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MARE a rischio, ma possiamo ancora salvarlo: il piano in 10 fasi del World Economic Forum

Le prospettive per il mare sono tutt’altro che rosee, e probabilmente non ce ne stiamo preoccupando abbastanza.

Secondo gli esperti nel 2050 raggiungeremo un punto di non ritorno: è probabile che per quell’anno in mare ci siano più rifiuti plastici che pesce e che il 90 per cento delle nostre preziosissime barriere coralline sia morto, in oceani surriscaldati, acidificati e privi di ossigeno che rischiano di andare incontro a terrificanti estinzioni di massa.
Non sembra vicino, il 2050, ed è facile cadere nella tentazione di pensare che abbiamo cose più urgenti di cui occuparci. Ma sarebbe sbagliato: la salute degli oceani è una priorità per il nostro pianeta e anche per la nostra stessa sopravvivenza.
Oceani caldi e inquinati, privi di pesce, avrebbero conseguenze disastrose sotto molteplici aspetti, provocando danni enormi dal punto di vista economico ma anche contribuendo a fenomeni meteo sempre più estremi e a un livello del mare sempre più alto. A rischio non c’è “solo” l’economia: è questione di vita o di morte, e il 2050 è estremamente vicino.
Come fa notare il World Economic Forum, per quella data i bambini che oggi stringiamo in braccio saranno ancora giovani, intenti a costruire la propria carriera e la propria famiglia: non si può accettare che i nostri figli ereditino da noi una situazione così catastrofica.
La buona notizia è che per il momento non è ancora impossibile opporci a questo destino: siamo ancora in tempo per consegnare loro un mare sano, forse perfino più redditizio del nostro. Ma bisogna agire subito.

Unsplash/Fab Lentz

Per farlo, il World Economic Forum ha delineato 10 passi fondamentali.

1. Fermare i cambiamenti climatici
È il passo più difficile ma più importante che possiamo compiere per la salute degli oceani. Il rientro degli Stati Uniti tra i firmatari dell’Accordo di Parigi è un’ottima notizia, ma non basta: servono impegni nazionali ambiziosi per ridurre e azzerare le emissioni di gas serra.

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2. Passare ai fatti
Abbiamo bisogno che la neutralità carbonica diventi realtà. Questo richiederà investimenti enormi nelle fonti di energie rinnovabili, incluse anche soluzioni ancora sperimentali, e servirà avere una mentalità aperta per adattare e rendere più praticabili e sicure le soluzioni energetiche a basse emissioni di carbonio di cui disponiamo attualmente. Bisogna accelerare lo sviluppo di batterie sostenibili e creare nuove infrastrutture energetiche, comprese quelle marine: porti elettrificati e navi a basse emissioni, per esempio, contribuirebbero anche a ridurre i rischi di sversamenti di petrolio e a contrastare i rumori oceanici e l’inquinamento dei porti.

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3. Studiare lo sfruttamento delle risorse
Abbiamo sfruttato il mare senza freni, con conseguenze gravissime come l’inquinamento e la distruzione di interi habitat, ma non è ancora tardi per rimediare. L’acquacoltura gestita con più razionalità, solo nei posti giusti, con le specie giuste e adottando le pratiche giuste, sarebbe una vittoria per la salute dell’ambiente ma anche per quella umana. Investire nella ricerca, per esempio con progetti che permettano di ottenere alimenti vegetali dal mare, potrebbe aiutarci anche a soddisfare in modo sostenibile la crescente domanda di prodotti ittici.

4. Proteggere l’oceano: obiettivo 30×30
Così come i parchi proteggono parte della natura sulla terraferma servono aree protette anche in mare. L’obiettivo ora è quello di proteggere il 30 per cento dei nostri oceani entro il 2030, monitorando e proteggendo la biodiversità che contraddistinguerà le aree che selezioneremo. Non è facile, e finora abbiamo mancato il primo obiettivo di proteggere il 10 per cento dell’oceano entro il 2020:

30 x 30
Crediti: Protected Planet, via World Economic Forum

5. Salvaguardare anche il restante 70%
L’industria continua a crescere a tassi esponenziali nel mare, quindi anche se riuscissimo a proteggerne il 30 per cento sarebbe fondamentale gestire in modo intelligente anche lo sfruttamento delle aree non protette.
Serve quella che il World Economic Forum descrive come una «rivoluzione industriale dell’oceano», che includa la gestione responsabile della pesca, l’attenta suddivisione in zone per l’industria del mare, l’eliminazione dei sussidi alla pesca dannosa e la selezione delle industrie nascenti. Per esempio, sottolineano gli esperti, la nuova industria dell’estrazione mineraria oceanica è semplicemente troppo pericolosa perché si possa lasciare che si diffonda nell’oceano.

6. Colmare i vuoti normativi
Il mare appartiene a tutti, compresi quei due terzi di oceano che si trovano al largo, al di là dei confini. Ma in questi spazi internazionali la protezione della biodiversità e delle risorse è venuta meno.
Un passo in avanti per colmare questo gap potrebbe essere la proposta di un nuovo Trattato delle Nazioni Unite per la biodiversità in alto mare.

7. Fermare l’inquinamento da plastica
La plastica è ovunque, e l’allarme risuona ormai da anni, ma senza che si prendano provvedimenti seri per cambiare la situazione. Dobbiamo vietare la plastica che non è necessaria e tassare quella monouso, avverte il World Economic Forum. Dobbiamo investire nella ricerca e nella tecnologia per evitare che la plastica finisca in mare, per revisionare i sistemi di riciclaggio e per progettare alternative ecologiche alla plastica che siano valide anche dal punto di vista economico.
Secondo gli esperti servirebbe un trattato internazionale per affrontare l’emergenza plastica come l’Accordo di Parigi cerca di rimediare al problema delle emissioni e del conseguente riscaldamento globale.

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8. Prenderci cura della terra
Quello che succede sulla terraferma influenza anche la salute del mare. Per esempio, la distruzione delle foreste determina una mole più massiccia di CO2 che raggiunge gli oceani e l’utilizzo di sostanze tossiche e nocive nell’agricoltura contamina l’acqua dei fiumi, e di conseguenza anche quella del mare.

9. Monitorare
Dobbiamo avere più dati per tenere d’occhio la salute dell’oceano: servono nuove tecnologie che permettano, per esempio, di rilevare la pesca illegale e di aiutare le specie a rischio a coesistere con l’industria.

10. Garantire equità
La salute degli oceani passa anche dall’equità tra le persone: un mare più sano deve essere nell’interesse di tutti, e nessuno dev’essere danneggiato in modo diseguale dai rischi legati alle cattive condizioni in cui lo stiamo riducendo.

È il momento di agire con coraggio: se continuiamo a perseguire la strada più facile le previsioni apocalittiche relative al 2050 si avvereranno. Riscrivere il destino del mare, avvertono gli esperti, potrebbe essere una delle cose più difficile che dovremo fare come collettività, ma è necessario tenere a mente che le conseguenze della nostra inazione di oggi saranno estremamente difficili da sopportare, domani.

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