Corsa all’indipendenza energetica: cosa insegna il caso Islanda
Mentre molte Nazioni d’Europa, inclusa l’Italia, di fronte alla guerra russo-ucraina si trovano improvvisamente a dover ripensare alla propria strategia energetica, fortemente dipendente dal gas della Russia, c’è una Nazione che ha saputo svoltare in pochi anni, rendendosi quasi completamente indipendente: l’Islanda.
Con decenni di anticipo rispetto al resto del Mondo, l’Islanda è riuscita a trasformare la propria natura economica ed energetica: fino al 1973 era infatti un paese ostaggio del petrolio, ma nei decenni a seguire è riuscita a diventare un punto di riferimento della transizione ecologica e a reclamare la propria indipendenza energetica.
Fino agli anni ’70 l’Islanda era considerata una nazione in via di sviluppo, principalmente abitata da pescatori e allevatori, un Paese che negli ultimi secoli è sempre stato uno dei più poveri d’Europa, e caratterizzato da una strategia energetica fondata sull’energia fossile, con importazioni di petrolio e carbone.
Il “Grande Piano” dell’Islanda fonda le sue radici nella crisi petrolifera del 1973, che fece schizzare il prezzo del petrolio del 70%. Fu un duro colpo per un’economia e una società basata per l’80 per cento dalle importazioni di carbone e petrolio.
Da allora, la Terra del fuoco e del ghiaccio ha trasformato radicalmente la propria strategia energetica, organizzando esplorazioni per individuare le risorse geotermiche e costruendo nuovi servizi di riscaldamento. In soli 12 anni l’impiego del petrolio per il riscaldamento crollò dal 50 al 5 per cento.
Il “Master Plan” dell’Islanda volto alla Protezione della Natura e all’Utilizzo dell’Energia è uno strumento nato negli anni ’80 ed entrato in azione nel 1999 per guidare la transizione verde dell’isola: oggi il piano ha concluso la quarta fase. Il piano è stato pensato per sfruttare l’energia rinnovabile presente in Islanda, specie geotermica, e allo stesso tempo permettere la conservazione della natura e dei siti di valore culturale.
Oggi quasi il 100% dell’energia prodotta sull’isola e il 100% del riscaldamento domestico si basa sulle rinnovabili, in particolare su idroelettrico e geotermico. L’energia idroelettrica garantisce il 73% dell’energia, mentre il 27% arriva dal geotermico1.
L’isola oggi è abitata da oltre 360 mila persone: una crescita dell’80% rispetto alla popolazione degli anni ’70. Le rinnovabili costituiscono quasi l’85-90% dell’energia utilizzata in Islanda, il resto serve solo per alimentare le auto, barche, navi, e i pochi generatori posti sulle isole più remote. Si tratta della percentuale più alta di rinnovabili nel budget energetico nazionale di ogni altro Paese del Mondo1. In effetti l’Islanda è il Paese che produce più energia verde pro capite in tutto il Mondo, con circa 55 mila kWh per persona ogni anno. La media europea è di 6 mila kWh.
Nonostante l’uso di combustibili fossili sia ancora necessario per la mobilità sull’isola, sta aumentando anche il numero di veicoli elettrici, anche a fronte di grandi investimenti per la costruzione delle infrastrutture necessarie lungo la “ring road” islandese. Anche per quanto riguarda le navi e i pescherecci sono stati fatti passi in avanti, rendendoli del 43% meno inquinanti rispetto al 19902.
Perfino però nell’isola più remota dell’Islanda, Grímsey, l’unica a rientrare nella regione geografica dell’Artico, la popolazione di 75 abitanti ha deciso di gradualmente abbandonare l’energia fossile per puntare sulle rinnovabili. Qui, dopo alcuni tentativi, non è stato possibile approfittare dell’energia geotermica, quindi si è deciso di sfruttare l’eolico con l’istallazione di due turbine, capaci di generare 30,000 kw l’anno, e l’energia solare, attraverso pannelli per ogni abitazione. Questo dovrebbe consentire all’isola di evitare l’uso dei generatori e di 20 mila litri di diesel. Nonostante le difficoltà, come il troppo vento o la troppa poca luce solare durante l’inverno, l’isola vuole provarci, anche grazie all’uso di lampioni led e al miglioramento dell’isolamento degli edifici.
Insieme a questa profonda rivoluzione verde, l’Islanda ha favorito una diversificazione dell’economia locale e l’espansione del turismo, e nel frattempo promosso la cultura e aumentato il welfare della propria società. Uno sviluppo incredibile che è riuscito a resistere anche alle ultime crisi finanziarie.
Nel discorso del 2013 agli ambasciatori OECD, il Presidente dell’Islanda Ólafur Ragnar Grímsson aveva stimato i risparmi derivati dalle cessate importazioni di petrolio e carbone per il riscaldamento domestico in dieci anni, equivalevano al prodotto nazionale lordo di un intero anno, «una trasformazione rivoluzionaria» che ha avuto effetti benefici su tutta l’economia nazionale nel suo insieme.
Possiamo ispirarci alla rivoluzione verde dell’Islanda?
La rivoluzione energetica dell’Islanda è un caso particolarmente virtuoso proprio è avvenuto in un breve lasso di tempo. La domanda che sorge spontanea è: sarebbe una strategia replicabile da altre Nazioni?
Sicuramente ogni caso è a sé: il mix energetico di ogni nazione dipende molto dai costi, dalla disponibilità di risorse, dall’efficacia della produzione e la politica sicuramente gioca un ruolo importante.
Ad esempio l’Islanda produce oltre 13.000 GWh da energia idroelettrica, l’Italia 48.500 GWh; la produzione di energia geotermica, invece è praticamente uguale con circa 6.000 GWh. Oltre a queste fonti di energia rinnovabile, l’Italia può sfruttare anche il solare (25.000 GWh) e l’eolico (18.700 GWh), difficilmente sfruttabile in Islanda a causa del forte vento. Inoltre, data la grande differenza di abitanti, l’Islanda ha un approvvigionamento totale di energia annuale di circa 250 mila TJ, mentre l’Italia supera i 5 miliardi e mezzo di TJ. Complessivamente il consumo totale di energia è di quasi 130 mila TJ in Islanda e di circa 5 miliardi di TJ in Italia. Il consumo pro capite di elettricità è molto più alto in Islanda, dove raggiunge i 51 GWh, mentre in Italia è di 4.9 GWh1.
L’Onu stessa spiega come la disponibilità di risorse energetiche rinnovabili non si traduce per forza in una transizione verde. Quello che, nel caso dell’Islanda, ha fatto la differenza è stata la grande coesione tra le municipalità, il governo e il pubblico nell’intraprendere una esplorazione delle risorse e quindi procedere nello sfruttamento delle rinnovabili a disposizione, nell’ottica di garantire una maggiore sicurezza energetica per il Paese.
Questo processo è sicuramente stato favorito dal basso numero di abitanti, e dalle difficoltà incontrate per connettere alla stessa rete tutta l’isola. Anche il Nepal, ad esempio, sta attraversando le stesse sfide per poter sfruttare l’energia idroelettrica. Altri Paesi, come ad esempio l’Africa orientale, invece, non hanno il necessario know-how per poter fare una valutazione delle risorse disponibili e quindi sfruttare l’energia soprattutto in ambito geotermico. Secondo l’Onu, quindi, «nonostante le grandi differenze territoriali e politiche tra diverse nazioni, l’esperienza dell’Islanda può essere estrapolata e applicata anche ad altri Paesi».
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