Cambiamenti climatici, le nazioni vulnerabili chiedono i danni ai responsabili
Alla COP27, la Conferenza delle Nazioni Unite sul Clima, una delle questioni più urgenti da affrontare è quella del cosiddetto Loss and Damage, letteralmente “perdite e danni”.
Si tratta del tema – spinosissimo – dei danni climatici che sarebbe giusto le nazioni storicamente responsabili del riscaldamento globale pagassero a quelle più vulnerabili. Ormai da decenni la richiesta viene avanzata dai paesi che, pur non avendo contribuito in modo sostanziale alle emissioni che l’hanno provocata, vengono già bersagliati dalle conseguenze più catastrofiche della crisi climatica. Ma summit, vertici e negoziati si sono susseguiti trascinando con sé un dibattito finora insoluto, e la richiesta è rimasta, di fatto, inascoltata.
Già alla fine degli anni Ottanta si era iniziato a parlare della necessità di proteggere le nazioni più vulnerabili. In particolare furono alcuni piccoli Stati insulari i primi a lanciare l’SOS per l’innalzamento del livello del mare, chiedendo azione climatica e protezione da parte delle altre nazioni.
Il primo riferimento esplicito al tema del Loss and damage nell’ambito dei negoziati sul clima arriva poi nel 1991, quando la neonata Alleanza dei piccoli Stati insulari, fondata l’anno prima, propone di instaurare un meccanismo assicurativo.
Nella proposta si specifica la richiesta che le nazioni “industrializzate” paghino le perdite e i danni che le piccole isole vulnerabili e i paesi in via di sviluppo subiscono a causa dei cambiamenti climatici.
A oltre trent’anni sul piatto c’è ancora, sostanzialmente, la stessa richiesta:
Danni climatici, cosa chiedono i paesi vulnerabili a COP27
In una lettera che di recente ha indirizzato ai leader globali, l’attivista keniota Elizabeth Wathuti ha sottolineato che «è fondamentale che i negoziati della COP27 istituiscano uno strumento finanziario dedicato al sostegno delle comunità in prima linea nella crisi climatica, perché possano far fronte alle perdite e ai danni che stanno subendo e che, come sappiamo, non potranno che peggiorare».
Già durante COP26, la conferenza della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Clima del 2021, si era sperato fosse possibile raggiungere il traguardo. Le trattative, però, si sono chiuse con l’accordo deludente di avviare dei dialoghi, ancora una volta: sono i cosiddetti Glasgow Climate Dialogues, dei momenti d’incontro dedicati alla questione, in programma fino al giugno 2024.
La prima sessione si è svolta durante i negoziati intermedi verso COP27, a giugno, e si è chiusa con un nulla di fatto. Il punto della questione su cui non si trova ancora una via d’uscita, a oltre trent’anni dalla prima richiesta, è in particolare la necessità di istituire un fondo dedicato esclusivamente ai danni climatici.
Quest’anno i leader del mondo torneranno a incontrarsi in Egitto, alla COP27, ma – dopo mesi segnati da fenomeni estremi senza precedenti che hanno spezzato vite in tutto il pianeta – i segnali arrivati finora non sono promettenti. Le nazioni più ricche appaiono ancora decise a opporre resistenza, e tra queste ci sono anche gli stati europei. Il documento adottato dai Ministri delle Finanze europei il 4 ottobre con le conclusioni del Consiglio prima della COP27 non fa cenno alla soddisfazione delle richieste di includere nei negoziati delle discussioni specifiche per la creazione del nuovo fondo. Nel testo si fa invece un riferimento generale e vago alla necessità «di rafforzare l’azione, il sostegno e il coordinamento globale per evitare, ridurre al minimo e affrontare perdite e danni associati agli impatti negativi dei cambiamenti climatici».
I Paesi più vulnerabili stanno comunque facendo sentire la propria voce con sempre più forza, e anche la società civile è decisa ad assicurarsi che non si spengano i riflettori sulla questione dei danni climatici durante la prossima Conferenza sul Clima, che a novembre sarà ospitata dall’Egitto, proprio in uno dei continenti più poveri e più duramente flagellati dagli effetti della crisi climatica.
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