Alluvione Romagna, la crisi climatica non c’entra? Lo studio
L‘alluvione che ha colpito la Romagna a maggio, in seguito a 3 eventi piovosi registrati, non è attribuibile alla crisi climatica e al cambiamento climatico. Lo studio preliminare di attribuzione realizzato dagli esperti del World Weather Attribution, ha stabilito che alla base del disastro non c’è il riscaldamento globale, ma una combinazione di fattori da individuare nell’eccezionalità dell’evento e la forte urbanizzazione dell’area.
Alluvione in Romagna: la crisi climatica non c’entra? I risultati dello studio
Il primo dei tre eventi piovosi, registrati il 2, il 10 e il 16 maggio, ha portato piogge a tratti intense su un suolo impermeabilizzato da due anni di siccità. Gli ultimi 2 eventi, invece, hanno portato piogge intense su un suolo ormai saturo, incapace dunque di assorbire nuova acqua.
La pioggia caduta in poco più di due settimane, pari a quantitativi che normalmente cadono nell’arco di 6 mesi, hanno provocato l’esondazione di 23 fiumi, allagando le zone limitrofe, e oltre 400 frane. Sono 17 le vittime dell’alluvione che ha colpito la Romagna, con oltre 50 mila persone costrette ad evacuare.
Scienziati italiani, olandesi, francesi e inglesi hanno analizzato le cause del disastro, per comprendere se alla base dell’evento ci fosse l’influenza della crisi climatica.
Analizzando le precipitazioni registrate nel periodo, e confrontandole con i dati storici, si evince che si è trattato di un evento eccezionale, che ha un tempo di ritorno di circa 200 anni. Ciò significa che c’è l’ 0,5% delle probabilità che questo evento si verifichi nell’arco di un anno.
Per comprendere se tale evento è stato favorito dalla crisi climatica, gli esperti hanno confrontato l’evento con un modello che, in sostanza, toglie dall’equazione il riscaldamento climatico causato dall’uomo. Dei 19 modelli presi in esame, nessuno mostra evidenti differenze nella probabilità che si verifichi l’evento, né nella intensità. Di fatto, a differenza di altre regioni del Mondo, il cambiamento climatico non provoca un aumento significativo delle piogge primaverili sull’Emilia Romagna.
La crisi climatica dunque non è la causa principale del disastro. Alla base del disastro c’è dunque un evento piovoso davvero raro, che ha interessato un’area già fortemente a rischio alluvionale, e un territorio fortemente urbanizzato, che quindi impedisce o ostacola il naturale flusso dei fiumi verso il mare.
Secondo gli esperti, inoltre, il tragico bilancio dell’alluvione è stato inoltre aggravato dalla bassa percezione del rischio da parte della popolazione, spesso di età avanzata.
La pianificazione urbana è fondamentale per ridurre e mitigare il rischio alluvionale. I fiumi dell’area sono stati costretti in corsi artificiali, la superficie del terreno è stata coperta con il cemento. Per ridurre i rischi e la vulnerabilità di una regione come quella della Romagna, servirebbe un intervento ingente, per impedire da un lato nuove costruzioni, e per ripensare ala gestione dei flussi fluviali. Secondo gli esperti sarebbe necessario individuare le aree più a rischio, e indirizzare le nuove costruzioni in zone meno esposte al rischio alluvionale.
Aumentare la superficie forestale, creare nuovi meandri nel corso dei fiumi, creare nuove zone umide (aree acquitrinose, paludi, torbiere), potrebbe aiutare a rallentare la corsa dell’acqua dall’Appenino verso la pianura, riducendo il rischio di alluvione lampo e allo stesso tempo migliorando la resistenza degli ecosistemi.
Il riscaldamento globale non ha influito?
Il lavoro di analisi del World Weather Attribution, pubblicato appena due settimane dopo l’evento con un titolo potenzialmente dannoso per l’informazione, ha dunque individuato una influenza “limitata” dalla crisi climatica su quanto avvenuto in Romagna, ma ci sono alcune precisazioni che è bene fare.
Il lavoro di analisi è stato realizzato sulle precipitazioni totali accumulate nelle prime tre settimane di maggio (che sarebbe la somma degli accumuli dei tre distinti eventi intensi) e, su questo dato complessivo è stato fatto il confronto con il medesimo periodo di 21 giorni fra aprile e giugno della serie storica. Dall’analisi statistica sembra che emerga che il quantitativo di precipitazione del periodo 1-21 maggio 2023 sia il più elevato della serie storica, con un tempo di ritorno di 200 anni. E questo è un fatto decisamente notevole.
Eppure, la conclusione a cui è arrivato lo studio, ovvero che ci sia poca influenza da parte del global warming sull’evento, si basa sull’accumulo in un periodo relativamente lungo di 21 giorni, i cui quantitativi nel passato possono essere stati ottenuti da piogge meno intense e più continue, quantitativi per cui, nel corso degli anni, non si è riscontrato un trend significativo. Si tratta di una analisi corretta, ma che forse non inquadra gli eventi nella loro intensità. Sarebbe infatti importante fare le stesse analisi basate su uno dei tre singoli eventi, magari il più intenso, quello che ha visto accumuli degni di una stagione intera in pochissimi giorni. Magari, analizzando periodi di 3 giorni invece di 21, si arriverebbe a conclusioni differenti riguardo il legame con il riscaldamento globale. L’estremizzazione degli eventi meteorologici, conseguenza della crisi climatica, di fatto significa proprio questo: accumuli di pioggia che prima si registravano durante un arco di tempo più lungo, oggi cadono concentrati durante eventi più brevi.
Al di là di queste considerazioni, la responsabilità umana sul disastro c’è ed è giusto sottolinearla, specie trattandosi di un’area molto vulnerabile per natura, e senza dimenticare la condizione penalizzante della pianura nord-orientale della regione che si trova a tratti anche sotto il livello del mare.
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