Primavera 2023 al via: perché la data dell’Equinozio non cade il 21 marzo?
L’equinozio di marzo dà ufficialmente il via alla Primavera astronomica 2023: nel giorno in cui cade l’equinozio, giorno e notte – o meglio ore di luce e ore di buio – hanno la stessa durata (dal latino aequus-nox, ossia notte uguale al giorno). Anche quest’anno l’equinozio non cade il 21 marzo, ma il 20: l’appuntamento “astronomico” infatti non è mai fisso, ma dipende da diversi fattori.
Le stagioni astronomiche sono scandite da eventi astronomici, ossia gli equinozi (per primavera e autunno) e i solstizi (per l’estate e l’inverno). Quest’anno la primavera astronomica inizierà il 20 marzo, più precisamente alle 22:24 italiane.
A differenza delle stagioni astronomiche, le stagioni meteorologiche dividono l’anno basandosi sulle condizioni climatiche. L’inverno coincide dunque con il trimestre statisticamente più freddo (dicembre-gennaio-febbraio) e l’estate con il trimestre più caldo (giugno-luglio-agosto). A separare queste stagioni sono l’autunno (settembre-ottobre-novembre) e la primavera (marzo-aprile-maggio).
Perché l’Equinozio di Primavera 2023 non cade il 21 marzo?
Occorre abituarsi al giorno 20 marzo: in questo secolo l’equinozio di Primavera non avverrà mai più il giorno 21 marzo, con buona pace di chi è tradizionalmente affezionato a tale data. Anzi, ci allontaneremo sempre di più dal 21 marzo: se infatti fino al 2047 cadrà sempre il 20 marzo, dal 2048 potrà avvenire qualche volta anche il 19 marzo.
Dall’inizio di questo secolo l’equinozio è capitato il 21 marzo solo in tre occasioni: nel 2003, nel 2007 e nel 2011. A dire il vero l’ultima volta, nel 2011, considerando l’ora universale (UTC) e non quella locale, l’equinozio si è verificato già il giorno 20 (alle ore 23:21 UTC che corrispondono alle 00:21 locali del giorno 21).
Lo scostamento rispetto alla “tradizione” è originato dalle correzioni che vengono attuate sul calendario gregoriano (in vigore dal 1582) per far tornare i conti fra il moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole e il ciclo delle stagioni. In pratica, sulla base del precedente calendario giuliano che, come sappiamo, prevede l’aggiunta di un giorno (in febbraio) ogni 4 anni nei cosiddetti anni bisestili, è stata introdotta l’ulteriore correzione che consiste nel non ritenere bisestili gli anni secolari non divisibili per 400 (come il 1700, il 1800, il 1900, il 2100 e così via).
L’effetto dell’anno bisestile è quello di compensare con uno spostamento indietro di circa 18 ore della data dell’equinozio, i graduali spostamenti in avanti di circa 6 ore dei precedenti tre anni normali. Tuttavia, a conti fatti questi spostamenti indietro generati dagli anni bisestili non correggono in maniera esatta l’errore; infatti, resta una piccola discrepanza di poco più di 11 minuti all’anno che, a lungo andare, porterebbe a un eccessivo spostamento all’indietro. Così, come accennato, una volta al secolo, per tre secoli su quattro, viene saltato un bisestile proprio per compensare questa ulteriore discrepanza della quale gli antichi romani non hanno tenuto conto.
E qui veniamo al punto. Dato che l’anno 2000, essendo divisibile per 400, è stato bisestile, di fatto non ha permesso la compensazione secolare garantita dall’assenza di un bisestile al secolo. In tal modo durante il XXI secolo non può far altro che proseguire l’impercettibile, ma inesorabile spostamento indietro della data dell’equinozio, spostamento che, come accennato, ha già portato all’abbandono del 21 marzo come riferimento. Tale data tradizionale resterà nei ricordi del passato fino a quando, nel 2100, il salto dell’anno bisestile non ripristinerà il calendario come una volta, per chi sarà presente a testimoniarlo.
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