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Multinazionali attente all’ambiente o è greenwashing? Dalle parole ai fatti: l’analisi

Sono molte le aziende che oggi dimostrano la loro attenzione verso le tematiche climatiche e ambientali: ma la sostenibilità del loro operato è reale o è solo greenwashing?

Gran parte dei prodotti che compriamo o dei servizi che acquistiamo sono accompagnati da accattivanti claim ecologici che mostrano l’attenzione dell’azienda nei confronti dell’ambiente e del clima. E spesso a noi consumatori basta questo per convincerci che quello che leggiamo sia vero. Purtroppo però il più delle volte è solo sintomo di un ecologismo di facciata, pratica che ha preso il nome di greenwashing.

La sensibilizzazione verso l’emergenza climatica, portata avanti per molti anni da scienziati, attivisti e operatori del settore, ha sicuramente fatto sì che crescesse nella società di oggi una maggiore attenzione nei confronti dell’ambiente. Molte grandi aziende oggi hanno adottato delle strategie climatiche e degli obiettivi che – almeno in apparenza – possano portarle a ridurre o addirittura azzerare l’impatto ambientale e climatico delle proprie attività.

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Image by Gerd Altmann from Pixabay

La difficoltà però sta proprio qui, nel capire quanto un’azienda prenda sul serio le promesse fatte. Oggi capire se è greenwashing o no, sta diventando sempre più complicato soprattutto a causa della facilità con cui vengono fatte promesse climatiche a livello aziendale e della grande frammentazione degli approcci. Tutto questo senza una vera e propria regolamentazione nazionale e di settore.

Uno studio realizzato dal NewClimate Institute, ha analizzato promesse e obiettivi di 25 grandi aziende multinazionali, i cui ricavi complessivi nel 2020 sono stati di 3,8 miliardi di dollari, ossia circa il 10% dei ricavi delle 500 aziende più importanti del Mondo. Secondo quanto comunicato da queste aziende, nel 2019 hanno contribuito alle emissioni di gas serra con circa 2.7 GtCO2e (ossia il 5% delle emissioni di gas serra a livello mondiale).

Dal taglio delle emissioni all’uso di energia rinnovabile: dalle parole ai fatti

Delle 25 aziende in esame, la maggior parte da una sua interpretazione di  “emissioni zero”: tra tutte sono solo 13 le multinazionali che spiegano nel dettaglio i piani, e in media hanno come obiettivo un taglio delle emissioni intorno al 40% e non del 100%, come suggerisce il termine “net zero“. Cinque addirittura promettono tagli del 15% o inferiori. Solo 3 delle 25 multinazionali hanno però obiettivi seri di decarbonizzazione dei processi, ossia Maersk, Vodafone e Deutsche Telekom, che puntano ad un taglio del 90% nei tempi da loro indicati. Le restanti 12, invece, non accompagnano le loro affermazioni ad un piano strutturato e a una linea temporale. Complessivamente le 25 multinazionali in esame si impegnano ad una riduzione del 20% delle emissioni rispetto alla loro impronta di carbonio di 2.7 GtCO2e. Sì, solo il 20%.

greenwashing o no?

Insomma, per queste aziende è molto difficile allinearsi con gli obiettivi climatici internazionali. Le misure messe in campo dalle aziende su questo fronte dimostrano quanto siano prendendo sotto gamba l’urgenza di un’azione climatica. Solo alcune multinazionali dimostrano però che alleggerire la propria impronta ambientale e climatica è fattibile.

Le emissioni derivanti dalle attività “scope 3″, ossia dai processi a valle e a monte rispetto alle attività aziendali, costituiscono in media l’87% delle emissioni complessive delle 25 multinazionali in esame, ma solo 8 di loro hanno fornito dettagli circa i piani in essere per ridurle. Sarebbe utile se, specialmente dato che parliamo di grandi multinazionali, le aziende potessero rendere conto della propria strategia, renderla pubblica, condividerla e creare un dialogo costruttivo per affinare le buone pratiche da seguire.

Controverse sono sempre le azioni di compensazione delle emissioni: 19 delle 25 multinazionali prevede di ricorrere a questa strategia, e solo 1 ha rifiutato tale approccio. Due terzi delle aziende prevede di compensare le emissioni generate attraverso la piantagione di alberi e altri approcci biologici. Ma tale strategia non prevede un taglio effettivo delle emissioni da parte dell’azienda, e inoltre può tradursi in emissioni ancora più elevate. Pensiamo ad esempio agli incendi, che distruggono foreste e emettono in atmosfera nuovi gas serra. In questo caso, alle emissioni dell’azienda si sommerebbero le emissioni causate dagli incendi. Tagliare le emissioni effettive e aumentare la capacità di assorbimento di gas serra: dovremmo riuscire a fare entrambe le cose, non solo una delle due.

Secondo l’analisi alcune aziende hanno dimostrato di saper mettere in atto un approccio innovativo per l’approvvigionamento di energia rinnovabile. Ma nel complesso, la situazione resta deludente: la maggior parte delle multinazionali esaminate dal report sfrutta certificati RECs (Renewable Energy Certificate System), per dimostrare che l’energia che utilizzano ha un impatto climatico basso o nullo, ma in realtà utilizzano l’elettricità della rete regionale o nazionale e poi acquistano certificati da produttori di energia rinnovabile anche di altre zone. E purtroppo le aziende tendono sempre più spesso a lanciare il messaggio di contribuire effettivamente alla mitigazione del cambiamento climatico, anche al di fuori della catena del valore aziendale, senza però promettere di raggiungere la neutralità carbonica.

Strategia climatica aziendale o greenwashing: quali sono le aziende più e meno virtuose?

Nessuna delle 25 multinazionali ha ottenuto il punteggio più alto nell’analisi rispetto alla propria integrità in merito alla propria responsabilità climatica. Maersk è al primo posto per la sua “ragionevole integrità” grazie al chiaro obiettivo di raggiungere emissioni zero nel 2040 e una nuova trasparenza rispetto ai piani d’azione. Seguono Apple, Sony e Vodafone (“moderata integrità”), poi Amazon, Deutsche Telekom, Enel, Glaxosmithkline, Google, Hitachi, Ikea, Volkswagen, Walmart, Vale (“bassa integrità”). Chiudono la classifica con “integrità molto bassa” Accenture, BMW Group, Carrefour, CVS Health, Deutsche Post DHL, E.ON SE, JBS, Nestlé, Novartis, Saint-Gobain e Unilever.

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Fonte Corporate Climate Responsibility Monitor 2022

Il ruolo di queste grandi multinazionali dovrebbe guidare il modo di fare business. L’attenzione alle problematiche ambientali dovrebbe tradursi in azione, e il successo nella mitigazione del cambiamento climatico dipende dall’innovazione. Per questo le grandi aziende in particolare hanno un ruolo importantissimo nella lotta alla crisi climatica.

Ma per far coincidere le promesse fatte alle azioni future, serve un controllo, una verifica che possa risultare in un richiamo in caso di aspettative disattese. Servono iniziative per impostare uno standard e permettere a tutti di distinguere le aziende virtuose da quelle che praticano il greenwashing, in modo da alzare l’asticella e ambire a obiettivi più concreti e a risultati più significativi.

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