Notizie Italia

Il caldo anomalo sulle alpi e la sofferenza dei ghiacciai

La terza ondata di calore dell’estate 2023 è entrata nel vivo con temperature che ovunque si attestano su valori di diversi gradi superiori a quelli che si dovrebbero registrare in questo periodo. In città le anomalie di temperatura segnano anche 10 °C in più rispetto alla media stagionale, ma è in montagna che si sta assistendo allo scenario più sconcertante. Un indicatore per capire la situazione termica sulle Alpi è l’osservazione dello zero termico, ovvero la quota oltre la quale le temperature sono pari o inferiori agli zero gradi. In questi giorni lo zero termico è schizzato a quota 5000 metri, il che significa che tutte le nostre montagne stanno registrando valori superiori allo zero. Questa è una situazione anomala anche per la stagione estiva. Non va meglio neanche per le Alpi oltre i confini nazionali, i dati di Meteo Suisse confermano che nella notte tra domenica 20 e lunedì 21 lo zero termico sopra Payerne è salito fino a 5298 metri, un record dal 1954. In tutto il mondo la maggior parte dei ghiacciai di montagna si sta ritirando a causa dell’aumento delle temperature causato dal riscaldamento globale, ma i ghiacciai delle Alpi sono particolarmente vulnerabili. Laumento delle temperature in quest’area avanza a ritmi doppi rispetto alla media globale provocando una più rapida fusione del ghiaccio e una minore presenza di neve, fondamentale nei mesi più freddi per ricostruire il ghiaccio perso e nei mesi più caldi per proteggere il ghiaccio sottostante attraverso una copertura bianca. Un altro fattore di vulnerabilità è rappresentato dalla dimensione dei ghiacciai: quelli delle Alpi sono più piccoli rispetto alla maggior parte dei ghiacciai di montagna che si trovano sul resto del Pianeta, con una copertura di ghiaccio piuttosto ridotta che di conseguenza fonde più facilmente. Molte e gravi le conseguenze della fusione dei ghiacciai sulle Alpi, uno di questi riguarda la sicurezza.  In questi giorni si ricorda la tragedia della Marmolada del 3 luglio dello scorso anno, in cui la situazione meteo-climatica giocò un ruolo determinante. Nell’estate 2022 il Nord-Italia riversava in uno stato di emergenza idrica che riguardava anche la regione alpina e i ghiacciai, sui quali ciò che più è mancato sono state le precipitazioni nevose del semestre freddo.  Questa condizione unita alle elevate temperature (con lo zero termico più volte al di sopra dei 4000 metri) dei mesi che hanno preceduto il distacco del seracco glaciale, hanno favorito l’apporto continuo di calore sul ghiacciaio, provocando un ininterrotto periodo di fusione dai caratteri eccezionali. In questi giorni – domenica 20 –  la cima della Marmolada ha registrato una temperatura massima di 13,3 °C, segnando un record. La temperature massima del 3 luglio 2022, giorno del crollo di una parte del ghiacciaio, la temperatura si attestava sui 12,7 °C. Naturalmente il distacco fu provocato da un insieme di fattori e non dalla temperatura anomala di un singolo giorno, ma questi dati ci mostrano quanto sia evidente la continua e crescente sofferenza della regione alpina. Lo stato di sofferenza delle nostre montagne e dei ghiacciai influisce direttamente sulla disponibilità di risorse idriche, non solo per la regione alpina, ma per tutte quelle zone che dipendono direttamente dall’acqua che proviene dai ghiacciai per la sussistenza delle persone e per le attività produttive. Questo, in un contesto di cambiamento climatico che vede una tendenza all’aumento dei periodi di siccità, costituisce un ulteriore aspetto di vulnerabilità. Il clima che cambia ci sta portando verso condizioni di vita inedite, alle quali già oggi sembra molto complesso, dispendioso e difficoltoso adattarsi. Ma ci sta portando anche verso terre inedite composte da nuovi ecosistemi terrestri, marini e d’acqua dolce che andranno molto difficilmente a convivere e molto più probabilmente a sostituire quelli esistenti. Uno studio condotto da un gruppo di ricerca franco-svizzero e pubblicato sulla rivista scientifica Nature, analizza l’emergere di nuovi ecosistemi dovuti al ritiro dei ghiacciai e ne deduce che entro il 2100, il declino di tutti i ghiacciai al di fuori delle calotte glaciali dell’Antartide e della Groenlandia potrebbe produrre nuovi ecosistemi terrestri, marini e d’acqua dolce su un’area che va dalle dimensioni del Nepal (149.000 ± 55.000 km2) a quella della Finlandia (339.000  ± 99.000  km2). L’analisi mostra che la perdita di area del ghiacciaio varierà dal 22 ± 8% al 51 ± 15%, a seconda dello scenario climatico. In uno scenario di emissioni elevate, entro il 2100 potrebbe andare persa circa la metà dell’area glaciale del 2020. Se invece le emissioni globali si riducono, la perdita potrebbe essere di circa un quinto inferiore. Il restringimento dei ghiacciai e lo sviluppo di ecosistemi post-glaciali sono alcuni dei più rapidi cambiamenti ecosistemici in corso, con marcate conseguenze a cascata ecologiche e sociali. << Facendo eco alla recente risoluzione delle Nazioni Unite che dichiara il 2025 Anno internazionale della conservazione dei ghiacciai e al Global Biodiversity Framework, sottolineiamo la necessità di migliorare urgentemente e simultaneamente la mitigazione dei cambiamenti climatici e la protezione di questi ecosistemi per garantirne l’esistenza, il funzionamento e valori>>. Questo è l’appello del team di ricerca che ci ricorda come l’unico modo per proteggere gli ecosistemi montani sia ridurre le emissioni di gas serra e mitigare il cambiamento climatico, tutto il resto è un passo in più verso il canto del cigno dei ghiacciai.

Leggi anche: Coprire i ghiacciai non significa salvarli: la lettera degli scienziati

© Iconameteo.it - Il presente contenuto è riproducibile solo in parte, non integralmente, inserendo la citazione della fonte (Iconameteo.it) e il link al contenuto originale

Articoli correlati

Back to top button