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La circolazione atmosferica risente della perdita del ghiaccio marino nell’Artico

Le conseguenze della perdita di ghiaccio artico sulla circolazione atmosferica invernale sono state analizzate nel recentissimo lavoro Robust but weak winter atmospheric circulation response to future Arctic sea ice loss, a firma di numerosi autori, che è stato pubblicato su Nature Communications. L’articolo, nonostante i contenuti decisamente tecnici, offre interessanti spunti di riflessione per le sue conclusioni, ma anche come esempio del funzionamento del dibattito scientifico e della formidabile complessità del problema degli effetti del riscaldamento globale sulla circolazione atmosferica.

A partire dagli anni Novanta la regione dell’Artico si è riscaldata a un ritmo molto più veloce rispetto al resto del pianeta a causa dei meccanismi di retroazione che operano nel sistema climatico (ne avevamo discusso in questo approfondimento). Il forte riscaldamento si è manifestato con una marcata diminuzione dei ghiacci che coprono la superficie dell’Oceano Artico, con conseguenze potenzialmente importanti sulla circolazione atmosferica: il mare libero dal ghiaccio resta più caldo rispetto alla superficie gelata e di conseguenza risultano ben diversi gli scambi di calore e di umidità che si instaurano tra la superficie marina e l’atmosfera.

La veloce diminuzione della superficie marina ghiacciata (che, lo ricordiamo, raggiunse minimi significativi nel 2007 e 2012) stimolò la redazione di numerosi studi scientifici che provarono a mettere in relazione la perdita di ghiaccio con le anomalie analizzate nella circolazione atmosferica, compresi alcuni inverni molto freddi osservati nell’emisfero boreale. Leggendo l’articolo sopra citato viene il sospetto che, almeno inizialmente, alcuni ricercatori avessero sottovalutato la forte variabilità intrinseca nella circolazione atmosferica, una variabilità che può manifestarsi anche su tempi pluridecennali.
Usando le parole degli autori, infatti, scopriamo che «il periodo 1979-2012 suggerisce un forte legame tra il ghiaccio marino autunnale e la circolazione atmosferica invernale e le temperature euroasiatiche. Se l’analisi viene estesa agli 8 anni di dati più recenti (2013-2020) troviamo che le relazioni osservate tra il ghiaccio autunnale, la NAO (Oscillazione nord atlantica) invernale, lo SPV (vortice polare stratosferico) e gli indici delle temperature euroasiatiche sono più deboli in grandezza».

Figura 1: (a) differenza nella concentrazione di ghiaccio (%) assegnata negli esperimenti modellistici; (b) risposta delle temperature vicino alla superficie nei modelli; (c) risposta della pressione al livello del mare. Le immagini si riferiscono alla media dei modelli e ai mesi invernali (dicembre, gennaio, febbraio). Fonte: Nature

Le conclusioni del nuovo studio, che si basa sull’analisi di 3000 simulazioni ottenute con la tecnica dell’ensemble applicata a 16 modelli di circolazione diversi in cui è stata assegnata la medesima riduzione del ghiaccio artico, confermano alcuni risultati noti e attesi, ma tendono a ridimensionare l’importanza quantitativa del suo ruolo nell’influenzare la circolazione atmosferica.

La risposta troposferica alla riduzione dei ghiacci è considerata solida e si manifesta con un indebolimento dei venti occidentali alle medie latitudini e uno spostamento verso l’equatore degli “storm tracks” (ovvero i percorsi seguiti dalle perturbazioni). Se possedete un po’ di familiarità con questa materia potreste avere notato che questo pattern circolatorio corrisponde alla fase negativa della NAO, North Atlantic Oscillation, come si evince anche nella parte (c) della figura precedente dove si vede che, limitandosi all’ambito europeo, la risposta media dei modelli corrisponde a un’anomalia positiva della pressione alle alte latitudini (Scandinavia, Groenlandia) contrapposta ad un’anomalia negativa (pressione più bassa) alle latitudini medio basse, Mediterraneo compreso.

Figura 2: illustrazione schematica delle due fasi della NAO: durante la fase negativa sul Mediterraneo il tempo è più piovoso e perturbato, sul Nord Europa l’inverno è secco e freddo. Crediti: Roxana Bojariu

La ricerca fa altri importanti passi avanti e cerca di descrivere il meccanismo fisico che sottostà a queste variazioni: qui la spiegazione diventa davvero tecnica e complicata, ma a grandi linee quello che succede è sintetizzabile come segue: l’Artico è più caldo dove c’è meno ghiaccio e pertanto si riduce la differenza di temperatura nord-sud (gradiente termico meridiano); come risposta lo shear (variazione di velocità) verticale dei venti occidentali si riduce (per la fondamentale relazione detta del “vento termico”), con il conseguente indebolimento dello “storm track” e un ridotto sviluppo di “perturbazioni” (eddies) atmosferiche. Queste stesse perturbazioni a loro volta esercitano un influsso sulla circolazione media attraverso lo scambio di momento con il flusso medio: per spiegare lo spostamento verso sud dello “storm track” viene individuata una circolazione meridionale (che si sviluppa nel senso dei meridiani) con il ramo ascendente alle latitudini medio basse (35-50°N) e quello discendente a nord a circa 65-75°N. Questa circolazione meridiana è necessaria a ripristinare l’equilibrio di vento termico attraverso il raffreddamento adiabatico della massa d’aria nel ramo ascendente e il riscaldamento in quello dove l’aria scende.

I ricercatori si chiedono inoltre se possa esistere anche un ruolo della stratosfera (le caratteristiche del vortice polare stratosferico possono influenzare la troposfera sottostante nella stagione invernale, si veda ad esempio questo approfondimento). In tal senso, anche se la risposta dei modelli non è univoca, si osserva effettivamente anche l’indebolimento del vortice polare stratosferico, individuato anche in altri studi, un ruolo che potrebbe essere importante, ma non determinante.

Conclusioni

L’aumento della concentrazione di gas serra nell’atmosfera ha come conseguenze inequivocabili la crescita delle temperature medie terrestri e l’accelerazione del ciclo dell’acqua. Se queste sono da considerarsi ormai certezze, puntualmente confermate dalle cronache quotidiane, alle scienze del clima e dell’atmosfera resta ancora il difficile compito di rispondere a molte domande impegnative riguardanti le ripercussioni del riscaldamento sulla circolazione generale dell’atmosfera.
A volte nel confondere le idee ci si è messa pure l’informazione generalista che, con il consueto impeto semplificatorio, se ne esce spesso con titoli e contenuti fuorvianti.

L’articolo che abbiamo provato a sintetizzare illustra l’esempio dell’influsso dell’amplificazione artica e della conseguente perdita di ghiaccio sulla circolazione atmosferica boreale. La risposta consiste, come abbiamo visto, in un indebolimento dei venti occidentali alle medie latitudini e in uno spostamento verso sud dello “storm track”.
Si tratta di una risposta solida (“robust” nell’inglese dell’articolo), ma debole, come suggerito dall’analisi delle serie di osservazioni in cui siano compresi anche gli anni più recenti. Avvalendosi del linguaggio scientifico dello studio, questa ricerca dimostra che «le variazioni interannuali del ghiaccio artico marino spiegano meno del 10% delle variazioni interannuali nella NAO e nello SPV (Stratospheric Polar Vortex) ed è pertanto improbabile che siano in grado di produrre grandi impatti medi stagionali nell’ambito di un singolo inverno».

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