle Prealpi, mentre a meridione di Como il territorio è più aperto ed esposto ai venti orientali tiepidi provenienti dalla pianura padana che possono rimescolare i bassi strati della troposfera.

Scendendo sul lato nord della collina, in direzione dei quartieri settentrionali di Como. La neve, anche se fradicia, copre ancora il sottobosco.

Il cielo è cupo ed è ora di riprendere la corsa verso casa: come al solito scelgo di fare un giro attorno al colle scendendo a nord. A differenza che sul lato meridionale, sul versante settentrionale di questa piccola elevazione la neve è ancora presente fino alla sua base, ma non certo a causa del sole!  Siamo infatti in dicembre, le giornate sono cortissime, e, soprattutto, il sole negli ultimi tre è rimasto ben nascosto da un denso tappeto di nubi piovose. Ancora una volta questa è l’occasione per un’osservazione interessante e di imparare qualcosa: perfino una modesta elevazione è in grado di modificare il microclima, non solo in condizioni di tempo stabile, ma anche quando le condizioni meteorologiche sono molto perturbate. Evidentemente i pendii settentrionali di questa collina sono restati maggiormente al riparo dai venti tiepidi della pianura e meglio esposti, invece, all’aria relativamente più fredda che scende dalla vicina Svizzera italiana, e tutto nel giro di poche centinaia di metri!

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FÖHN ad Aosta…da est! https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/fohn-ad-aostada-est/ Sun, 06 Dec 2020 13:33:33 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/fohn-ad-aostada-est/ Il lavoro previsionale del meteorologo è naturalmente fatto di studio dei modelli, delle carte che ti suggeriscono il futuro ma anche di osservazione continua di quanto succede realmente, un’attività che nelle previsioni  a brevissimo termine aiuta  a correggere il tiro. E la natura, l’atmosfera nel caso specifico, è sempre capace di sorprenderti e insegnarti qualcosa …

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Il lavoro previsionale del meteorologo è naturalmente fatto di studio dei modelli, delle carte che ti suggeriscono il futuro ma anche di osservazione continua di quanto succede realmente, un’attività che nelle previsioni  a brevissimo termine aiuta  a correggere il tiro. E la natura, l’atmosfera nel caso specifico, è sempre capace di sorprenderti e insegnarti qualcosa di nuovo e inaspettato.

Ed è quello che mi è accaduto il 9 aprile del 2014 durante il servizio di assistenza meteo fornito dal nostro centro  all’aeroporto di Aosta. Le carte da giorni suggerivano una giornata all’insegna del Föhn, il vento che discende impetuoso sul versante meridionale delle Alpi quando tese correnti settentrionali impattano con direzione più o meno perpendicolare la catena alpina. Le carte meteorologiche qui di seguito mostrano in maniera evidente le condizioni  favorevoli all’innesco di venti di caduta: forte gradiente ossia differenza  di pressione tra il nord e il sud della catena alpina, tese correnti nord-occidentali in quota (i 500 hPa corrispondono a quote intorno ai 5500 metri), l’aria più fredda a nord delle Alpi che si riscalda nella discesa verso la Val Padana guadagnando anche qualche grado (a 850 hPa, circa 1500 m di quota, notiamo un 3-4 gradi in più tra i due versanti delle Alpi).

E infatti il Föhn era in atto già dal mattino del giorno precedente come si può vedere anche dal grafico della stazione meteorologica dell’aeroporto di Aosta:

La direzione di provenienza del vento (sotto) per diverse ore oscilla tra i 250 a i 290 gradi, calcolati in senso orario a partire dal nord. Ossia il vento soffia da ovest-nordovest e con intensità media fino ai 12-14 nodi ma con raffiche anche superiori (sopra). Ed è proprio quello che ci si attende in condizioni di Föhn. L’aria fredda e pesante che tracima oltre le creste alpine infatti discende seguendo il percorso delle vallate. E’ un po’ come se vari “ruscelli d’aria” dapprima seguissero le valli minori per poi confluire nella valle principale della regione che ha appunto una disposizione geografica est-ovest. Ad Aosta il Föhn in discesa lungo la valle si presenta quindi di norma come un vento occidentale.
Dopo di che nelle ultime ore della mattinata accade quello che non ti aspetti, come evidenziato con il cerchio rosso.  Il vento da un momento all’altro si dispone da est senza un calo dell’intensità, ma veramente in modo improvviso, a “palla di cannone” come si è abituati a vedere in tanti esordi del Föhn. E così rimane per quasi un paio d’ore, con direttrice 90-100 gradi e intensità media fino ai 13 nodi.
Poi di nuovo, ancora una volta in modo repentino, ritornano i venti di caduta “classici”, questa volta però con direttrice da nordovest (310-320 gradi), maggiore intensità e impetuosità con raffiche fino a 25-27 nodi.
In tutto ciò, come si può vedere dagli ulteriori grafici sottostanti (cerchi rossi),  la pressione durante la fase di vento da est non ha avuto sbalzi, la temperatura ha perso temporaneamente 3 gradi prima di ricominciare a salire e l’umidità è temporaneamente salita di un 10% ma sempre in un contesto di aria secca (tra il 20 e il 30%).

E non si trattava di un malfunzionamento della stazione meteorologica. Altre stazioni limitrofe mostravano andamenti analoghi e anche l’operatore della torre dell’aeroporto di Aosta confermava l’esistenza degli improvvisi e intensi venti da est con gli alianti in volo in quel momento che avevano virato di 180 gradi per mantenersi in volo.

Come spiegare l’accaduto?

Innanzitutto non poteva trattarsi di un vento di origine termica, ossia della brezza di valle perché non aveva minimamente le caratteristiche di questo tipo di vento. Era infatti iniziato in modo troppo improvviso, senza la “normale” gradualità dei venti di brezza e con intensità di 12-13 nodi che per le brezze del mese di aprile sono consone solo nel pomeriggio, almeno un paio di ore dopo.
Invece con tutta probabilità si è trattato sempre di Föhn che temporaneamente si è incanalato nella porzione di valle intorno ad Aosta con direzione opposta a quella che si è soliti osservare.  Per una qualche ragione dinamica legata alle correnti in quota la spinta oltralpe che innesca lo scavalcamento avrebbe ridotto il gradiente di pressione nel settore più occidentale della regione con il Föhn “occidentale” che si fermava, stando ai dati delle altre stazioni meteorologiche della regione, poco oltre Morgex verso il Monte Bianco. Nel contempo la spinta oltralpe nel settore più orientale, indicativamente a est del Gran San Bernardo, andava intensificandosi alimentando forti venti di caduta nelle valli a est di Aosta, come quella di Cervinia. Questi “ruscelli d’aria” più orientali, temporaneamente più intensi, una volta sfociati nella valle principale che non ha dislivelli accentuati sono stati in grado di incanalarsi sia verso la Val Padana che verso monte in direzione di Aosta generando per un paio di ore il vento da est osservato. Successivamente, quando questa intensa “tracimazione” da nord è andata a interessare anche la Valpelline (sotto indicata nel cerchio rosso) e l’ha percorsa in tutta la sua lunghezza il vento di Föhn ad Aosta si sarebbe ripresentato con direzione da nordovest. Infatti l’imbocco della Valpelline è proprio a nord della città di Aosta e leggermente più a ovest dell’aeroporto.

L’episodio in definitiva è da ricondurre  a un gioco di diversa intensità con cui le correnti hanno alimentato nel corso della giornata i “ruscelli d’aria” in discesa nelle valli secondarie della Valle d’Aosta. Per un paio d’ore hanno prevalso i “ruscelli” delle valli più orientali rispetto ad Aosta con il vento che nei pressi del capoluogo ha risalito la valle verso monte.

Quindi, se qualcuno vi dicesse un giorno che ad Aosta sta soffiando un Föhn da est, non meravigliatevi… è insolito ma possibile.

 

 

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Il valore nascosto delle immagini da satellite https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/il-valore-nascosto-delle-immagini-da-satellite/ Wed, 02 Dec 2020 12:23:18 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/il-valore-nascosto-delle-immagini-da-satellite/ A chiunque è capitato di vedere, in tv o sul web, affascinanti immagini della terra da una prospettiva particolarmente insolita, dall’alto e da grande distanza: sono le immagini da satellite. Si tratta di semplici “fotografie”, utili per monitorare la situazione, ad esempio meteorologica, da una prospettiva di favore, o queste immagini rappresentano qualcosa di più? …

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A chiunque è capitato di vedere, in tv o sul web, affascinanti immagini della terra da una prospettiva particolarmente insolita, dall’alto e da grande distanza: sono le immagini da satellite. Si tratta di semplici “fotografie”, utili per monitorare la situazione, ad esempio meteorologica, da una prospettiva di favore, o queste immagini rappresentano qualcosa di più?

La risposta è, ovviamente, la seconda: gli strumenti a bordo dei satelliti non sono semplici macchine fotografiche ma sensori in grado di raccogliere dati riguardanti l’oceano, l’atmosfera e la superficie terrestre punto per punto, coprendo contemporaneamente una vasta area.

Variabilità spaziale e temporale

L’uso dei satelliti ci permette innanzitutto di risolvere uno dei principali problemi delle scienze della Terra: la variabilità spaziale dei dati. Un satellite è in grado di fare le veci di milioni di stazioni meteorologiche che dovrebbero essere poste ogni qualche km quadrato o meno, comprese le cime dei monti e il mare aperto.

Un satellite insomma è una stazione meteorologica, una boa (almeno rispetto alle proprietà della superficie del mare), uno strumento per la misura della qualità dell’aria o della condizione della vegetazione. Ovviamente non sostituisce completamente gli strumenti a terra: questi infatti forniscono innanzitutto una migliore qualità del dato, delle informazioni aggiuntive (ovviamente non si può misurare tutto da remoto) e, infine, una maggiore copertura temporale. La stazione a terra fornisce dati relativi a un preciso luogo in modo continuo; il satellite, invece, fornisce dati rispetto a un’ampia area ma solamente ad intervalli di tempo ben definiti: sono, insomma, complementari.

Proprio la necessità di bilanciare il monitoraggio della variazione temporale con quella spaziale delle caratteristiche dell’ambiente in cui viviamo ha portato all’ideazione di satelliti con caratteristiche differenti: esistono satelliti che osservano sempre la stessa regione del globo e offrono immagini molto frequenti, ad esempio ogni pochi minuti, e satelliti che invece osservano tutto il globo, ma impiegano uno o due giorni ad osservarlo tutto. Se i primi vengono utilizzati per monitorare l’evoluzione dei fenomeni, ad esempio nella meteorologia, i secondi permettono di studiare processi che coinvolgono l’intero pianeta: sono utilissimi nello studio del clima.

Misurare da remoto

Torniamo però all’affermazione precedente: un satellite è un valido sostituto di molti strumenti in loco. Come è possibile?

La risposta sta nell’enorme quantità di informazioni ricavabili dalla misura della radiazione elettromagnetica: essa infatti interagisce con la materia e viene modificata da tale interazione, “portandosi via” – letteralmente – informazioni riguardo alla stessa. Niente paura, a discapito dei paroloni complessi, la “radiazione elettromagnetica” non è altro che la luce, o meglio, la luce è un sottoinsieme di essa.

Per capire di cosa stiamo parlando è sufficiente sapere che la radiazione può essere considerata (anche) un’onda, esattamente come quelle che increspano la superficie di uno stagno quando vi lanciamo un sasso. Le onde hanno una caratteristica fondamentale: la lunghezza d’onda. La lunghezza d’onda è la distanza fra due creste consecutive:

L’onda sopra ha lunghezza d’onda maggiore di quella sottostante.

Ebbene, il nostro occhio è in grado di osservare solo un sottoinsieme della radiazione, la luce appunto, che presenta lunghezze d’onda in un intervallo ben definito (il “visibile”).

Non siamo invece in grado di osservare la radiazione a lunghezze d’onda maggiori, ad esempio l’infrarosso e le onde radio, o minori, ad esempio l’ultravioletto e i raggi X.

Gli strumenti presenti sui satelliti, invece, lo sono: in particolare sono in grado di misurare quanta radiazione proviene da un determinato luogo (pensate a una lampada più o meno luminosa) a una determinata lunghezza d’onda (un intervallo di lunghezze d’onda in realtà). In particolare, misurano la radiazione in diverse lunghezza d’onda – i cosiddetti canali. Questo, insieme al fatto che a seconda della lunghezza d’onda la radiazione interagisce in modo differente con la materia, fa sì che la combinazione dei diversi canali permetta di riconoscere non solo cosa si sta osservando, ma anche alcune proprietà dell’oggetto.

Così, è possibile capire se una nube contiene goccioline di acqua liquide o ghiacciate, grandi o piccole, se la vegetazione è florida o morente; si può misurare la quantità di fitoplancton nella superficie degli oceani, distinguere gli incendi, rilevare la presenza di determinate sostanze nell’aria – quali la CO2, il vapore acqueo, sostanze inquinanti, la sabbia sollevatasi dai deserti, le polveri liberate da eruzioni vulcaniche…

I colori

L’utilizzo delle misure sopra descritte non è diverso da quello che avviene quando riconosciamo un oggetto in base al suo colore: la radiazione proveniente da una superficie vegetata sarà in prevalenza verde, da un terreno brullo in prevalenza rossa. La luce rossa ha lunghezza d’onda maggiore della verde: se il satellite osserva maggiore radiazione nella lunghezza d’onda del verde piuttosto che del rosso, si potrà concludere che sta osservando della vegetazione e viceversa per il terreno brullo. Esattamente come noi distinguiamo gli oggetti in base al loro colore, cioè in base alla lunghezza d’onda della radiazione visibile che da essi proviene, così il satellite è in grado di misurare la prevalenza di un colore piuttosto che di un altro e di attribuire di conseguenza diverse proprietà all’oggetto osservato. Per il satellite però i colori non sono solo quelli che può osservare il nostro occhio ma molti di più: lunghezze d’onda molto più piccole o molto più grandi di quelle visibili.

Non solo, il satellite è in grado di misurare quantitativamente la radiazione di un “colore” piuttosto che di un altro. Questo permette di ricavare ad esempio misure quantitative dello stato di salute di una pianta, piuttosto che della temperatura di un oggetto (la radiazione proveniente da un oggetto dipende anche dalla sua temperatura: è il principio su cui si basano i termometri infrarossi).

Oltre al punto di osservazione di favore, insomma, i satelliti forniscono dei nuovi occhi molto più potenti dei nostri: per questo le informazioni che possiamo ricavare sono molto di più di una semplice fotografia osservabile ad occhio nudo.

Come sono ricavate le immagini da satellite

Oltre ad analizzare il dato con strumenti matematici, spesso i meteorologi utilizzano un trucco per avvicinare queste “immagini potenziate” alla nostra capacità di visione, creando figure che possano sintetizzare a colpo d’occhio alcune proprietà della situazione meteorologica in corso. Il trucco è assegnare colori visibili a diversi canali del satellite, così che a una certa lunghezza d’onda osservata dal satellite corrisponda il colore rosso, a un’altra il verde e a un’altra il blu. L’intensità di ciascun colore in un certo punto della figura dipenderà dall’intensità della radiazione della lunghezza d’onda assegnata a quel colore proveniente dal luogo corrispondente a tale punto. Il risultato sarà un’immagine con una scala di colori ben precisa, data dal fondersi di rosso, verde e blu di diverse intensità: nubi gialle (verde e rosso intensi, blu fioco) avranno determinate proprietà, nubi viola (rosso e blu intensi, verde fioco) altre, nubi bianche (verde, rosso e blu intensi) altre ancora e così via per le diverse combinazioni.

Anche le immagini che all’apparenza sembrano fotografie sono in realtà combinazioni di canali del satellite relativi a lunghezze d’onda nel visibile, assegnati al colore reale corrispondente. Ecco un esempio:

Fonte: Meteo Expert

Le nubi di ghiaccio sono azzurre, quelle di acqua liquida bianche. I colori, tranne le nubi e la neve azzurre, sono quelli che vedremmo con i nostri occhi se fossimo al posto del satellite.

Di seguito altri esempi:

  • questa immagine permette di osservare i vari tipi di nubi di notte, anche in assenza della radiazione solare riflessa, sfruttando la radiazione infrarossa emessa dalle stesse
Fonte: Eumetsat
  • queste permettono di distinguere in giallo i temporali più violenti (in base alle caratteristiche della nube: ad esempio le goccioline rispondono a una determinata lunghezza d’onda in base alle dimensioni e alla fase – liquide o ghiacciate)
    Ciclone al largo delle coste africane. Fonte: Eumetsat
    satellite
    Fonte: Eumetsat
  • questa evidenzia in violetto la sabbia del deserto trasportata nell’atmosfera
Egitto e Penisola arabica. Fonte: EumetSat

Applicazioni pratiche

Osservare l’evoluzione di temporali violenti e distinguerli da altri meno violenti può permettere di prevedere quali territori saranno a breve colpiti: è chiaro quindi quanto possa essere determinante l’utilizzo dei satelliti, soprattutto alla luce della crescente violenza dei fenomeni meteorologici che colpiscono il nostro fragile territorio. Non solo, è possibile anche monitorare l’espansione dei deserti, piuttosto che lo stato di salute degli ecosistemi marini, con tutte le conseguenze che ne derivano, fra cui l’abbondanza del pescato. È possibile monitorare gli incendi e tracciarne la propagazione, così da diramare allarmi e coordinare le attività di contenimento, è possibile scoprire attività illecite di disboscamento nelle foreste amazzoniche, monitorare i vulcani

… da ultimo ma non di minore importanza, osservare la bellezza del nostro pianeta ed acquisire consapevolezza della sua fragilità:

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Ghiaccio formatosi nellOceano Artico si sposta centinaia di km a Sud, spinto e modellato dalla East Greenland Current. Fonte: Nasa Visible Earth
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Incendi individuati in una parte del Sud America, Ottobre 2020. Fonte: Nasa Visible Earth
Artico con estensione minima record del ghiaccio marino, Luglio 2020. Fonte: Nasa Visible Earth
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Mar Glaciale Artico, Russia: un misto multicolore di materia organica e sedimenti aiuta a tracciare correnti e vortici marini altrimenti invisibili. Fonte: Nasa Visible Earth

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Clima, ottobre 2020 il più fresco degli ultimi 10 anni per l’Italia: i dati e l’analisi del meteorologo https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/clima-ottobre-2020-il-piu-fresco-degli-ultimi-10-anni-per-litalia-i-dati-e-lanalisi-del-meteorologo/ Tue, 01 Dec 2020 11:13:24 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/clima-ottobre-2020-il-piu-fresco-degli-ultimi-10-anni-per-litalia-i-dati-e-lanalisi-del-meteorologo/ Il mese di ottobre è stato caratterizzato da due fasi con clima particolarmente mite, negli ultimi giorni del mese e nella prima fase, quando una vampata di caldo africano ha fatto schizzare i termometri su valori eccezionalmente elevati, al punto da far registrare, con i 37,5 gradi di Palermo, un nuovo record di caldo non …

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Il mese di ottobre è stato caratterizzato da due fasi con clima particolarmente mite, negli ultimi giorni del mese e nella prima fase, quando una vampata di caldo africano ha fatto schizzare i termometri su valori eccezionalmente elevati, al punto da far registrare, con i 37,5 gradi di Palermo, un nuovo record di caldo non solo per la città ma anche per l’intera nazione. Tuttavia, nel periodo intermedio di ottobre abbiamo vissuto un clima un po’ più fresco, con continui afflussi di aria fredda che hanno mantenuto le temperature costantemente al di sotto della media.

Il risultato finale è stato uno scarto di -0.8°C distribuito abbastanza uniformemente da Nord a Sud, con le anomalie più ampie in Sardegna (-1.1°C) e al Centro (-1°C) e valori fra -0.6°C e -0.8°C nelle altre zone. Questo ha rappresentato un rapido declino verso condizioni pienamente autunnali con i giorni più freddi collocati intorno alla metà del mese.

Nell’ambito della serie storica non si tratta di un dato particolarmente rilevante, ma negli ultimi 10 anni quello del 2020 rappresenta l’ottobre più freddo.

clima ottobre
Serie delle anomalie delle temperature medie registrate nei mesi di ottobre

Clima ottobre: complessivamente più pioggia della media, ma ci sono differenze importanti tra i settori del Paese

L’ottobre 2020 è stato anche un mese complessivamente piovoso, esattamente il 12% più piovoso della media a livello nazionale, ma grazie soprattutto al contributo delle regioni settentrionali (+36%). Al Centro il quantitativo di pioggia accumulata non si è discostato molto dalla media (+3%), ma con un esubero in Toscana e un leggero deficit nelle altre regioni. Nelle regioni meridionali e sulle Isole maggiori la pioggia è stata in generale più scarsa della norma, con uno scarto pari a -25% in Sicilia, -15% in Sardegna e -9% al Sud peninsulare.

Nell’arco del mese sono transitate 8 perturbazioni, la maggior parte delle quali nelle prime due settimane. Alcune di esse si sono rivelate piuttosto intense, in particolare all’inizio del mese quando il ramo più meridionale di un sistema nuvoloso – collegato a una vera e propria tempesta in sviluppo intorno al Canale della Manica – ha raggiunto le nostre regioni nord-occidentali causando precipitazioni estreme incrementate anche dall’effetto stau prodotto dalle catene montuose.

Fra il 2 e il 3 ottobre, nell’arco di 24-36 ore, si sono accumulati oltre 500 mm nella zona delle Alpi Marittime e sull’alto Piemonte, con punte anche oltre i 600 mm, con conseguenti piene di torrenti e fiumi che hanno causato frane, smottamenti, danni e allagamenti. Il 2 ottobre è stato uno fra i giorni più piovosi dell’anno per il Nord-Ovest e il più piovoso in assoluto dal 1958 per il solo Piemonte.

Il fatto che si sia trattato di fenomeni estremi, con quantità di acqua inedite per alcune zone, è dimostrato anche dal crollo di ponti antichi costruiti secoli fa e rimasti al loro posto fino a questo evento.

clima ottobre

Per il momento, il 2020 resta tra i 10 anni più caldi mai registrati e all’appello mancano ancora 11 miliardi di metri cubi d’acqua

Le anomalie registrate dal clima nel mese di ottobre hanno contribuito a mitigare leggermente lo scarto positivo delle temperature e il deficit pluviometrico dall’inizio dell’anno, che si portano rispettivamente a +0.9°C e -7%. Con il nuovo valore dell’anomalia termica il 2020 scende temporaneamente dal 4° al 6° posto fra gli anni più caldi, mentre sul fronte delle precipitazioni da gennaio il deficit si riduce scendendo da 14 a 11 miliardi di metri cubi mancanti.

clima 2020

Per quel che riguarda la stagione autunnale al momento non si evidenziano grossi scostamenti dalla norma, per via soprattutto delle tendenze pressoché opposte delle temperature e delle piogge fra un mese e l’altro, che hanno prodotto una sorta di compensazione: il bimestre settembre-ottobre, infatti, si presenta solo lievemente più caldo (+0.3°C) e poco più piovoso (+9%) della media.

clima autunno

Secondo le elaborazioni del Copernicus Climate Change Service, per l’Europa è stato l’ottobre più caldo della serie che parte dal 1979 con un’anomalia di 1.6°C sopra la media del trentennio 1981-2010. Questo risultato è scaturito nonostante le anomalie negative che hanno interessato il settore sud-occidentale del continente compresa l’Italia.
Su scala globale l’ottobre 2020 si colloca al 3° posto fra i più caldi con uno scarto pari a 0.62°C sopra la media del periodo 1981-2010, a meno di un decimo di grado dai più caldi ottobre del 2015 e 2019. Ancora una volta salta subito all’occhio la notevole anomalia che continua a interessare l’emisfero boreale, in particolare le zone a nord del Circolo Polare Artico dove sono state raggiunte punte anche oltre i 10°C sopra la media. Queste condizioni alle alte latitudini continuano a mantenere relativamente contenuta l’estensione dei ghiacci artici, tant’è che il valore medio di ottobre, pari a 5.4 milioni di chilometri quadrati, rappresenta il più basso dall’inizio delle misurazioni satellitari cominciate nel 1979.

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Burian o Buran? Cos’è e qual è il nome corretto [VIDEO] https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/meteo-spiegato-bene/burian-buran-video/ Tue, 01 Dec 2020 07:55:22 +0000 https://www.iconameteo.it/?p=43119 burian o buranBurian o Buran? Quando si parla di questo vento gelido si fa spesso confusione: i meteorologi ci aiutano a chiarirci le idee con questo video.

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Burian o Buran? Quando si parla di questo vento gelido si fa spesso confusione: i meteorologi ci aiutano a chiarirci le idee con questo video.

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Come sarà l’inverno? Fatti e misfatti a proposito di previsioni stagionali https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/come-sara-linverno-fatti-e-misfatti-a-proposito-di-previsioni-stagionali/ Mon, 26 Oct 2020 12:22:43 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/come-sara-linverno-fatti-e-misfatti-a-proposito-di-previsioni-stagionali/ Lavorando in un centro meteorologico la domanda “come sarà il prossimo inverno?” o la prossima estate, è fra quelle che, si può starne certi, verrà posta numerose volte al malcapitato in turno. Una domanda del genere può scaturire semplicemente dalla curiosità di un appassionato di gite sugli sci, ma la risposta possiede indiscutibilmente un significativo …

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Lavorando in un centro meteorologico la domanda “come sarà il prossimo inverno?” o la prossima estate, è fra quelle che, si può starne certi, verrà posta numerose volte al malcapitato in turno.

Una domanda del genere può scaturire semplicemente dalla curiosità di un appassionato di gite sugli sci, ma la risposta possiede indiscutibilmente un significativo valore economico per una vasta categoria di operatori: coloro che lavorano nel mondo dell’energia, nella finanza, nel turismo, nell’agricoltura, nelle assicurazioni, eccetera.

E’ bene mettere in chiaro da subito che le previsioni di questo tipo, dette previsioni stagionali appartengono ancora al settore della ricerca scientifica, hanno un carattere sperimentale e devono pertanto essere maneggiate con grande cautela.

Le previsioni stagionali, diversamente dalla previsione del tempo a 1-7 giorni a cui siamo abituati, non potranno mai (a causa della caoticità intrinseca del sistema atmosferico) dirci che tempo farà nel tal giorno; esse potranno piuttosto delinearci gli scenari più probabili, specificando il grado di probabilità e di incertezza: potremo leggere che la prossima stagione sarà probabilmente più calda o più piovosa rispetto alla norma climatica, oppure che dobbiamo aspettarci un periodo mediamente normale.

Esaurita la doverosa premessa, proviamo a capire in quali modi la scienza affronta il problema delle previsioni stagionali: immaginiamo, concretamente, di trovarci in autunno e di voler provare a rispondere alla domanda “che tipo di inverno ci aspetta?”.

Iniziamo con la buona notizia: la stagione fredda è mediamente più prevedibile di quella calda perché le forzanti che agiscono sul sistema atmosferico sono meglio conosciute e più intense; quella cattiva è che l’Europa è una regione del pianeta dove la variabilità interna atmosferica è molto forte e tende quindi a nascondere i deboli segnali delle forzanti remote (come quelle di origine tropicale quali l’ENSO, “El Niño Southern Oscillation”) che possono lasciare un certo tipo impronta sul carattere di una stagione, almeno a grande scala.

Figura 1: la previsione dell’anomalia della temperatura invernale (DJF sta per Dicembre, Gennaio, Febbraio) ottenuta grazie ai modelli ECMWF il giorno 1 ottobre. L’anomalia è calcolata rispetto al clima del modello. (reperibile su: https://climate.copernicus.eu/charts/c3s_seasonal/)

La figura 1 illustra la previsione, eseguita dal centro europeo ECMWF, dell’anomalia della temperatura media nei prossimi mesi invernali, i colori rappresentano lo scostamento dal “clima” del modello stesso. I modelli meteorologici possono essere utilizzati per fornire indicazioni stagionali utilizzando la tecnica dell’”ensemble, che consiste nel produrre molte simulazioni a lungo termine partendo da condizioni iniziali leggermente diverse e poi nell’effettuare alcune operazioni statistiche, quali la media degli output. Al momento, almeno secondo l’elaborazione ECMWF, sull’Italia appare probabile un inverno moderatamente più caldo della norma. Per quanto riguarda le precipitazioni (non mostrato in figura.ndr) la stessa simulazione assegna maggiori probabilità per un inverno meno piovoso della media sulle regioni meridionali (specie in Sicilia), mentre per il Nord il segnale è neutro. Allargando lo sguardo, infine, sempre con riferimento alla figura 1, notiamo l’anomalia positiva prevista per gran parte della regione artica (un fenomeno riconducibile al riscaldamento globale e alla nota “Arctic Amplification”, a sua volta almeno in parte collegata alla fusione dei ghiacci) e l’estesa fascia di anomalie negative presente sull’Oceano Pacifico tropicale, corrispondente, come spieghiamo tra breve, al fenomeno de La Niña.

Quanto possiamo fidarci di questa proiezione? I modelli fisico-matematici negli ultimi anni hanno fatto passi da gigante nel rappresentare con sempre maggiore accuratezza i processi atmosferici, ma l’esperienza, anche del recente passato, insegna che le loro elaborazioni a lungo termine devono essere utilizzate con cautela.

Figura 2: le temperature sull’Europa previste dal sistema CFSv2 all’inizio del 2018 e la loro verifica. Questa immagine è tratta da: https://www.climate.gov/news-features/blogs/enso/february-and-march-madness-how-winds-miles-above-arctic-may-have-brought#.WuSjok5MN9w.twitter

La figura 2 mostra un caso recente che ha riguardato marginalmente anche l’Italia: come alcuni forse ricorderanno nel 2018, dopo l’ennesimo inverno tiepido (incidentalmente quell’inverno fu caratterizzato da un debole episodio La Niña) tra fine febbraio e inizio marzo una massa d’aria gelida irruppe sull’Europa dalle fredde steppe russe provocando gelate e nevicate anche in pianura. La previsione modellistica delle temperature del mese di marzo effettuata in Gennaio si rivelò un vero fallimento e di segno completamente opposto a quanto osservato; solo la previsione inizializzata a metà febbraio iniziò a cogliere il segnale dell’ondata di freddo che si sarebbe verificata di lì a due settimane. Il fenomeno che i modelli in quella circostanza non poterono anticipare fu un Sudden Stratospheric Warming (SSW), un improvviso riscaldamento della stratosfera polare. Semplificando al massimo, durante un SSW i forti venti occidentali che caratterizzano normalmente la stratosfera polare si indeboliscono fino a diventare orientali; al contempo la massa d‘aria stratosferica collassa entro il vortice subendo un repentino riscaldamento. Una vasta letteratura scientifica (fra i primi ad esempio Baldwin&Dunkerton, 2001) ha esaminato gli eventi di SSW (in media se ne osserva uno ogni due anni) e concluso che questi hanno un’influenza sensibile sulla circolazione invernale della troposfera sottostante, e quindi sul tempo meteorologico, con un ritardo di alcuni giorni dall’inizio dell’evento; l’influsso troposferico di un SSW si protrae per circa 60 giorni alterando profondamente la circolazione e determinando talora significativi episodi di freddo sull’Europa centro settentrionale. A loro volta gli eventi SSW sono provocati da un particolare tipo di circolazione troposferica a larga scala caratterizzata dalla propagazione verticale in stratosfera e dalla successiva rottura delle grandi onde planetarie, dette anche onde di Rossby.

Figura 3: rappresentazione schematica della circolazione atmosferica e dello stato dell’Oceano Pacifico tropicale durante El Niño/La Niña. Fonte: WMO

La figura 3 illustra in modo semplificato le caratteristiche dell’ENSO nelle due fasi El Niño e La Niña. Nella fase fredda, detta “La Niña”, quella attesa nei prossimi mesi, i venti orientali (alisei) che soffiano sull’Oceano Pacifico orientale sono forti e provocano la risalita delle acque fredde profonde lungo le coste dell’America meridionale. A poco a poco questo strato di acque superficiali più fredde si propaga verso ovest, mentre un’anomalia positiva (acque più calde della norma) si sviluppa sul settore occidentale del Pacifico. Queste anomalie, a loro volta, innescano profonde modifiche nella circolazione atmosferica tropicale: sopra le acque più fredde l’aria tende a muoversi verso il basso generando alta pressione superficiale, mentre sul Pacifico occidentale, al di sopra delle acque calde, i moti convettivi si rinvigoriscono e alla superficie si sviluppa un’area di relativa bassa pressione.

Giunti a questo punto, il lettore avrà buoni motivi per domandarsi quale attinenza possa avere un fenomeno come questo, che si sviluppa sull’Oceano Pacifico e per di più sulla sua fascia tropicale, sugli inverni della vecchia Europa.

La risposta risiede in quei meccanismi che i fisici dell’atmosfera hanno denominato teleconnessioni. Come si può immaginare si tratta di un argomento piuttosto tecnico, ma a livello qualitativo non è difficile farsene un’idea. Una teleconnessione atmosferica consiste in una correlazione, evidenziata da analisi statistiche, che si sviluppa tra aree del pianeta molto distanti tra loro. La teleconnessione di norma è tanto più incisiva quanto più intensa ed estesa geograficamente è la “forzante” che la origina: ne deriva che il fenomeno dell’ENSO proprio per l’intensità e la scala spaziale su cui si sviluppa si presenta come il candidato ideale per esercitare effetti a distanza nella troposfera. Non a caso, infatti, gli effetti di El Niño (o della sua partner fredda) risultano più evidenti sul vicino continente americano e sulle regioni australiana e indonesiana. Per un po’ di tempo, fino alla fine del secolo scorso, si è ritenuto che l’ENSO non avesse un’influenza significativa sull’Europa, per i motivi in parte anticipati. Oggi sappiamo che non è così ed è stato compreso il meccanismo fisico che permette alle anomalie tropicali di generare un segnale atmosferico dall’altra parte del pianeta: ci riferiamo di nuovo alle onde planetarie, le onde di Rossby, corrispondenti alle grandi ondulazioni del jet-stream (la fortissima corrente che scorre al limite superiore della troposfera), il cui percorso normale viene perturbato proprio dalle anomalie circolatorie tropicali. Considerando che queste onde possono percorrere l’intera circonferenza del globo in alcuni giorni, si intuisce come sia possibile l’interazione atmosferica tra luoghi molto distanti fra loro.

Figura 4: schema semplificato della teleconnessione tra la MJO nelle fasi 3 e 7 e la regione europea, durante El niño e La Niña. Fonte: (http://blogs.reading.ac.uk/weather-and-climate-at-reading/2020/from-indonesia-to-the-british-isles-using-el-nino-and-weather-patterns-in-the-tropics-to-help-predict-north-atlantic-and-european-weather/)

La figura 4 mostra in modo schematico alcuni dei meccanismi teleconnettivi appena descritti e inoltre aggiunge un’altra attrice protagonista in questa analisi: la Madden-Julian-Oscillation, MJO.  La MJO è il principale modo di variabilità della atmosfera tropicale su scala sub-stagionale ed è costituta da un dipolo: un’area in cui la convezione è particolarmente vigorosa posta accanto ad un’area dove i moti convettivi sono soppressi. Questo dipolo si sposta lungo l’equatore verso levante con un periodo tipico di 30-60 giorni: la MJO per un terzo dei giorni invernali non è attiva; quando essa è attiva si presenta con intensità diverse e viene etichettata con un numero che corrisponde alla regione equatoriale su cui si trova. Con riferimento alla figura 4, per esempio, gli studi hanno dimostrato che quando la MJO si trova in fase 7 durante La Niña è favorita una teleconnessione (mediata dalla stratosfera grazie a un debole vortice polare) che determina in Europa un regime circolatorio di tipo NAO- (NAO sta per North Atlantic Oscillation: senza entrare eccessivamente nei dettagli, con questo tipo di regime circolatorio il clima è freddo sul Nord Europa, piovoso sul Mediterraneo). La fase 3 della MJO in concomitanza con El Niño favorisce, grazie a un treno di onde di Rossby, un regime del tutto opposto, di tipo NAO+. L’interesse per la MJO risiede soprattutto nella possibilità di migliorare la previsione sulla scala temporale sub-stagionale e in particolare entro un orizzonte di 30 giorni. Il lavoro di Lee e altri, stabilisce infatti che l’impatto della MJO nelle sue diversi fasi è profondamente diverso in dipendenza del segno di ENSO.

Proviamo a tirare le somme. Per quanto semplificata e largamente incompleta (la letteratura scientifica ha infatti analizzato anche altre forzanti in grado di influire sugli inverni europei, l’estensione dei ghiacci artici, le temperature dell’Oceano Atlantico…) questa sintesi dovrebbe averci innanzitutto convinto in merito alla complessità di affrontare previsioni meteorologiche oltre il limite standard dei 5-7 giorni. Le condizioni dell’atmosfera tropicale (ad esempio la fase dell’ENSO) possono fornire un’indicazione probabilistica delle caratteristiche medie degli inverni europei, nel contesto della tipica forte variabilità meteorologica che caratterizza questa regione del pianeta. La risposta “canonica” a un El Niño, è un inverno con pattern NAO- caratterizzato da anomalie fredde sul Nord Europa e, aggiungiamo, da un inverno piovoso sul Mediterraneo. El Niño, come confermato anche da studi successivi (Polvani et al) aumenta la frequenza di occorrenza degli episodi di Sudden Stratospheric Warming, diversamente da La Niña.  Questo tipo di risposta tuttavia si verifica solo per gli episodi El Niño di moderata intensità, come fu quello dell’inverno 2009/10: in quelli più intensi, come nel  recente forte episodio del 2015-16 non si osservò nulla del genere. Durante un episodio di tipo “La Niña”, la situazione prevista nei prossimi mesi, il tipo di risposta è mediamente opposto, ma, come mostrato, sarà pur sempre possibile osservare un Sudden Stratospheric Warming in grado magari di scombussolare le carte per qualche settimana. Un caso come quello del recente febbraio 2018 deve ricordarci che  gli episodi di SSW sono difficilmente prevedibili prima di 15 giorni, ma grazie alle ricerche sull’impatto della Madden-Julian-Oscillation, si potranno fare dei progressi, almeno in senso probabilistico. Da ultimo non dimentichiamo l’attuale contesto climatico globale di forte riscaldamento dovuto al rilascio dei gas-serra: in questa situazione osservare inverni freddi diventa sempre più raro.

 

Approfondimenti suggeriti e altre fonti consultate:

Hall et al: Simple Statistical Probabilistic Forecasts of the Winter NAO,2017 Weather and Forecasting.

Polvani et al: Distinguishing Stratospheric Sudden Warmings from ENSO as Key Drivers of Wintertime Climate Variability over the North Atlantic and Eurasia, 2016: Journal of Climate 

A. Scaife. Impact of ENSO on European Climate.

Butler, A.H. & Polvani, L.M., 2011. El Niño, La Niña, and stratospheric sudden warmings: A reevaluation in light of the observational record. Geophysical Research Letters.

L’articolo Come sarà l’inverno? Fatti e misfatti a proposito di previsioni stagionali proviene da Icona Clima.

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Medicane: può formarsi un uragano nel Mediterraneo? [VIDEO] https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/meteo-spiegato-bene/medicane-puo-formarsi-un-uragano-nel-mediterraneo-video/ Sat, 03 Oct 2020 06:50:03 +0000 https://www.iconameteo.it/?p=43086 medicaneNel Mediterraneo non si formano uragani ma in alcuni casi possono originarsi dei Medicane, che ci assomigliano per alcuni aspetti. Il video:

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Nel Mediterraneo non si formano uragani ma in alcuni casi possono originarsi dei Medicaneche ci assomigliano per alcuni aspetti. Il video:

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Wind chill: di cosa si tratta e quali sono le sue conseguenze [VIDEO] https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/meteo-spiegato-bene/wind-chill-cosa-e/ Fri, 02 Oct 2020 06:49:23 +0000 https://www.iconameteo.it/?p=43072 wind chillIl wind chill è un fenomeno che può modificare la nostra percezione della temperatura. Com’è possibile? La spiegazione degli esperti:

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Il wind chill è un fenomeno che può modificare la nostra percezione della temperatura. Com’è possibile? La spiegazione degli esperti:

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Previsioni del tempo, com’erano un quarto di secolo fa? Il racconto di un meteorologo https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/previsioni-del-tempo-comerano-un-quarto-di-secolo-fa-il-racconto-di-un-meteorologo/ Thu, 17 Sep 2020 11:22:36 +0000 https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/previsioni-del-tempo-comerano-un-quarto-di-secolo-fa-il-racconto-di-un-meteorologo/ Il 15 settembre 2020, Meteo Expert, conosciuta sino al 2018 come Centro Epson Meteo, ha compiuto 25 anni. Nata all’interno di Epson Italia nel 1995, è diventata pochi anni dopo un centro autonomo di ricerca applicata in campo meteorologico e climatologico, portando nelle case degli italiani le previsioni del tempo e facendosi conoscere nel panorama …

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Il 15 settembre 2020, Meteo Expert, conosciuta sino al 2018 come Centro Epson Meteo, ha compiuto 25 anni. Nata all’interno di Epson Italia nel 1995, è diventata pochi anni dopo un centro autonomo di ricerca applicata in campo meteorologico e climatologico, portando nelle case degli italiani le previsioni del tempo e facendosi conoscere nel panorama nazionale e internazionale con numerosi progetti e collaborazioni. Il nome Meteo Expert nasce nel 2018, e, l’anno successivo, viene fondata una propria testata giornalistica con una specifica attenzione allo studio e all’evoluzione delle previsioni del tempo e del clima con l’accoppiata IconaMeteo e IconaClima che quotidianamente ci accompagnano nell’evoluzione dei fenomeni atmosferici.

Ma come è cambiato il modo di fare le previsioni del tempo in questo quarto di secolo? In occasione di questo compleanno un po’ speciale, sono riemersi dei preziosi ricordi di chi, per anni, si è dedicato allo studio dell’atmosfera e ad elaborare le previsioni del tempo, ovvero i meteorologi.

Così il meteorologo Giovanni Dipierro ci riporta indietro nel tempo, raccontandoci dei primi anni 90 quando il mondo era ancora per lo più analogico e iniziavano a circolare i primi bollettini targati Epson.

“I primi bollettini meteo disseminati nel mondo dell’informazione italiana e targati Epson sono anche antecedenti al 1995, parliamo del ‘93-94, solo un paio di anni prima ma che a ricordarli oggi, sembrano comunque anni luce perché si va in epoca in cui Internet era poco sviluppata. Eh sì! perché internet come la conosciamo oggi non c è sempre stata. 
Epson si appoggiava per il servizio ad una struttura i cui uffici erano situati in cima all’arco d’ingresso della galleria Vittorio Emanuele II di Milano. Le previsioni erano già targate col. Giuliacci, il quale si alternava con qualche collega dell’aeronautica tra cui il col.Foglia. Il colonnello Giuliacci, si avvaleva anche della collaborazione di giovani assistenti, tra cui la nostra Laura Bertolani e, occasionalmente, di qualche laureando, come il sottoscritto e Simone Abelli.”

Un luogo suggestivo e una palestra importante per i giovani che si approcciavano con entusiasmo a questo mestiere che, a tratti, poteva sembrare quasi una sfida tra l’uomo e l’atmosfera. Così continua Giovanni.

“Il rumore di fondo quasi perenne dell’ufficio era quello delle stampanti ad aghi, che stampavano le carte meteorologiche ricevute via radio. Minuti per ogni carta che conteneva non solo i parametri meteo, ma ogni tipo di interferenza. Morale della favola, la stampante partoriva scarabocchi in bianco e nero che gli assistenti, armati di pennarelli, matite colorate e tanta buona volontà, cercavano di tradurre in mappe comprensibili e di rapido utilizzo per il colonnello: e via a ricalcare isolinee di ogni tipo fino a che ti accorgevi che i 10 gradi di temperatura che stavi evidenziando avevano la strana forma del contorno geografico della Spagna! Un lavoraccio, come potrete ben immaginare, i tempi di produzione erano di gran lunga molto più dilatati rispetto a quelli odierni, mattinate intere per arrivare alla previsione del dopodomani.”

Un mondo in continua evoluzione quello delle previsioni del tempo e delle scienze dell’atmosfera e del clima. Nel 1995 infatti, si era già voltata una nuova pagina del modus operandi. Giovanni ricorda ancora.

“Io il 15 settembre del 1995 non c’ero, ero andato a servire la patria, ma quando ho ripreso i contatti l’anno successivo il “nostro” mondo era cambiato, anzi direi stravolto. L’evoluzione tecnologica e dei computer, la rete internet e l’accesso a miriadi di dati in pochi minuti ti mettevano sul tavolo decine di mappe colorate e ben definite che oggi si danno per scontate. Vi assicuro che ho strabuzzato gli occhi quando il colonnello me le mostrò orgogliosamente la prima volta. 
Comunque mi sento di dire che 25 anni fa uno degli ingredienti fondamentali, oltre ovviamente alle capacità e idee illuminate di persone come il colonnello e di Raffaele Salerno (attuale direttore scientifico e AD di Meteo Expert. ndr), per la nascita del Centro Epson Meteo è stata proprio l’evoluzione digitale e di internet”

Così un mondo sempre più digitale e interconnesso, grazie a internet, ha cambiato il lavoro e gli strumenti di chi realizza le previsioni del tempo. Un cambiamento accolto con entusiasmo con un lungo cammino portato avanti (per un quarto di secolo!) con la passione e la dedizione di sempre. Oggi, seppur con qualche comodità in più dovuta al progresso tecnologico, il lavoro di Meteo Expert continua incessantemente, grazie alla ricerca e alla innovazione da sempre presenti all’interno della nostra Società, ci si prepara alle prossime rivoluzioni tecnologiche e digitali, pronti a cogliere le opportunità che tali sfide ci porranno davanti.

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Correnti di risacca: cosa sono e perché sono così pericolose? [VIDEO] https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/meteo-spiegato-bene/correnti-di-risacca-cosa-sono-e-perche-sono-cosi-pericolose-video/ Thu, 30 Jul 2020 06:11:02 +0000 https://www.iconameteo.it/?p=51417 correnti di risaccaLe correnti di risacca sono un tipo di corrente marina potenzialmente molto pericolosa. Si tratta di un intenso flusso di acqua causato dal moto ondoso del mare di fronte alle spiagge prevalentemente sabbiose. L’accumulo di acqua lungo la costa provoca un aumento della pressione, compensato da un flusso di ritorno che si dirige dalla riva …

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Le correnti di risacca sono un tipo di corrente marina potenzialmente molto pericolosa. Si tratta di un intenso flusso di acqua causato dal moto ondoso del mare di fronte alle spiagge prevalentemente sabbiose. L’accumulo di acqua lungo la costa provoca un aumento della pressione, compensato da un flusso di ritorno che si dirige dalla riva verso il largo: questa corrente può raggiungere velocità molto elevate, anche di 9 km/h, ed è capace di trascinare con sé tutto ciò che incontra.

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MASCHERINE, CALDO intenso e SUDORE: come comportarsi? https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/mascherine-caldo-intenso-e-sudore-come-comportarsi/ Thu, 25 Jun 2020 10:56:23 +0000 https://www.iconameteo.it/?p=49577 mascherine caldo sudoreLe condizioni meteorologiche e climatiche, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, non interferiscono con la diffusione del virus: il coronavirus non viene “ucciso” né dal caldo, né dall’elevata umidità dell’aria, ma nemmeno dal freddo o dalla neve. «Non c’è motivo di pensare – spiega l’OMS – che il clima freddo possa uccidere il coronavirus o altre …

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Le condizioni meteorologiche e climatiche, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, non interferiscono con la diffusione del virus: il coronavirus non viene “ucciso” né dal caldo, né dall’elevata umidità dell’aria, ma nemmeno dal freddo o dalla neve. «Non c’è motivo di pensare – spiega l’OMS – che il clima freddo possa uccidere il coronavirus o altre malattie. La temperatura del corpo umano è di 36.6-37 gradi, a prescindere dalla temperatura dell’aria o dalle condizioni meteo». Per questo motivo, per prevenire il contagio e limitare il rischio di diffusione del nuovo coronavirus è bene continuare a seguire le raccomandazioni igieniche e le misure di distanziamento sociale.

Durante l’estate e le giornate di caldo intenso, però, la sudorazione può interferire con l’efficacia delle mascherine. Secondo le indicazioni fornite dall’OMS, infatti, il sudore può far bagnare le mascherine, rendendo «più difficile la respirazione e favorire la crescita di microorganismi». Per questo motivo le mascherine bagnate o danneggiate vanno buttate e sostituite con mascherine nuove. Anche se in possesso di mascherine di tessuto riutilizzabili, quando sporche o umide, vanno sostituite.

mascherine caldo sudore
Foto di Juraj Varga da Pixabay

Ricordiamo che le mascherine devono coprire naso e bocca e aderire bene al viso senza però stringere. Dopo 4 ore di utilizzo, la mascherina deve essere sostituita con una mascherina nuova. Le mascherine chirurgiche non vanno riutilizzate. Se in possesso di mascherine di tessuto riutilizzabili, queste devono essere lavate con un sapone e preferibilmente in acqua calda (60°) almeno una volta al giorno. Per ogni dubbio, vi invitiamo a consultare il sito del Ministero della Salute.

Per approfondire:

Coronavirus e caldo, il monito degli scienziati: dobbiamo arrivare all’estate preparati [VIDEO]

Inquinamento trasporta Coronavirus, non c’è proprio niente di ufficiale

 

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SOLE, raggi ultravioletti e indice UV: tutto quello che c’è da sapere https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/sole-indice-uv/ Wed, 24 Jun 2020 09:30:23 +0000 https://www.iconameteo.it/?p=49489 meteo caldoCon l’arrivo dell’estate e delle belle giornate, la maggior parte di noi si espone, prendendo il sole o semplicemente passeggiando all’aria aperta, a radiazioni e raggi UV. Il sole, infatti, emette radiazioni costituite dal “vento solare”, ossia particelle altamente energetiche costituite principalmente da protoni, elettroni e nuclei di elio, e da onde elettromagnetiche. La radiazione …

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Con l’arrivo dell’estate e delle belle giornate, la maggior parte di noi si espone, prendendo il sole o semplicemente passeggiando all’aria aperta, a radiazioni e raggi UV. Il sole, infatti, emette radiazioni costituite dal “vento solare”, ossia particelle altamente energetiche costituite principalmente da protoni, elettroni e nuclei di elio, e da onde elettromagnetiche. La radiazione elettromagnetica del sole è costituita per il 99% da raggi visibili, ossia dalla luce, da radiazioni dell’infrarosso, che danno la sensazione di calore, e da un minuscola frazione di raggi UV, i raggi ultravioletti.

Nonostante siano solo una piccola parte, i raggi UV sono i più dannosi. I raggi ultravioletti, infatti, riescono a penetrare nei tessuti più in profondità, fino ad interferire con il codice genetico delle cellule. Per questo motivo gli UV possono favorire lo sviluppo di forme tumorali. L’esposizione prolungata a raggi UV porta anche alla comparsa di eritemi, scottature. I raggi ultravioletti, però, in piccole dosi, possono anche stimolare la produzione di vitamina D, utilissima per prevenire l’osteoporosi, il diabete di tipo 1, diversi tipi di tumori, ma anche la depressione.

Ma cosa sono i raggi UV?

I raggi ultravioletti cadono in una banda dello spettro elettromagnetico con lunghezza d’onda compresa tra 100 e 400 nm (nanometri, 1 nm = 10-9 m) o, equivalentemente, tra 0,1 e 0,4 µm (micron, 1 µm = 10-6 m). I raggi UV vengono classificati in UVA, UVB e UVC a seconda della loro energia e dalla loro capacità di penetrare nella cute.

  • UVA: 400-315 nanometri
  • UVB: 315-280 nanometri
  • UVC: 280-100 nanometri

I più pericolosi sono gli UVC e UVB, detti anche raggi ultravioletti “duri” perché, per via di una lunghezza d’onda più corta riescono a penetrare più a fondo nei tessuti.

crema solare indice uv
Foto di chezbeate da Pixabay

Raggi UV e lo schermo dell’ozono

Senza l’atmosfera, i raggi UV sarebbero molto più pericolosi per l’uomo. L’ozono presente in atmosfera, infatti, riesce ad assorbire e retro-diffondere verso lo spazio gran parte degli UV provenienti dal sole. Questa barriera di ozono, presente tra gli 11 e i 15 chilometri di altezza, e l’ossigeno frena completamente i raggi UVC e circa l’80-89% dei raggi UVB. I raggi UVA, invece, riescono ad attraversare indenni l’atmosfera. Dei raggi ultravioletti provenienti dal sole, infatti,  solo i raggi UVA e (in piccola parte) UVB raggiungono la superficie terrestre. Una riduzione della concentrazione di ozono in atmosfera (buco dell’ozono) potrebbe quindi far aumentare la quantità di radiazione UV in arrivo dal sole, con maggiori rischi per la nostra salute.

Gli UVA costituiscono il 95% degli ultravioletti che arrivano sulla Terra: arrivano a tutte le latitudini e durante tutto l’arco dell’anno, e sono in grado di attraversare le nuvole e il vetro. Gli UVA sono dannosi per la pelle: sono la causa principale dell’invecchiamento prematuro della pelle e sono responsabili delle forme cancerogene come il melanoma e il carcinoma cutaneo a cellule basali. Stimolano la riattivazione della melanina riattivando la reazione dell’abbronzatura, ma non provocano eritemi o scottature.

Il restante 5% è costituito dai raggi UVB, più energici degli UVA e presenti soprattutto durante l’estate e nelle ore più calde della giornata. Gli UVB sono responsabili degli eritemi e delle scottature e anch’essi causano danni anche a lungo termine aumentando il rischio di tumori della pelle.

Cos’è l’Indice UV e da cosa dipende?

Per conoscere la quantità di radiazione ultravioletta in arrivo in un determinato luogo, è possibile consultare l’indice UV. Questo indice, sviluppato in collaborazione con l’OMS, l’UNEP (Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite) e l’ICNIRP (Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non-Ionizzanti), è stato pensato per aumentare la consapevolezza della popolazione sui rischi di una eccessiva esposizione alla radiazione solare.

L’indice UV è molto chiaro e spazia da 0 a 15 o 16: più è alto il valore, maggiore è il potenziale danno per la salute della pelle e degli occhi in un tempo più breve. Ai tropici, con sole allo zenit, l’indice UV raggiunge il valore 15 o 16, in Italia invece si ferma a 10. Durante la giornata l’indice UV cambia e raggiunge il picco durante le ore centrali della giornata. Quando il sole è più alto, infatti, i raggi compiono un percorso più breve dentro l’atmosfera, e per questo tra le 11 e le 13 arrivano dal 20 al 30 % degli UV.

L’indice UV cambia anche nell’arco delle stagioni e dipende dalle condizioni meteo. In Italia e, più in generale nelle regioni temperate, gli UV raggiungono la massima intensità in estate e la minima in inverno. Anche le condizioni meteo posso influire. Le nuvole possono infatti diminuire l’intensità dei raggi UV, con un calo che va dal 10% in presenza di velature al 70% con cielo coperto.

indice uv montagna
Foto di Claudia Beyli da Pixabay

I raggi UV sono molto più pericolosi in montagna che al mare. La radiazione ultravioletta aumenta con l’altitudine. In una settimana trascorsa a 2000 metri di quota a luglio si riceve una quantità di UV simile a quella che si assorbe durante 3 mesi di mare. Anche durante l’inverno i raggi UV sono più “forti” in montagna: nel trimestre invernale si riducono di 8 volte in montagna e di 16 volte in pianura. Inoltre, bisogna contare gli UV riflessi: al mare la sabbia riflette circa il 25% dei raggi UVB, mentre la neve in montagna ne riflette circa l’80%.

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In CITTÀ fa più CALDO, come mai? Il fenomeno dell’ISOLA di CALORE spiegato https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/in-citta-fa-piu-caldo-come-mai-il-fenomeno-dellisola-di-calore-spiegato/ Wed, 24 Jun 2020 08:02:24 +0000 https://www.iconameteo.it/?p=49505 caldo città isola di calorePerché in città fa più caldo che nelle zone circostanti? Si tratta di un fenomeno chiamato “isola di calore urbana“. In un pianeta sempre più sovrappopolato continua a crescere anche la percentuale della popolazione che vive nei centri urbani: oggi più della metà della popolazione mondiale vive in città e questa percentuale è in aumento. …

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Perché in città fa più caldo che nelle zone circostanti? Si tratta di un fenomeno chiamato “isola di calore urbana“.

In un pianeta sempre più sovrappopolato continua a crescere anche la percentuale della popolazione che vive nei centri urbani: oggi più della metà della popolazione mondiale vive in città e questa percentuale è in aumento. Il pianeta si sta scaldando a causa dei gas-serra, lo sappiamo ma, allargandosi, anche le aree urbanizzate diventano più calde: il fenomeno, conosciuto come “isola di calore urbana” (UHI: “Urban Heat Island”) viene studiato da molto tempo, ma resta quanto mai attuale nel momento in cui il riscaldamento globale accresce la frequenza e l’intensità delle ondate di calore proprio quando così tante persone abitano in una città o nelle grandi metropoli.

Il farmacista inglese Luke Howard fu fra i primi ad accorgersi che una città può essere più calda delle aree rurali circostanti: famoso per aver classificato nel modo moderno le nubi, nel 1818 pubblicò uno studio del clima di Londra dove descrisse il fenomeno. Da allora, le ricerche sulle particolarità del clima urbano e sull’effetto isola di calore sono state innumerevoli. Proviamo a capirne di più.

Figura 1 – la tipica distribuzione delle anomalie delle temperature notturne in una città. Fonte U.S. EPA

L’intensità di un’isola di calore è definita dalla differenza di temperatura tra il centro della stessa e le aree rurali circostanti: in media nelle grandi città (parliamo di agglomerati urbani dell’ordine di grandezza di un milione di abitanti) si registrano temperature medie annuali 1-3°C più alte rispetto al circondario, ma questo valore medio nasconde profonde variazioni tra la notte ed il dì e marcate differenze nel corso delle stagioni, fortemente modulate dal tempo meteorologico e dal contesto geografico in cui si trova la città. Le città più grandi e popolose posseggono un’isola di calore più intensa che può arrivare anche al valore di 12°C nelle condizioni più favorevoli al fenomeno, vale a dire durante le notti con cielo sereno e calma di vento.

Figura 2 – Andamento temporale della temperatura dell’aria in una città (linea rossa) e in un’area rurale vicina (linea verde). La linea nera rappresenta la differenza tra le due temperature, maggiore dopo il tramonto (sunset) e poco prima dell’alba (sunrise). Fonte: U.S. EPA

Nella figura 2 è mostrato il tipico andamento delle temperature dell’aria misurata in una città e nella campagna circostante, in condizioni di tempo stabile, con venti deboli e cielo sereno: come si può vedere attorno al mezzogiorno la temperatura in città è simile a quella delle zone rurali, o perfino leggermente inferiore (isola di calore negativa, capiremo meglio in seguito che è più frequente nei climi aridi); alla sera, invece, mentre nelle zone verdi la temperatura si abbassa velocemente in città scende con lentezza, restando più alta di qualche grado fino all’alba; al mattino, infine, i moti convettivi e turbolenti indotti dall’alzarsi del sole sull’orizzonte e dal suo calore tendono a rimescolare i bassi strati atmosferici e a dissipare l’anomalia termica cittadina.

Per quale motivo le città sono più calde, specialmente nel loro centro e durante le ore notturne?

Le cause sono principalmente quattro: le proprietà termiche dei materiali con cui è costruito l’ambiente urbano; le pavimentazioni impermeabili unite alla mancanza di vegetazione; la “geometria” delle città; il calore generato dalle attività umane (motori, caldaie …). Di queste l’ultima, il calore antropico, pur potendo essere una causa localmente significativa nelle aree più dense e, come intuitivo, soprattutto in inverno, è quella di gran lunga meno importante, e pertanto esamineremo con dettaglio solo le prime tre.

I materiali con cui sono costruite le città, si pensi solo all’asfalto di colore nero, sono in prevalenza poco riflettenti nei confronti dalla radiazione solare (in termini tecnici si dice che hanno un’albedo bassa) e posseggono un’alta capacità termica (possono cioè immagazzinare molto calore). Questa circostanza, unita all’effetto della geometria cittadina crea una vera e propria trappola nei confronti del calore assorbito. L’infrastruttura urbana, infatti, è in grado di moltiplicare l’albedo effettiva della superficie cittadina perché la radiazione solare entrante viene riflessa e assorbita più volte tra i muri degli edifici (si veda la figura 3). Durante la notte il calore assorbito nelle ore precedenti viene perduto verso lo spazio nella forma di radiazione ad onda lunga (o infrarossa) e anche in questo caso i raggi termici, emessi in tutte le direzioni, possono essere riflessi e assorbiti di nuovo in quello che è stato definito il “canyon urbano”. Per descrivere in modo quantitativo questo fenomeno a volte si introduce il cosiddetto “sky view factor”, che misura la porzione di cielo visibile da basso: nei centri cittadini dove gli edifici sono più alti e vicini fra loro questo fattore è molto piccolo e pertanto lì l’isola di calore è massima.

Figura 3: il bilancio termico in una città è influenzato dalle multi riflessioni fra gli edifici della radiazione a onda lunga (long-wave radiation) e di quella a onda corta (short-wave). Gli altri termini del bilancio sono il calore antropogenico, il calore sensibile, quello immagazzinato ed il calore latente. Fonte: U.S. EPA

L’ultimo aspetto che resta considerare, ma non certo per importanza, è il ruolo svolto dalla vegetazione e dalle superfici impermeabilizzate. Le città, specialmente al loro centro, ma anche nei quartieri commerciali e produttivi sono caratterizzate dalla mancanza o dalla grande scarsità di vegetazione e da vaste superfici impermeabilizzate, soprattutto perché coperte dall’asfalto. Il suolo libero e soprattutto gli alberi sono soggetti all’evapotraspirazione: una porzione significativa dell’energia che giunge dal sole viene impiegata per far evaporare l’acqua contenuta nel suolo o nelle foglie e pertanto tali superfici rimangono più fresche; questa energia è detta calore latente e ha un ruolo fondamentale sia nel bilancio termico delle superfici sia, più in generale, nei processi atmosferici.

All’effetto rinfrescante dell’evapotraspirazione, nel caso degli alberi, occorre aggiungere la loro importante funzione di ombreggiare la superficie sottostante, impedendo ad una parte dei raggi solari di finire nella “trappola” che abbiamo descritto poco sopra. L’effetto dell’evapotraspirazione aiuta a spiegare uno dei motivi per cui le città, a parità di dimensioni, non sperimentano la stessa isola di calore: nelle aree più aride e aventi scarsa vegetazione il bilancio termico non è così diverso tra campagna e città, perché in entrambi i casi c’è poca acqua che può evaporare. Inoltre sono molteplici le diverse condizioni climatiche e meteorologiche che possono influenzare l’intensità dell’isola di calore urbana: ora che abbiamo compreso i meccanismi che ne sono all’origine non sarà difficile immaginarli. Le città poste in aree ventose, naturalmente, saranno meno soggette al fenomeno; l’isola di calore si svilupperà poco dopo una giornata con cielo coperto durante la quale la radiazione solare è stata scarsa; meno ancora durante lunghi periodi piovosi e ventosi.

A proposito di precipitazioni, prima di concludere vale davvero la pena fare almeno un cenno all’influenza delle città sulla distribuzione e sull’intensità delle piogge. Questo aspetto ha meritato un’attenzione più tardiva rispetto al fenomeno dell’isola di calore e risulta anche un po’ meno compreso per via della sua complessità. Ecco in estrema sintesi quello che oggi sappiamo: le città tendono a generare un aumento della quantità di pioggia sul loro centro e sulle aree sottovento alle stesse; l’incremento medio nelle precipitazioni è quantificabile fra il 16 ed il 18% in più rispetto alle aree circostanti, fino a una distanza di 20-50km; l’aumento di pioggia sopra il centro cittadino si osserva sia di giorno che di notte, mentre l’aumento sottovento è un fenomeno diurno. L’origine di questo incremento va ricercata principalmente nella maggiore quantità di calore che le città possono fornire alle celle convettive (le cui piogge sono rilasciate sopra alla città o sottovento alla stessa) e nella “rugosità” del tessuto cittadino. Scritto con parole più semplici, le città, specialmente se composte da edifici molto alti, rappresentano un ostacolo per i venti che soffiano sopra di esse, i quali tendono a generare moti verticali sopra la città o ad aggirarla per poi convergere sottovento, come se vi fosse una collina. Oltre a ciò, la città costituisce anche una sorgente di aerosol e particolato, che possono influire in modo complesso sulle caratteristiche microfisiche della nube e sull’eventuale sviluppo delle precipitazioni.

Come abbiamo mostrato, sia pure sinteticamente, l’isola di calore urbana è stata lungamente studiata ed è compresa piuttosto bene nelle sue cause. Racconteremo dei suoi effetti (prevalentemente negativi) sugli abitanti e sull’ambiente in un prossimo approfondimento, dove delineeremo anche le principali strategie di mitigazione del fenomeno. Anticipiamo e ribadiamo che in un pianeta sempre più caldo dove sempre più persone abitano in grandi metropoli il problema dovrebbe essere fra i primi in cima alla lista dei più urgenti da affrontare. Alcune soluzioni sono davvero a portata di mano, (non è difficile immaginare che parleremo molto di alberi …) altre sono allo studio o si stanno sperimentando.

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Forte MALTEMPO al Nord: perché si sono scatenati temporali così intensi? https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/maltempo-al-nord-perche-temporali-cosi-intensi/ Fri, 15 May 2020 08:25:36 +0000 https://www.iconameteo.it/?p=47342 maltempo temporali allerta meteoE’ stata una notte di forte maltempo su molte regioni del Nord Italia. La perturbazione che ha raggiunto il Nord Italia la notte scorsa (tra il 14 e il 15 maggio) è stata accompagnata da precipitazioni di origine convettiva significative, soprattutto su Piemonte e Lombardia. L’episodio ha avuto inizio nella serata del 14 con lo …

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E’ stata una notte di forte maltempo su molte regioni del Nord Italia. La perturbazione che ha raggiunto il Nord Italia la notte scorsa (tra il 14 e il 15 maggio) è stata accompagnata da precipitazioni di origine convettiva significative, soprattutto su Piemonte e Lombardia.

L’episodio ha avuto inizio nella serata del 14 con lo sviluppo dei primi forti temporali nell’area del Pavese e dell’Alessandrino; successivamente, tra la tarda serata e la notte temporali di forte intensità hanno interessato soprattutto il settore di pianura compreso tra Milano ed il Torinese orientale.

Durante l’evento sul Nord-Ovest italiano si sono contate oltre 25000 fulminazioni e accumuli di pioggia diffusamente superiori ai 30 mm (o litri per metro quadrato). I quantitativi maggiori sono stati misurati immediatamente ad ovest di Milano (150 mm nella stazione CML di Boscoincittà), mentre nella parte orientale della stessa città si sono osservati circa 30 mm (Linate).

Una breve analisi tecnica

L’evento è stato simulato in modo corretto dai principali modelli e si inserisce in contesto meteorologico abbastanza “estremo”: il sud del nostro Paese è raggiunto da correnti africane eccezionalmente calde per la stagione (ma un po’ di sabbia del deserto è caduta nella pioggia il giorno 13 anche sul Nord Italia), mentre sulle regioni nord-occidentali la massa d’aria è decisamente più temperata.

Sul Nordovest, dopo le piogge di mercoledì 13 le schiarite che si sono sviluppate nel corso del giovedì hanno favorito un buon riscaldamento dello strato limite che alla fine della giornata risulta caldo e particolarmente umido. In questo contesto, nel letto di correnti sudoccidentali, il Nordovest viene raggiunto nella serata da una piccola onda ciclonica in quota che favorisce il sollevamento dell’aria ed il conseguente rilascio dell’instabilità.

I radiosondaggi di Milano Linate evidenziano un calo delle temperature alla quota di 500 hPa dai circa -14°C delle ore 14 locali ai -17°C delle 2 di notte. Il radiosondaggio di Linate delle ore 2 (00Z) mostra anche altri aspetti interessanti: una forte e umida corrente da est nei bassi strati (low-level jet) con velocità comprese tra 28 a 35 nodi che verosimilmente ha contribuito a creare la convergenza osservata appena ad ovest della città; uno strato di aria asciutta, al di sopra di 4200 m circa, che potrebbe avere dato origine al rilascio dell’instabilità potenziale (si veda anche il gradiente verticale della temperatura potenziale equivalente).  In ultimo, con riferimento alla mappa del geopotenziale a 500 hPa, si può osservare come le correnti a questa quota, sul Nordovest, fossero piuttosto deboli. Se da un lato questa situazione può avere impedito l’organizzarsi delle celle convettive, dall’altro ha senz’altro favorito la persistenza delle celle più intense sullo stesso punto, oltre ad aver focalizzato l’insieme dell’evento sulla pianura, anziché verso Alpi o Prealpi (ciò che si verifica, di norma, con correnti forti da sud in quota).

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Fin qui il 2020 è uno degli anni più caldi per l’Italia https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/fin-qui-il-2020-e-uno-degli-anni-piu-caldi-per-litalia/ Tue, 12 May 2020 10:04:35 +0000 https://www.iconameteo.it/?p=47122 italia 2020 climaIl 2020 non è iniziato con il piede giusto dal punto di vista climatico: i primi 4 mesi dell’anno sono stati segnati da temperature superiori alla norma a livello nazionale, tanto da rendere l’anno in corso uno dei più caldi per l’Italia. Sul fronte delle precipitazioni, il periodo gennaio-aprile risulta poco piovoso in modo abbastanza …

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Il 2020 non è iniziato con il piede giusto dal punto di vista climatico: i primi 4 mesi dell’anno sono stati segnati da temperature superiori alla norma a livello nazionale, tanto da rendere l’anno in corso uno dei più caldi per l’Italia. Sul fronte delle precipitazioni, il periodo gennaio-aprile risulta poco piovoso in modo abbastanza uniforme in tutto il territorio: all’appello manca un terzo della pioggia con 21 miliardi di metri cubi di pioggia in meno rispetto alla media.

TEMPERATURA (°C) PRECIPITAZIONI
Aprile +0.9 -31%
Primavera +0.6 -5%
Da inizio anno +1.3 -34%

Nel corso del mese di aprile il Vortice Polare stratosferico ha completato la sua definitiva transizione nella modalità anticiclonica tipica del semestre caldo boreale attraverso un ultimo riscaldamento (final warming) cominciato nella seconda metà di marzo, con conseguente graduale indebolimento del vortice stesso, fino alla completa inversione dei venti zonali fra gli ultimi giorni di aprile e i primi di maggio. Anche sotto questo aspetto, quindi, si può considerare avviata la stagione calda.

In corrispondenza del continente europeo la circolazione atmosferica è stata caratterizzata da livelli di pressione mediamente più elevati sul settore centrale, nord-occidentale e mediterraneo, mentre nelle altre zone ha prevalso una circolazione ciclonica, in particolare fra la Russia e i Paesi più orientali dove l’anomalia è stata piuttosto marcata. Questa configurazione lascia trasparire una corrispondente distribuzione dell’anomalia termica, con scarti negativi nelle zone orientali e positivi in quasi tutti gli altri settori, in particolare con i massimi valori tra la Francia e la Svizzera che hanno avuto il 3° aprile più caldo delle rispettive serie storiche secolari. Ancora una volta sul continente hanno prevalso gli scarti positivi, come messo in risalto dalle elaborazioni del Copernicus Climate Change Service che evidenziano un’anomalia complessiva pari a +0.6°C, valore comunque non molto di spicco nell’insieme dei dati storici.

Le anomalie del mese di Aprile in Italia

Anche l’Italia rientra nelle aree con anomalia termica positiva. In particolare lo scarto a livello nazionale è stato di +0.9°C, dovuto in gran parte agli elevati valori riscontrati al Nord (mediamente +1.4°C) e in Sardegna (+1.8°C). Pur essendo un valore notevole, non risulta particolarmente rilevante nell’ambito della serie storica che in effetti contempla un buon numero di mesi di aprile molto più miti. In realtà, come nei mesi passati, le anomalie positive sono ancora una volta dovute ai valori decisamente fuori norma delle temperature massime. Considerando, infatti, questo parametro, il mese di aprile risale la classifica raggiungendo il 6° posto a livello nazionale con un’anomalia delle massime di +1.6°C e addirittura il 4° posto per quel che riguarda le regioni settentrionali dove lo scarto delle massime è stato di +2.4°C.

ANOMALIE APRILE 2020
TEMPERATURA (°C) PRECIPITAZIONI
ITALIA +0,9 -31%
Nord-Ovest +1.7 -40%
Nord-Est +1.1 -55%
Centro +0.7 -36%
Sud +0.2 +18%
Sicilia +0.4 -74%
Sardegna +1.5 +48%

Nonostante la predominanza dei periodi più caldi della media, nel corso del mese si sono evidenziate anche due fasi più fredde della norma: una a metà mese causata dalla discesa di una massa d’aria artica che ha interrotto il lungo periodo mite pasquale, un’altra nei primi giorni del mese, molto più incisiva e derivante dall’ultima irruzione artica di marzo che ha determinato un inizio di aprile piuttosto freddo con nevicate a quote collinari al Sud e temperature minime sottozero in molte zone. Da segnalare i -2.4°C osservati a Grosseto il giorno 1, che rappresentano per questa città il valore più basso degli ultimi 40 anni.

 

Per quanto riguarda le precipitazioni, il mese si suddivide grosso modo in due parti distinte: una lunga prima fase siccitosa e un’ultima decade perturbata e piovosa. A livello nazionale ha prevalso la carenza di precipitazioni con un deficit complessivo pari a -31%, ma con una distribuzione non omogenea sul territorio. Questo dato, infatti, è il risultato dei valori decisamente inferiori alla norma al Nord (-40% al Nord-Ovest e -55% al Nord-Est), al Centro (-36%) e in Sicilia (-74%), combinati con i valori sopra la media al Sud (+18%) e in Sardegna (+48%). Anche in questo caso, pur rappresentando una conferma della tendenza verso mesi di aprile sempre più siccitosi, per l’Italia intera non si tratta di un dato di particolare rilievo nell’ambito della serie storica. Per il Nord, invece, lo scarto medio di -47% rappresenta il 6° deficit più ampio degli ultimi 60 anni.

Fin qui il 2020 è uno degli anni più caldi della serie storica

La stagione primaverile ancora in corso evidenzia anomalie dello stesso segno di quelle del mese di aprile, ma più contenute a causa del mese di marzo più piovoso della media e solo leggermente più caldo del normale. Le anomalie positive di temperatura in tutto il territorio hanno determinato uno scarto complessivo pari a +0.6°C, mentre la combinazione di valori di precipitazione sotto la media al Centro-Nord e quelli sopra la media al Sud e Isole ha dato origine a un’anomalia pluviometrica pari a -5% a livello nazionale.

 

Da inizio anno, invece, la tendenza si mostra molto più netta. I calcoli confermano, infatti, un’anomalia termica decisamente elevata (+1.3°C) che al momento mantiene il 2020 fra gli anni più caldi della serie storica, mentre il deficit pluviometrico si assesta a -34%, con una distribuzione abbastanza uniforme in tutto il territorio, che corrisponde a 21 miliardi di metri cubi di pioggia in meno rispetto alla media.

ANOMALIE DA INIZIO ANNO
TEMPERATURA (°C) PRECIPITAZIONI
ITALIA +1.3 -34%
Nord-Ovest +1.8 -36%
Nord-Est +1.6 -38%
Centro +1.2 -36%
Sud +0.7 -27%
Sicilia +0.5 -40%
Sardegna +1.5 -20%

A livello globale aprile segna un nuovo primato dal punto di vista termico. Infatti, secondo il Copernicus Climate Change Service rappresenta il più caldo della serie storica insieme all’aprile del 2016, a meno di una lieve differenza di 0.01°C. Fra le zone con anomalia positiva più elevata spiccano l’Asia centro-settentrionale, la Groenlandia e l’Antartide, mentre notevoli anomalie negative sono state osservate soprattutto nel Nord America.

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SICCITÀ negli USA: la peggiore degli ultimi 1200 anni https://www.iconameteo.it/news/siccita-negli-usa-la-peggiore-degli-ultimi-1200-anni/ Tue, 21 Apr 2020 15:41:34 +0000 https://www.iconameteo.it/?p=46371 Siccità negli Usa: la peggiore degli ultimi 1200 anniLa siccità in atto nel sud-ovest degli Usa potrebbe essere la peggiore degli ultimi 1200 anni. Ad affermarlo è uno studio recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Science. Un clima così arido non si sarebbe registrato dal IX secolo. Parliamo di un vero e proprio megadroughts, ossia di un periodo di siccità che si prolunga per …

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La siccità in atto nel sud-ovest degli Usa potrebbe essere la peggiore degli ultimi 1200 anni. Ad affermarlo è uno studio recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Science. Un clima così arido non si sarebbe registrato dal IX secolo. Parliamo di un vero e proprio megadroughts, ossia di un periodo di siccità che si prolunga per più di vent’anni. La causa, secondo i ricercatori, è rappresentata dall’emergenza climatica. In particolare, il riscaldamento globale rappresenterebbe, da solo, oltre il 50% del problema. Il caldo anomalo, d’altra parte, è un problema che attanaglia tutto il Pianeta. Proprio in questi giorni si registrano temperature record nei Balcani.

La ricerca ha esaminato gli anelli degli alberi su migliaia di ettari di territorio

Lo studio si è basato sull’analisi di centinaia di migliaia di ettari di territorio. A firmarlo, un gruppo di ricercatori della Columbia University. Una superficie che si estende attraverso nove Stati, dall’Oregon e dal Montana fino a California, Arizona, New Mexico e parte del Messico settentrionale. In particolare, i ricercatori hanno studiato gli anelli degli alberi. Questo perchè gli anelli degli alberi consentono di misurare la quantità di umidità presente nel suolo di secoli fa. Hanno poi fatto osservazioni meteorologiche sulla situazione in atto, confrontandola con i modelli climatici a disposizione. A dirlo è CBS News.

Secondo gli studiosi, il sud-ovest degli Usa sta vivendo la peggior siccità degli ultimi 1200 anni

Il team di ricercatori ha evidenziato che la parte sud-occidentale degli Usa, negli ultimi 1200 anni, ha vissuto già quattro megadroughts. La prima alla fine dell’800, la seconda a metà 1100, la terza nel 1200, la quarta alla fine del 1500. La siccità attuale sarebbe proprio paragonabile a quella di fine 1500. Per la precisione, parliamo degli anni collocati tra il 1575 e il 1603, come riporta CBS News. Entrambi i periodi siccitosi, quello attuale e quello della fine del XVI secolo, sono i peggiori degli ultimi 1200 anni.

La peggior siccità degli ultimi 1200 anni negli Usa è la causa di gravissimi incendi

Durante questi lunghi periodi siccitosi, l’aria estremamente calda ha prosciugato i terreni dalla loro umidità, rendendoli così estremamente aridi. “Questo sembra essere solo l’inizio di un inaridimento estremo del terreno. E intanto il riscaldamento globale continua“, affermano gli autori dello studio. E, intanto, la siccità causa gravissimi incendi. I roghi in California ne sono un esempio. Oltre a rappresentare una seria minaccia per l’approvvigionamento idrico della popolazione e la possibilità di irrigare i campi.

Il riscaldamento globale è all’origine dei periodi siccitosi

Sappiamo che questa siccità è stata favorita dal riscaldamento globale”, sottolinea l’autore principale dello studio, A. Park Williams. Bioclimatologo del Lamont-Doherty Earth Observatory presso la Columbia University, Williams dice al New York Times: “Man mano che passa il tempo, sarà sempre più difficile risolvere questo grave problema (…). Stiamo vivendo la siccità peggiore dell’epoca moderna. Una siccità paragonabile soltanto alle più gravi megadroughts del periodo preistorico”.

La situazione è destinata ad aggravarsi sempre più

Se non vengono attuati rimedi, la situazione andrà aggravandosi sempre più. E la siccità negli Usa non sarà più la peggiore degli ultimi 1200 anni. “Il riscaldamento globale causato dall’uomo e le sue ripercussioni sono probabilmente ancora all’inizio”. Lo riferiscono i ricercatori alla CNN. “L’entità delle prossime siccità nel Nord America e in altre zone del pianeta dipenderà per buona parte dalla quantità di gas serra emesso in atmosfera”. Un monito a porre sempre maggior attenzione all’emergenza climatica. Anche negli Usa, dove questa sensibilità pare essere ancora assopita e diluita in mezzo a tanti altri problemi.

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OCEANI CALDI ed EVENTI ESTREMI: un legame strettissimo https://www.iconameteo.it/news/notizie-mondo/oceani-caldi-ed-eventi-estremi-un-legame-strettissimo/ Mon, 20 Apr 2020 14:57:38 +0000 https://www.iconameteo.it/?p=46335 Oceani sempre più caldi causano eventi estremiOceani sempre più caldi causano eventi estremi con maggiore frequenza e pericolosità. Ad affermarlo sono i risultati di alcune recenti ricerche. Risultati pubblicati in questi giorni sulla piattaforma di news Bloomberg.com. La paura per l’emergenza coronavirus dilaga. Ma non dobbiamo per questo dimenticare che incombe anche un altro, gravissimo problema. Il riscaldamento globale. E gli …

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Oceani sempre più caldi causano eventi estremi con maggiore frequenza e pericolosità. Ad affermarlo sono i risultati di alcune recenti ricerche. Risultati pubblicati in questi giorni sulla piattaforma di news Bloomberg.com. La paura per l’emergenza coronavirus dilaga. Ma non dobbiamo per questo dimenticare che incombe anche un altro, gravissimo problema. Il riscaldamento globale. E gli oceani sono la miglior cartina di tornasole a tale scopo. L’acqua del mare, infatti, immagazzina e trattiene il calore in quantità di gran lunga maggiore rispetto all’atmosfera.

Negli ultimi sei anni si sono registrate le temperature oceaniche più elevate

Che l’acqua degli oceani sia sempre più calda lo dimostra un dato preciso. Il fatto, cioè, che i cinque anni con le temperature dell’acqua marina più calda della storia siano collocati proprio tra il 2014 e il 2020. “Questo fatto è correlato ai cambiamenti climatici”, dice Jennifer Francis, ricercatore presso il Woods Hole Research Center del Massachusetts. Marzo 2020 ha registrato il secondo livello più alto per quanto riguarda le temperature del mare dal 1880.

Oceani sempre più caldi causano eventi estremi
Temperatura delle acque oceaniche registrata il 18 aprile 2020 (Fonte: NOAA)

Oceani molto caldi sono alla base degli eventi estremi degli ultimi mesi

Il riscaldamento continuo delle acque del mare rappresenta una grande preoccupazione per tutta la comunità scientifica. La maggior parte degli studiosi sostiene infatti che esso sarà alla base di un numero sempre maggiore di eventi estremi. Secondo i Centri nazionali statunitensi per le informazioni ambientali (U.S. National Centers for Environmental Information) nel mese scorso molte zonw dell’Atlantico, del Pacifico e dell’Oceano Indiano hanno toccato temperature da record. Proprio queste temperature da record, in base a quanto affermano gli scienziati, sono alla base degli eventi estremi registrati negli ultimi mesi. A partire dagli uragani in Atlantico, gli incendi in Australia e in Amazzonia, i tornado negli Stati Uniti.

Nel Golfo del Messico il record di temperatura delle acque oceaniche si è poi tradotto in record di temperatura a terra

Tutta la fascia tropicale oceanica ha temperature sopra le medie”, afferma Michelle L’Heureux, meteorologo dello U.S. Climate Prediction Center. “E c’è una forte componente di riscaldamento globale in tutto questo. È davvero sorprendente vedere quanto sia calda la fascia tropicale degli oceani”. Il record di temperatura nelle acque del Golfo del Messico, per esempio, si è tradotto in temperature decisamente elevate anche sulla Terra. Lo dice Deke Arndt, capo della sezione di monitoraggio presso i National Centers for Environmental Informatioad Asheville, nella Carolina del Nord. “La Florida ha registrato il suo marzo più caldo mai registrato, e Miami, la scorsa settimana, ha raggiunto i 33 gradi”. Una temperatura-record, secondo il National Weather Service. Un valore di ben 10 gradi sopra la norma stagionale.

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Nuvole a forma di onda: come si formano le nubi di Kelvin-Helmholtz? [VIDEO] https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/meteo-spiegato-bene/nuvole-kelvin-helmholtz-video/ Thu, 09 Apr 2020 12:20:44 +0000 https://www.iconameteo.it/?p=46025 nuvole Kelvin-HelmholtzOsservare nel cielo nubi “ad onda” è davvero raro. Furono osservate per la prima volta alla fine del diciannovesimo secolo dal fisico scozzese Willian Thomson Kelvin e dal fisico tedesco Hermann von Helmholtz, da cui hanno preso il loro nome.

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Osservare nel cielo nubi “ad onda” è davvero raro. Furono osservate per la prima volta alla fine del diciannovesimo secolo dal fisico scozzese Willian Thomson Kelvin e dal fisico tedesco Hermann von Helmholtz, da cui hanno preso il loro nome.

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Inversione termica, cos’è e come si genera [VIDEO] https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/meteo-spiegato-bene/inversione-termica-cose-video/ Sat, 14 Dec 2019 14:45:16 +0000 https://www.iconameteo.it/?p=43092 inversione termicaL’inversione termica è un fenomeno per cui la temperatura, invece di diminuire, aumenta con l’aumentare della quota. Com’è possibile? La spiegazione nel video:

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L’inversione termica è un fenomeno per cui la temperatura, invece di diminuire, aumenta con l’aumentare della quota. Com’è possibile? La spiegazione nel video:

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Föhn, storia di un vento particolare [VIDEO] https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/meteo-spiegato-bene/fohn-video/ Sat, 14 Dec 2019 14:41:35 +0000 https://www.iconameteo.it/?p=43089 FöhnConosciamo meglio il vento di Föhn (o Favonio): il video dei meteorologi ci spiega come si genera, quali sono le sue caratteristiche e quali le sue conseguenze.

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Conosciamo meglio il vento di Föhn (o Favonio): il video dei meteorologi ci spiega come si genera, quali sono le sue caratteristiche e quali le sue conseguenze.

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Effetto lago: cos’è e come si genera [VIDEO] https://www.iconameteo.it/news/approfondimenti/meteo-spiegato-bene/effetto-lago-cosa-e/ Sat, 14 Dec 2019 14:19:35 +0000 https://www.iconameteo.it/?p=43061 effetto lagoL’effetto lago è un fenomeno che provoca intense nevicate nelle zone vicine a laghi o mari. La spiegazione dei meteorologi nel video: Meteo spiegato bene: tutti gli approfondimenti

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L’effetto lago è un fenomeno che provoca intense nevicate nelle zone vicine a laghi o mari. La spiegazione dei meteorologi nel video:

Meteo spiegato bene: tutti gli approfondimenti

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